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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è un piccolo gioiello nascosto dentro Star Trek II – L’ira di Khan, e funziona a più livelli: narrativo, filosofico, etico e simbolico. È il momento in cui Carol Marcus — scienziata, madre del figlio di Kirk, e personaggio chiave nella trama — espone le basi teoriche e gli obiettivi del Progetto Genesis. Ma dietro a questo linguaggio tecnico e apparentemente neutrale, si muove una riflessione molto più profonda sulla scienza, sul potere e sull’ambizione umana.
MINUTAGGIO:
RUOLO: Carol
ATTRICE: Bibi Besch
DOVE: Disney+
ITALIANO
Cos’è esattamente il Genesi? Beh, per semplificare, Progetto Genesi è la vita dall’assenza di vita. È un processo in cui la struttura molecolare è riorganizzata a livello sub-atomico nella materia che genera vita di uguale massa. Lo stadio 1 dei nostri esperimenti è stato condotto in laboratorio. Lo stadio 2 sarà sperimentato su una coltura in assenza di vita. Lo stadio 3 vedrà il processo tentato su scala planetaria. È nostra intenzione introdurre il dispositivo Genesi in una zona preselezionata di un corpo spaziale privo di vita, una luna o un altro pianeta inanimato. Il dispositivo viene azionato, provocando istantaneamente ciò che noi chiamiamo “Effetto Genesi”. La materia viene riorganizzata, e il risultato è una rigenerazione vitale. Invece di una luna morta, avremo un pianeta vivente che respira, capace di mantenere qualsiasi forma di vita decidessimo di depositarvi. La luna riorganizzata, simulata qui, rappresenta una frazione minima del potenziale Genesi, e un punto di partenza nel caso la Federazione volesse condurre questi esperimenti su vasta scala. Se consideriamo i problemi cosmici di popolazioni e rifornimento di cibo, l’utilità di questo processo diventa palese. Ciò conclude la nostra proposta. Grazie per la vostra attenzione.
Star Trek II: L’ira di Khan (1982), diretto da Nicholas Meyer, è uno di quei film che non solo ha ridefinito la saga di Star Trek sul grande schermo, ma ha anche portato una delle rivalità più intense e cariche di significato dell’intero universo fantascientifico. Quella tra il Capitano James T. Kirk e Khan Noonien Singh. Ma andiamo con ordine, partendo dal cuore della trama. Il film si apre con una sensazione chiara: il tempo sta passando. Kirk non è più il giovane ufficiale pieno di slancio che comandava l’Enterprise negli anni della Serie Classica. Ora è un ammiraglio, un po’ stanco, un po’ fuori posto dietro una scrivania, con un compleanno che lo rende nostalgico dei suoi giorni di comando. Nel frattempo, a bordo dell’Enterprise, che ora è una nave da addestramento per cadetti della Flotta Stellare, è in corso un’esercitazione sotto il comando della Vulcaniana Saavik, un personaggio che rappresenta una nuova generazione, ma ancora alla ricerca della propria bussola morale. Parallelamente, c’è il Progetto Genesis, un esperimento scientifico altamente avanzato creato dalla dottoressa Carol Marcus e suo figlio David (che scopriamo essere il figlio di Kirk).
Genesis è un dispositivo in grado di riorganizzare completamente la materia, trasformando pianeti morti in ambienti abitabili. Un atto di “creazione tecnologica”. Ma qui entra subito una domanda etica: uno strumento di creazione può anche essere un’arma? Il vero motore narrativo però arriva con il ritorno di Khan Noonien Singh, interpretato da Ricardo Montalbán. Un ex-tyranno geneticamente potenziato, apparso per la prima volta nell’episodio “Space Seed” della Serie Classica. Kirk, anni prima, lo aveva esiliato su Ceti Alpha V, un pianeta che sarebbe dovuto essere stabile e abitabile. Ma una catastrofe cosmica ha reso il pianeta inospitale, portando alla morte della moglie di Khan e alla sofferenza dei suoi uomini. Khan, sopravvissuto con pochi fedelissimi, viene riscoperto casualmente dall’equipaggio della nave Reliant, in missione per trovare un pianeta adatto al test del Progetto Genesis. È a questo punto che inizia la vendetta. Khan prende il controllo della Reliant, si impadronisce del dispositivo Genesis e lancia la sua caccia personale a Kirk, che lui ritiene responsabile della sua condanna e della morte della moglie. Quello che segue è una partita a scacchi tra due menti brillanti, ma invecchiate. Kirk non è più nel suo apice fisico, ma ha ancora l’astuzia e l’esperienza. Khan è consumato dall’odio, e questa ossessione diventa il suo limite più grande.
