Monologo femminile teatrale - \"Antigone\" di Sofocle

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Antigone che analizziamo è uno dei passaggi più intensi e significativi della tragedia di Sofocle. In queste parole, pronunciate mentre si avvia verso la sua sepoltura vivente, la protagonista esprime il suo dolore, la sua determinazione e il conflitto interiore che la consuma. È un momento di straordinaria complessità, dove temi come il dovere verso la famiglia, l'isolamento personale e lo scontro tra legge divina e legge umana si intrecciano in una riflessione profonda e universale.

Tomba, stanza nuziale

Tomba, stanza nuziale, prigione sotterranea, mia dimora eterna, ecco, io vado incontro ai miei cari. La maggior parte di loro li ha già accolti Persefone fra i morti: l’ultima io, la più infelice, giungo prima di aver compiuto la mia vita. Nutro in me tuttavia questa speranza, di giungere gradita a mio padre e a te, madre, e a te, fratello mio; perché fui io, con le mie mani, a lavare i vostri corpi, a vestirli, a versare le libagioni, quando siete morti. E ora Polinice è questo che ricevo per aver sepolto il tuo cadavere. Eppure, per coloro che hanno mente saggia, ti ho reso il giusto onore. Se si fosse trattato dei miei figli, se avessi visto il corpo del marito imputridire nella morte, non avrei affrontato questa lotta, sfidando la città. Perché parlo così? In base a quali norme? Perché se muore il marito posso averne un altro, e se perdo un figlio posso averne un altro. Ma poiché mia madre e mio padre sono nell’Ade non potrò avere più un altro fratello. Ecco perché ho scelto di onorarti, fratello mio, e per questo Creonte mi ritiene colpevole di una tremenda audacia. E mi ha presa e mi trascina così: senza letto nuziale, senza inni di nozze; non ho avuto un marito, non ho cresciuto figli; abbandonata dagli amici scendo, ancora viva, alle dimore dei morti. Quale giustizia divina ho trasgredito? E perché allora mi rivolgo ancora agli dei, infelice che sono, e chi posso chiamare in aiuto? Mi hanno giudicata empia per un atto di pietà. Se per gli dei è giusto tutto questo allora, attraverso il dolore, riconoscerò la mia colpa. Ma se invece sono loro i colpevoli, spero che soffrano quello che fanno soffrire a me, contro giustizia.

L'Antigone

"Antigone" di Sofocle è una delle opere più celebri del teatro greco e fa parte della trilogia tebana, anche se fu scritta per ultima rispetto agli altri due drammi ("Edipo re" e "Edipo a Colono"). La tragedia, andata in scena intorno al 442 a.C., affronta temi di potere, giustizia, famiglia e il conflitto tra legge divina e legge umana.


La vicenda si colloca dopo gli eventi della guerra dei "Sette contro Tebe". I due fratelli di Antigone, Eteocle e Polinice, si sono uccisi a vicenda nella battaglia per il trono di Tebe. Creonte, lo zio di Antigone e ora nuovo re della città, decreta che Eteocle (difensore della città) venga sepolto con tutti gli onori, mentre Polinice (ritenuto traditore) venga lasciato insepolto, alla mercé di uccelli e animali. Secondo la cultura greca, questa punizione è tremenda: senza sepoltura, l'anima del defunto non può trovare pace nell'aldilà.


Antigone, figlia di Edipo e sorella dei due morti, non può accettare che Polinice venga lasciato insepolto. Per lei, il dovere verso la famiglia e le leggi divine supera qualsiasi ordine umano. Decide quindi di disobbedire a Creonte, rischiando la vita per dare al fratello una sepoltura degna. Ismene, la sorella di Antigone, inizialmente cerca di dissuaderla, ricordandole i pericoli di sfidare l'autorità. Ma Antigone è irremovibile: compie il rito funebre per Polinice, venendo però scoperta e arrestata.


Il cuore della tragedia è lo scontro ideologico tra Antigone e Creonte. Da un lato, Antigone rappresenta i valori della famiglia, la pietà religiosa e l'obbedienza alle leggi divine. Dall'altro, Creonte incarna l'autorità statale, la necessità di mantenere l'ordine e il potere del sovrano.

Creonte non cede di fronte alla sfida di Antigone: la condanna a morte, ordinando che venga rinchiusa viva in una grotta. L'ostinazione del re si scontra con le parole del coro e del profeta Tiresia, che lo avvertono del rischio di sfidare la volontà degli dèi. Ma Creonte, convinto di essere nel giusto, non ascolta.


Solo quando Tiresia predice una catastrofe personale, Creonte si ravvede e decide di liberare Antigone. Ma è troppo tardi: Antigone si è già impiccata nella grotta. A causa della sua morte, anche Emone, il figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, si toglie la vita. Sopraffatta dal dolore, anche la moglie di Creonte, Euridice, si suicida.

