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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è uno dei momenti chiave del film, una scena che sintetizza perfettamente il carisma, l’arroganza e l’intelligenza di Lydia Tár. Avviene durante una lezione alla Juilliard, dove Lydia si scontra con un giovane studente, Max, che esprime la propria avversione per Bach a causa della sua visione patriarcale e del contesto storico in cui è vissuto. Il discorso di Lydia è un misto di sarcasmo, provocazione e riflessione filosofica sulla separazione tra arte e artista. Sfida apertamente le convinzioni dello studente, portandolo a confrontarsi con la magnitudine della musica, indipendentemente da chi l’abbia scritta o dal contesto sociale in cui è nata. Ma sotto la superficie, il monologo rivela anche qualcosa di più profondo: il bisogno di Lydia di affermare il proprio dominio intellettuale e il suo rifiuto di accettare un cambiamento di prospettiva nel mondo della musica.
MINUTAGGIO: 30:00-31:48
RUOLO: Lydia Tar
ATTRICE: Cate Blanchett
DOVE: Netflix
ITALIANO
Mi dispiace, non capisco cosa centrino le sue prodezze coniugali con la messa in Re Minore. Ok, fa niente, sono scelte tue. Insomma, dopotutto l’anima si sceglie i proprio compagno. Ma ricordate che l’altra faccia di quella scelta è che chiude le valvole della nostra attenzione. Ora, naturalmente, separare cosa è accettabile, o non accettabile è concetto base di molte per non dire quasi tutte le orchestre sinfoniche oggigiorno, che lo vedono come loro imperiale diritto di decidere per i cretini. Quindi, per quanto scivolosa, vale la pena esaminare l’avversione di Max. E’ lecito che la musica classica scritta da una masnada di etero austrotedeschi bigotti di pelle bianca ci esalti? Individualmente quanto collettivamente? E chi, mi permetto di chiedere, ha il diritto di deciderlo? Vogliamo parlare di Beethoven? Lui ti piace? Perché a me, in quanto lesbica monogama non convince troppo il vecchio Ludvig, ma allora lo affronto. E mi ritrovo faccia a faccia con la sua magnitudine. E inevitabilità. Vieni Max, assecondami. Concediamo a Bach uno sguardo simile.
“TÁR” di Todd Field è un film che scava nella psiche di un personaggio straordinario e controverso: Lydia Tár, direttrice d’orchestra di fama mondiale, interpretata da Cate Blanchett. La storia è un'immersione nel mondo della musica classica, un ambiente rigidamente strutturato e carico di dinamiche di potere, e segue la protagonista mentre il suo regno inizia a sgretolarsi sotto il peso di accuse e scandali. Il film ci introduce a Lydia Tár all’apice della carriera: è la prima donna a dirigere la prestigiosa orchestra di Berlino, ha un’agenda fitta di impegni, un’autobiografia in uscita e una registrazione in programma della Quinta Sinfonia di Mahler, un traguardo simbolico per ogni direttore. Il mondo la venera, la critica la esalta. Il controllo è il suo strumento principale, tanto nella musica quanto nei rapporti umani.
Ma sotto la superficie si avvertono tensioni. Tár è carismatica, geniale, ma anche manipolatrice e autoritaria. Ha una relazione con Sharon (Nina Hoss), la sua prima violinista, e condivide con lei una figlia, ma nel suo ambiente si sussurra di favoritismi e abusi di potere. Il punto di rottura arriva quando Krista, una giovane direttrice che Tár aveva preso sotto la sua ala per poi escluderla bruscamente dal mondo della musica, si suicida. La vicenda scatena accuse sempre più pesanti contro Tár, che emergono prima sui social e poi in ambito legale.
Da qui inizia la sua discesa. La percezione pubblica cambia rapidamente, gli amici si allontanano, il suo potere si sgretola. Nel tentativo disperato di mantenere il controllo, compie scelte che la isolano ulteriormente, fino a ritrovarsi completamente estromessa dal mondo che aveva dominato. L'ultima scena la mostra in un contesto completamente diverso, costretta a dirigere un'orchestra in un luogo marginale, per un pubblico che non conosce la sua gloria passata. La caduta è totale.