I due non si incontrano mai fisicamente in tutto il film. Si sfidano attraverso le comunicazioni, i silenzi, le trappole. C’è una tensione continua che cresce fino al climax finale. Il momento più forte del film è legato al sacrificio di Spock. Quando la Reliant, ormai sconfitta, esplode attivando Genesis, l’Enterprise è troppo vicina per scappare. Spock, consapevole che l’unico modo per salvare l’equipaggio è riattivare manualmente i motori, entra nella camera di contenimento del nucleo a curvatura, assorbendo una dose letale di radiazioni. Il film si chiude sul pianeta Genesis, dove Spock viene sepolto con un rito Vulcaniano, ma la macchina da presa ci mostra qualcosa di più: una possibilità di rinascita. Il sarcofago vuoto, e un terreno che sembra pulsare di nuova vita.
Carol apre con una frase che sembra semplice, ma è potentissima: “Progetto Genesis è la vita dall’assenza di vita.” Questa è una definizione affascinante. Non sta dicendo "creare vita", sta dicendo estrarla dal nulla, riorganizzando ciò che è morto, inanimato. La sua visione è essenzialmente quella di una genesi laica, in cui non esiste un atto divino, ma un processo scientifico. Qui si apre già la prima grande domanda: se l’uomo ha la capacità di creare vita, cosa succede al concetto di “limite”?
“Struttura molecolare riorganizzata a livello sub-atomico”. Con questa frase, Carol veste i panni della scienziata: linguaggio tecnico, apparentemente oggettivo. Ma è interessante notare che la scienza in questo caso non è fine a sé stessa: è un mezzo per cambiare il mondo, letteralmente. La riorganizzazione sub-atomica suggerisce un controllo assoluto sulla materia. Ma un controllo del genere ha dei rischi enormi. Il film stesso ce lo dirà, più avanti, tramite David: “Mio Dio, li hai trasformati in Dio.” E quindi il monologo, anche se non lo dice apertamente, introduce il vero nucleo tematico del film: il confine tra creazione e distruzione.
“Lo stadio 3 vedrà il processo tentato su scala planetaria” Qui comincia la parte più inquietante, perché la scala cambia. Non si parla più di esperimenti controllati. Ora l’esperimento riguarda interi pianeti. E l’idea di “tentare” il processo implica che non c’è certezza dell’esito. È un salto nel buio. Un po’ come il Progetto Manhattan durante la Seconda Guerra Mondiale: i fisici sapevano cosa stavano facendo… ma fino a un certo punto.
“Una rigenerazione vitale” Questo è il cuore ideologico del Progetto Genesis. Il termine rigenerazione non è casuale: richiama un ciclo naturale, una rinascita. Carol ci tiene a sottolineare che ciò che stanno facendo non è artificiale, ma una forma superiore di natura. Solo che qui la natura è guidata dall’uomo. E proprio in questo passaggio si annida una tensione tragica: il film ci farà vedere come questo atto “rigenerativo” possa trasformarsi in un’arma potentissima. Khan lo capisce subito. Carol no.
“Capace di mantenere qualsiasi forma di vita decidessimo di depositarvi” Questa frase ha un tono coloniale che probabilmente oggi suonerebbe anche problematico. L’idea che l’uomo depositi forme di vita dove non c’è niente implica un potere assoluto, una superiorità che il film, in modo molto sottile, ci invita a mettere in discussione. È l’uomo che decide cosa deve vivere, e dove. E questo potere non è mai privo di conseguenze.
“L’utilità di questo processo diventa palese” Carol chiude con un appello pragmatico: cibo, popolazione, sopravvivenza. È la scienza come risposta ai problemi dell’umanità. E funziona. Funziona sempre. Finché non cade nelle mani sbagliate.
Il monologo di Carol Marcus è una dichiarazione d’intenti. Mostra un lato della scienza che sogna, che crede nel potere positivo della conoscenza, e che vuole risolvere i problemi dell’universo abitato con soluzioni strutturali. Ma è anche un pezzo fondamentale del puzzle morale del film. L’ira di Khan ci mostra cosa succede quando le intenzioni idealistiche entrano in contatto con la realtà brutale del potere e della vendetta. Carol parla con convinzione e passione, ma non vede — o non vuole vedere — che la stessa tecnologia può essere usata per distruggere ciò che dovrebbe salvare. E non è una coincidenza se proprio il figlio David, cresciuto nel dubbio, sarà quello a dirle: “La Flotta ci ha usati, mamma.”
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