Monologo femminile - \"il senso della vita\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo si inserisce in uno dei momenti più strani e in apparenza fuori contesto del film “Il senso della vita”. Maria, interpretata da una donna delle pulizie in un ambiente anonimo, parla direttamente alla macchina da presa o comunque in uno stile quasi teatrale, come se stesse confessando qualcosa di intimo a uno spettatore invisibile. La scena ha il sapore di una pausa, un momento di respiro nel ritmo schizofrenico del film. Non ci sono gag visive, non ci sono tagli di montaggio rapidi. Solo lei, che racconta. E quello che racconta non è una storia, ma una serie di frammenti scollegati che, messi insieme, tracciano un piccolo fallimento esistenziale.

Ho lavorato in posti peggiori

MINUTAGGIO:

RUOLO: Maria

ATTRICE:

DOVE: Netflix

ITALIANO

Ho lavorato in posti peggiori, parlando in senso filosofico. Sì. Una volta lavoravo all'Académie française. Ma non mi ha giovato assolutamente. E una volta ho lavorato alla Biblioteca del Prado, a Madrid, ma non mi ha insegnato niente, mi ricordo. E la Biblioteca del Congresso si penserebbe che fornisca qualche chiave, e invece no, e neanche la Biblioteca Borghesiana. Al British Museum speravo di trovare qualche indizio. Lavoravo là dalle nove alle sei, ho letto per intero ogni volume, ma non mi ha insegnato niente a proposito del mistero della vita. Ho continuato ad invecchiare, a fare sempre più fatica a vederci. Infatti adesso non ci vedo più, e ormai l'artrite mi ammazza. E così faccio le pulizie qui dentro. Però non mi posso lamentare, perché, capisci, secondo me la vita è un gioco. Vinci o perdi, sei quello che sei. E anche se purtroppo faccio un lavoro da poco, almeno non lavoro per gli ebrei.

Il senso della vita

Parliamo de Il senso della vita"Monty Python's The Meaning of Life", per essere precisi. È l'ultimo film collettivo dei Monty Python, uscito nel 1983, ed è probabilmente quello più “cinematograficamente ambizioso”, se vogliamo usare un'espressione che li farebbe ridere. A differenza di Brian di Nazareth o Il Sacro Graal, Il senso della vita non ha una vera e propria trama unitaria. È strutturato come una serie di sketch che seguono l’evoluzione dell’essere umano attraverso le fasi della vita: dalla nascita alla morte, passando per l’educazione, il lavoro, il senso religioso, la guerra e la vecchiaia. E come da tradizione Python, tutto viene raccontato in modo satirico, assurdo, a tratti grottesco. Il film inizia con un prologo intitolato "The Crimson Permanent Assurance", che è in realtà un cortometraggio separato diretto da Terry Gilliam. Racconta di un gruppo di vecchi impiegati che si ribellano al loro ufficio modernista e lo trasformano in una nave pirata – letteralmente – andando all'arrembaggio delle grandi multinazionali. Già questo dice tutto sull’intento del film: prendere di mira i pilastri della società occidentale.

Poi comincia il film vero e proprio, diviso in segmenti:

"The Miracle of Birth"

Si parte con una donna che sta per partorire in un ospedale dove la priorità non è far nascere un bambino, ma compiacere i medici e sfoggiare attrezzature tecnologiche. È una critica feroce alla disumanizzazione del sistema sanitario. In un altro sketch parallelo, sempre sul tema della nascita, vediamo una famiglia cattolica poverissima del Nord dell’Inghilterra con decine di figli che canta la famigerata "Every Sperm is Sacred" – un attacco frontale alla dottrina cattolica sul controllo delle nascite.

"Growth and Learning"

Qui il focus è sull’educazione. Una scena memorabile è quella della lezione di educazione sessuale impartita in modo estremamente diretto da un professore (John Cleese) davanti a studenti impassibili e disinteressati. La scuola diventa un non-luogo, dove l’insegnamento non produce alcun tipo di impatto.

"Fighting Each Other"

Arriviamo al momento della giovinezza e dell’età adulta, rappresentata qui attraverso la guerra. Gli sketch sulla Prima Guerra Mondiale e sul colonialismo britannico mettono a nudo la retorica patriottica e la glorificazione del sacrificio. Uno dei momenti più emblematici è quando un soldato viene ricoperto di regali dai commilitoni mentre sta per morire in combattimento – un gesto apparentemente commovente ma assolutamente fuori contesto, surreale e crudele nella sua comicità.

"Middle Age" e "Live Organ Transplants"

Nella fase della mezza età, si riflette sull’assurdità della routine quotidiana e sulla burocrazia medica. Una delle scene più grottesche e famose è quella dei "Live Organ Transplants", dove due infermieri entrano in casa di un uomo e gli espiantano un organo vivo senza anestesia, con l’approvazione della moglie che poi viene convinta a cedere anche il suo fegato da un angelo cantastorie.