“Mi dispiace, non capisco cosa centrino le sue prodezze coniugali con la messa in Re Minore.” Lydia inizia con una battuta sprezzante. Non sta realmente cercando di comprendere il punto di vista di Max, ma sta subito ridicolizzando la sua posizione. Il suo tono è quello di chi smonta un’argomentazione senza prenderla sul serio, affermando implicitamente la superiorità del proprio pensiero. “Dopotutto, l’anima si sceglie il proprio compagno.” Qui Lydia introduce un concetto interessante: la scelta dell’anima come metafora della selezione estetica.
Sta suggerendo che ogni individuo ha il diritto di decidere cosa ascoltare e cosa ignorare, ma allo stesso tempo avverte del pericolo di questa scelta:
“L’altra faccia di quella scelta è che chiude le valvole della nostra attenzione.” Con questa frase, Lydia mette in discussione la mentalità di Max e, più in generale, quella di una nuova generazione che rifiuta la musica di compositori del passato sulla base di questioni etiche o sociali. Il suo avvertimento è chiaro: escludere qualcosa per motivi ideologici significa anche perdere la possibilità di scoprirne la bellezza.
“Ora, naturalmente, separare cosa è accettabile o non accettabile è concetto base di molte, per non dire quasi tutte le orchestre sinfoniche oggigiorno, che lo vedono come loro imperiale diritto di decidere per i cretini.” Lydia critica l’attuale tendenza delle istituzioni musicali a filtrare il repertorio sulla base di criteri etici o politici. La sua scelta di parole è volutamente polemica: parla di imperiale diritto e usa cretini per enfatizzare il suo disprezzo verso chi si lascia guidare da queste logiche. Qui emerge il tema del conflitto tra tradizione e progressismo. Lydia si posiziona come una difensora della musica in sé, contro ogni tentativo di reinterpretarla alla luce di criteri esterni. Ma il modo in cui lo fa è aggressivo, quasi dittatoriale, suggerendo che lei stessa sta esercitando un potere simile a quello che critica.
“E chi, mi permetto di chiedere, ha il diritto di deciderlo?” Questa domanda è il cuore del monologo. Lydia sfida Max e, indirettamente, il pubblico, ponendo una questione fondamentale: chi può stabilire quali artisti siano degni di essere ascoltati? La sua risposta implicita è: nessuno. L’arte, secondo Lydia, è qualcosa che trascende l’identità e la morale. “Vogliamo parlare di Beethoven? Lui ti piace? Perché a me, in quanto lesbica monogama, non convince troppo il vecchio Ludwig, ma allora lo affronto.” Questa frase è uno dei momenti più taglienti del monologo. Lydia usa il suo stesso orientamento sessuale per ironizzare sul concetto di identità applicato alla musica: se seguiamo la logica di Max, allora anche lei dovrebbe rifiutare Beethoven perché la sua esperienza di vita non è allineata alla sua. Ma lei lo affronta, ovvero lo ascolta e si lascia conquistare dalla sua magnitudine e inevitabilità.
Questa scelta di parole è importante. Lydia non dice che Beethoven le “piace”, ma che è inevitabile. Per lei, la grande musica non è una questione di preferenza, ma di realtà oggettiva. “Vieni Max, assecondami. Concediamo a Bach uno sguardo simile.” Il monologo si chiude con un invito che, in realtà, è una sfida. Lydia non sta realmente cercando un confronto con Max: lo sta mettendo alla prova, costringendolo a seguire la sua logica e a riconoscere che, al di là delle ideologie, la musica ha un valore intrinseco che non può essere cancellato.
Questo monologo è una perfetta sintesi della personalità di Lydia Tár. È brillante, sarcastica e implacabile nel suo modo di argomentare. Il suo discorso è una difesa appassionata della musica come forma d’arte al di sopra delle questioni sociali e politiche, ma è anche un momento che mette in luce il suo atteggiamento autoritario. Il film ci porta a chiederci: Lydia ha davvero ragione? O il suo rifiuto di accettare il cambiamento è parte della sua cecità? Il monologo non dà una risposta definitiva, ma ci offre un ritratto potente di un personaggio che, nel suo desiderio di difendere l’arte, finisce per chiudersi in una torre d’avorio, incapace di vedere le nuove dinamiche culturali che la circondano.
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