Monologo femminile - Sonya in \"Zio Vanja\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il contesto è questo: in Zio Vanja tutto è crollato. Vanja ha tentato di sparare al Professore, senza riuscirci. Elena e il Professore se ne sono andati. Astrov ha chiarito che non ricambierà l’amore di Sonia. La tenuta non sarà venduta, ma è una magra consolazione. La casa torna al suo stato iniziale, ma con un peso in più: la consapevolezza che nulla cambierà davvero. In questo momento di stanchezza e resa, Sonja si avvicina a Vanja con un discorso che sembra una preghiera, una carezza, una visione. 

Vivremo, bisogna vivere!

Atto V

RUOLO: Sonja

Che fare? Bisogna vivere! (Pausa) Noi vivremo, zio Vanja. Vivremo una lunga, una lunga sequela di giorni, di interminabili sere. Sopporteremo pazientemente le prove che ci manderà la sorte. Faticheremo per gli altri, adesso e in vecchiaia, senza conoscere tregua. E quando verrà la nostra ora, moriremo con rassegnazione e là, oltre la tomba, diremo che abbiamo patito, pianto, sofferto amarezza. E Dio avrà compassione di noi, e noi due, zio, zio caro, vedremo una vita limpida, bella, armoniosa, ci rallegreremo e ci volgeremo a guardare commossi, con un sorriso, le nostre sventure presenti. E riposeremo. Io credo, zio, credo con fervore, appassionatamente… (Si mette in ginocchio dinanzi a lui e posa la testa sulle sue mani. Con voce estenuata). Riposeremo! (Telegin suona sommessamente la chitarra) Riposeremo! Udremo gli angeli, vedremo tutto il cielo smaltato di diamanti, vedremo tutto il male terreno, tutti i nostri patimenti annegare nella misericordia che colmerà l’universo, e la nostra vita diverrà deliziosa, serena, soave come una carezza. Io credo, credo… (Gli asciuga con un fazzoletto le lacrime). Povero, povero zio Vanja, tu piangi... (Tra le lacrime) Tu non hai conosciuto alcuna gioia nella tua vita. Ma aspetta, zio Vanja, aspetta… Riposeremo… (Lo abbraccia) Riposeremo! (Il guardiano batte. Telegin accenna una melodia sommessamente. Maria Vasilievna scrive sui margini di un opuscolo. Marina sferruzza) Riposeremo!

Zio Vanja

"Zio Vanja" (titolo originale: Дядя Ваня, Djadja Vanja) è una delle opere più rappresentative di Anton Čechov, scritta nel 1897 e messa in scena per la prima volta nel 1899 al Teatro d'Arte di Mosca, con la regia di Stanislavskij. È un dramma in quattro atti che non segue una struttura narrativa classica fatta di eventi e colpi di scena, ma piuttosto si concentra sul tempo che scorre, sulla tensione tra desiderio e frustrazione, e sul senso di fallimento personale e collettivo.

Ambientazione: Una tenuta di campagna russa, appartenente al Professor Serebrjakov, un intellettuale ormai anziano e malato. La casa è abitata stabilmente da Ivan Petrovic Voinickij (lo Zio Vanja), la madre di lui, la giovane Sonia (figlia del Professore dal primo matrimonio), l’amico medico Astrov, e una serie di altri personaggi che ruotano attorno alla famiglia.

Atto I

La vita nella tenuta scorre lenta e monotona. Zio Vanja, che ha dedicato anni alla gestione delle proprietà del Professore, si lamenta del fatto che tutta questa fatica non ha portato a nulla, se non a una vecchiaia carica di rimpianti. Il Professore è tornato a vivere lì con la sua seconda moglie, Elena, molto più giovane di lui. La presenza di Elena, bella e distante, ha scombussolato gli equilibri della casa: Vanja si è innamorato di lei, così come il dottor Astrov, che però è più interessato ai suoi ideali (come la salvaguardia delle foreste) che ai sentimenti.