"The Autumn Years"

Qui si tocca uno dei momenti più noti del film: il personaggio di Mr. Creosote, un uomo obeso che entra in un ristorante e vomita in continuazione, finché non esplode dopo aver mangiato una "wafer-thin mint". Una sequenza disgustosa ma, anche qui, è una metafora sulla bulimia del consumismo occidentale e sulla fine di una vita vissuta solo per accumulare.

"Death"

Il finale affronta la morte, naturalmente. In un sketch memorabile, la Morte bussa alla porta di una famiglia riunita per cena e li conduce all’aldilà perché sono morti tutti mangiando un salmone andato a male. Il tutto si conclude con una scena musicale nell’aldilà (un cabaret in stile Las Vegas), e con una voce fuori campo che finalmente ci dice “il senso della vita”:

"Try to be nice to people, avoid eating fat, read a good book every now and then..."

Un messaggio volutamente semplice, che gioca proprio sul contrasto con il titolo del film.

Il film si diverte a mostrare quanto sia assurdo cercarlo nelle strutture create dalla società: religione, educazione, carriera, famiglia, guerra. Il vero bersaglio sono i dogmi, le istituzioni, le convenzioni. Il tono è provocatorio, volutamente offensivo, ma anche capace di accendere riflessioni genuine sotto la scorza del paradosso. Ogni sketch funziona come una lente d’ingrandimento su un’ipocrisia sociale. Non c’è una trama da seguire, ma un percorso tematico in cui ogni tappa è un piccolo cortocircuito logico.

Analisi Monologo

Ho lavorato in posti peggiori, parlando in senso filosofico.” La battuta iniziale apre un doppio binario. C’è subito una distinzione tra il "peggio" materiale e quello "filosofico". Maria non sta parlando delle condizioni lavorative, ma di quello che ogni posto le ha lasciato dentro. Il tono è sarcastico, dimesso, ma subito ci fa intuire che questa è una donna che ha pensato. Che ha cercato qualcosa.

“Una volta lavoravo all’Académie française… alla Biblioteca del Prado… Biblioteca del Congresso… British Museum…” Elenca una serie di istituzioni culturali enormi, cariche di prestigio e tradizione. Luoghi dove ci si aspetta di trovare risposte, dove la conoscenza dovrebbe significare qualcosa. Invece, niente. Ogni luogo che nomina è associato al nulla: "non mi ha giovato", "non mi ha insegnato niente", "speravo di trovare un indizio". È una discesa amara e ironica nella disillusione. L’idea che la conoscenza umana, per quanto ampia e ordinata, non ci avvicini minimamente al mistero della vita. Che leggere tutto, studiare tutto, non serva a niente se il fine è capire il senso delle cose.

Ho continuato ad invecchiare, a fare sempre più fatica a vederci…” E qui arriva il crollo. Il corpo si deteriora, la vista svanisce, l’artrite prende il sopravvento. Mentre il sapere rimane sterile, il corpo va avanti, implacabile. La vita scorre, senza dare risposte. Maria ha attraversato il tempo e la cultura, e ne è uscita cieca e con le mani rovinate dalla fatica. Questo è uno dei momenti più duri del monologo, perché toglie ogni romanticismo al concetto di ricerca intellettuale. Quello che rimane è solo una vecchia donna che pulisce, con la sua fatica addosso.

“Però non mi posso lamentare… la vita è un gioco. Vinci o perdi, sei quello che sei.”

La frase potrebbe sembrare un tentativo di consolazione. Una di quelle massime popolari che si dicono per trovare un po’ di senso nel disordine. Ma qui ha un tono strano, quasi forzato. Non sembra crederci davvero. È come se Maria stesse recitando una battuta imparata da qualcun altro. Questa filosofia del “gioco” suona vuota, in bocca sua. E infatti, subito dopo, arriva la frase che cambia completamente il tono della scena. “Almeno non lavoro per gli ebrei.” Una frase che spacca tutto. È volutamente scioccante. Dopo un monologo che sembrava carico di dignità, malinconia, e perfino un tocco di saggezza, arriva questo commento meschino, antisemita, buttato lì come se fosse normale. E qui i Monty Python fanno qualcosa di molto preciso: sabotano la nostra empatia. Ci avevano portato a sentirci vicini a Maria, a condividere la sua delusione, il suo fallimento, la sua umanità. E poi ci ricordano che anche la sofferenza non è garanzia di bontà. Che anche le persone che hanno vissuto “la vita vera” possono essere ignoranti, razziste, ostili.

Conclusione

Il monologo di Maria è uno specchio distorto della condizione umana: la ricerca senza risultato, la vecchiaia, la stanchezza, la consapevolezza che nulla di quello che abbiamo fatto sembra aver contato davvero. E alla fine, perfino il pregiudizio. I Monty Python, come spesso accade, non danno risposte. Smontano, deridono, mostrano il marcio sotto la superficie delle cose. Maria, con la sua voce stanca, è la sintesi di un fallimento collettivo: della cultura che non consola, della conoscenza che non salva, e della vita che non premia chi la vive con onestà. Ed è proprio per questo che quel monologo rimane inciso nella memoria: perché ci fa ridere, ci disorienta e poi ci mette in crisi. Tutto in 90 secondi.

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