Analisi Monologo

Questo monologo di Antigone, tratto dall'opera di Sofocle, è uno dei momenti più intensi e struggenti della tragedia. La protagonista, condannata a morte per aver disobbedito al decreto di Creonte, pronuncia queste parole mentre si avvia verso la sua sepoltura vivente. È un discorso che mescola dolore, riflessione e sfida, e che tocca profondamente i temi principali del dramma.


Antigone inizia il monologo rivolgendosi alla sua "tomba", descritta in maniera quasi paradossale: una stanza nuziale, una prigione sotterranea e, infine, la sua dimora eterna. Queste immagini sovrapposte sottolineano la condizione unica e tragica della protagonista: la tomba che la attende è il luogo in cui Antigone "sposa" simbolicamente la morte, al posto di un matrimonio terreno e di una vita normale.


L'inizio del monologo stabilisce una forte connessione tra Antigone e il suo destino, che lei accetta come inevitabile, pur riconoscendone l'ingiustizia. Parla di sé come l'ultima e la più infelice della sua famiglia, evidenziando il peso della maledizione ereditaria che grava sulla casa di Edipo e il senso di isolamento che la consuma.


Un punto cruciale del monologo è la giustificazione delle sue azioni nei confronti di Polinice. Antigone ricorda i doveri sacri che ha adempiuto verso i membri della sua famiglia: ha lavato i loro corpi, li ha vestiti, ha offerto libagioni e, infine, ha seppellito Polinice. In un contesto culturale come quello greco, il rispetto per i morti era considerato un obbligo inviolabile, tanto da essere sancito dalle leggi divine. Antigone è consapevole che questa devozione l'ha portata a sacrificare ogni altra possibilità di vita: il letto nuziale, i figli, la gioia di un’esistenza normale. La contrapposizione tra l'amore per la famiglia e la privazione del futuro rende questo passaggio carico di pathos. Un aspetto sorprendente del monologo è la logica con cui Antigone giustifica la sua scelta di anteporre il fratello Polinice a qualsiasi altra relazione. La protagonista afferma che, se avesse perso un marito o dei figli, avrebbe potuto averne di nuovi; ma poiché i suoi genitori sono morti, Polinice è un legame irripetibile e insostituibile. Questo ragionamento, che oggi potrebbe suonare freddo, è invece una riflessione coerente con i valori e le strutture familiari della Grecia antica, dove la stirpe e la continuità del sangue erano fondamentali. L’argomentazione mette in luce anche l'estremo isolamento di Antigone: la perdita dei suoi genitori ha spezzato qualsiasi possibilità di nuovi legami fraterni, trasformando Polinice nel simbolo di tutto ciò che per lei è sacro.


Un elemento chiave del monologo è la tensione tra giustizia divina e giustizia umana. Antigone si interroga amaramente: "Quale giustizia divina ho trasgredito?" La protagonista non trova risposta e, nella sua disperazione, si rivolge agli dèi chiedendo giustizia per sé e una punizione per coloro che hanno causato la sua sofferenza. Questo passaggio è anche una sottile accusa: se gli dèi permettono che un atto di pietà venga punito, allora anche loro sono colpevoli.


Un tema centrale del monologo è la tragica ironia della situazione: Antigone è punita per un atto che, nella sua visione e in quella della tradizione greca, dovrebbe essere considerato giusto. La pietà verso il fratello Polinice diventa agli occhi di Creonte un’azione empia e una sfida all'autorità. Questa inversione di valori è il cuore della tragedia: l'atto più nobile e sacro per Antigone viene giudicato il più colpevole da Creonte.


Un elemento che colpisce profondamente è il senso di isolamento totale che traspare dalle parole di Antigone. È abbandonata da tutti: senza amici, senza marito, senza figli. La sua morte è presentata come una discesa solitaria nell’Ade, senza il conforto di un amore terreno o di una vita pienamente vissuta.


Il coro, che in altri punti dell’opera cerca di interpretare e guidare gli eventi, qui rimane spettatore impotente. Questo silenzio amplifica il senso di solitudine di Antigone, accentuando il suo ruolo di eroina tragica destinata a morire per ciò in cui crede.

Conclusione

Il monologo di Antigone rappresenta il culmine della sua tragica parabola, un grido di dolore che diventa allo stesso tempo una dichiarazione di principio e una sfida al mondo che l’ha condannata. Le sue parole ci mostrano una figura che, pur spezzata dalla sofferenza e dall'isolamento, rimane inflessibile nella sua convinzione di aver agito nel giusto. È un momento di grande intensità emotiva e filosofica, dove Sofocle ci lascia con domande fondamentali sul rapporto tra giustizia, potere e pietà.

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