Atto II

Il malcontento aumenta. Il Professore si lamenta della vita in campagna e della sua salute. Vanja esplode in un monologo in cui accusa il Professore di aver rovinato la sua vita: lo ha idealizzato come un grande intellettuale, ha sacrificato tutto per lui, ma ora si rende conto che non è altro che un uomo mediocre. Elena è insofferente, Sonia è innamorata di Astrov, ma lui non se ne accorge. La tensione tra i personaggi cresce in modo sottile, ma continuo.

Atto III

Il punto di rottura. Il Professore annuncia che vuole vendere la tenuta, che legalmente appartiene a Sonia, per trasferirsi in città con Elena. Questa proposta fa esplodere Vanja, che accusa apertamente il Professore e, in un momento di rabbia, tenta di sparargli. Fallisce. È un gesto disperato, che rivela tutta la frustrazione di una vita sacrificata a un ideale sbagliato.

Atto IV

Dopo la tempesta, il ritorno alla quiete. Il Professore e Elena se ne vanno. Tutto sembra tornare alla normalità, ma nulla è più come prima. Sonia cerca di consolare Vanja, promettendo che un giorno la loro sofferenza verrà ricompensata, se non in questa vita, in un'altra. 

Analisi Monologo

L’inizio è secco, quasi brutale. Nessuna via di fuga, nessuna alternativa: si deve vivere, punto. Sonja non cerca parole nuove o speranze immediate. Lo dice con la semplicità di chi ha accettato la realtà per quella che è. "Vivremo una lunga, una lunga sequela di giorni, di interminabili sere." L’immagine che costruisce qui è quasi fisica: una distesa piatta e ininterrotta di tempo, fatta di abitudini, fatica, silenzi. La vita è durata, non intensità. C’è qualcosa di profondamente russo e cechoviano in questa visione: non c’è ribellione, ma nemmeno rassegnazione passiva. C’è consapevolezza. "Faticheremo per gli altri… moriremo con rassegnazione…" Questo passaggio ha una dolcezza tragica. Sonia non rivendica nulla per sé o per Vanja. Nessuna ricompensa terrena. Anzi, accetta che la loro esistenza sarà spesa per altri, senza gloria, senza riconoscimento. Ma nel dire questo, c’è anche una forma di forza: l’atto di sopportare diventa un gesto di dignità.

"E Dio avrà compassione di noi…" Qui Sonia si rifugia in una fede quasi mistica. Non tanto religiosa in senso istituzionale, ma una fede nel fatto che qualcosa, qualcuno, prima o poi, li ascolterà. È una visione postuma: non ci sarà consolazione in vita, ma forse dopo. Sonia costruisce una narrativa di redenzione postuma, non per illudere Vanja, ma per offrirgli un punto lontano da guardare, come una stella. "Riposeremo!" (ripetuto più volte) La parola-chiave. Sonia la ripete quasi come un mantra. Non dice "saremo felici", ma “riposeremo”: il desiderio non è più la gioia, ma la fine della fatica. Non è utopia, è tregua. E questa idea diventa l’unico conforto possibile. Il riposo diventa il sogno più alto.

Questi ultimi passaggi sono visioni. Un tono che si avvicina alla poesia, al canto. Sonia non sta più parlando a Vanja con logica, ma sta tentando di cullarlo. Lo abbraccia, asciuga le sue lacrime, gli parla come una madre parla a un figlio in piena notte, cercando di addormentarlo.

La ripetizione finale – “Riposeremo!” – non chiude con una certezza, ma con una speranza che ha bisogno di essere ripetuta per non spegnersi.

Conclusione

Il monologo di Sonia è un atto d’amore silenzioso. Non grida, non accusa, non risolve nulla. Ma contiene un'enorme forza emotiva. Sonia non nega la sofferenza, non la minimizza, la accoglie, la racconta, la sublima. E con questo gesto si prende cura di Vanja in un modo che nessun altro ha fatto. Sonia diventa la vera figura centrale dell'opera: non perché cambia il mondo, ma perché riesce a restare dentro al dolore senza farsi distruggere del tutto.

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