Monologo femminile teatrale - Elena in \"Sogno di una notte di mezza estate\", di William Shakespeare

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Elena è uno dei personaggi più emotivamente esposti dell’intera commedia “Sogno di una notte di mezza estate”. È innamorata di Demetrio, ma lui la respinge con freddezza, ossessionato invece da Ermia. In questo monologo (Atto I, Scena I), Elena parla da sola, riflettendo sul dolore dell’essere rifiutata e sulla natura dell’amore. È un momento di confessione, ma anche di lucidità quasi brutale: qui non c’è il tono comico del teatro nel teatro, né la magia delle fate. C’è solo una giovane donna che cerca disperatamente di dare un senso al proprio smarrimento.

Che senso ha esser bella se non mi ama Demetrio

ATTO PRIMO-SCENA PRIMA

ELENA


Come qualcuno può esser più felice
di qualcun altro! Tutta Atene dice
che io sono bella come lei. Che me ne viene?
Demetrio non lo pensa, lui non vede
quello che, tranne lui, ogni altro vede
Per gli occhi d’Ermia lui stravede e sbaglia,
ma sbaglio anch’io, perché lui mi abbaglia.
In cose basse e vili, prive di qualità,
Amore trasferisce sostanza e dignità.
Per questo lo dipingono alto che non vede,
E Amore nel giudizio, si sa, è sconsiderato,
ha l’ali e non ha gli occhi, la fretta ed è sbadato.
Perciò si dice che Amore sia un bambino,

perché nelle sue scelte non guarda da vicino.
E come un ragazzetto bugiardo che si vanta,
il ragazzetto Amore spergiura a destra e manca.
Demetrio, prima di vedere gli occhi d’Ermia,
giurava promesse, giurava fede eterna.
Ma quando questa grandinata sentì
dal me si sciolse
e quella grandinata si dissolse.
Gli dirò d’Ermia, che intende fuggire,
così domani la vorrà inseguire.
Se per l’informazione m’ingrazia,
Se la pago a caro prezzo questa grazia,
Ma la mia pena almeno avrà uno sconto,
se lo vedo all’andata e poi al ritorno.

Esce.

Sogno di una notte di mezza Estate

Parliamo di Sogno di una notte di mezza estate, una delle commedie più giocate e adattate di Shakespeare, scritta intorno al 1595. È una drammaturgia che si muove su più livelli, intrecciando mondi diversi: quello degli umani, quello degli spiriti e quello del teatro nel teatro. Siamo ad Atene, dove il Duca Teseo si sta preparando a sposare Ippolita, regina delle Amazzoni. Questo matrimonio è il punto di partenza e anche il punto d’arrivo di tutta la vicenda. Intorno a questa cornice ruotano tre nuclei narrativi che si intrecciano in modo sempre più caotico e poetico man mano che si entra nel bosco, letteralmente e simbolicamente.

Ermia ama Lisandro, ma il padre la vuole sposata a Demetrio. Demetrio, da parte sua, è amato da Elena, che lui però rifiuta. I quattro ragazzi scappano o inseguono qualcuno nel bosco, e qui succede il disastro: Oberon, re degli spiriti, decide di aiutare Elena e ordina al suo servo Puck di far innamorare Demetrio di lei usando un filtro magico. Solo che Puck sbaglia persona, e il filtro finisce negli occhi di Lisandro. Risultato: entrambi i ragazzi si innamorano di Elena, lasciando Ermia disperata.

Nel bosco regna il conflitto tra Oberon e Titania, regina delle fate. Oberon vuole un giovane paggio che Titania non vuole cedere. Per vendicarsi, Oberon le fa versare negli occhi lo stesso filtro magico che cambia gli amori degli umani, e Titania finisce per innamorarsi... di un artigiano trasformato da Puck in un asino (Bottom, il tessitore). Questo segmento è un gioco continuo tra il grottesco e il lirico, tra eros e farsa. Un gruppo di artigiani ateniesi si ritrova per mettere in scena una tragedia d’amore (la storia di Piramo e Tisbe) da rappresentare al matrimonio del duca. È il teatro nel teatro. Questi personaggi portano la componente più comica e autoironica del testo. Bottom, il più ambizioso e goffo, è quello che subisce la trasformazione in asino e diventa il bersaglio dell’amore assurdo di Titania.

Quello che Shakespeare fa è usare il sogno come lente per osservare i sentimenti umani, ma anche per deformarli, estremizzarli, ridicolizzarli. Tutti i personaggi passano attraverso una trasformazione, chi più consapevole, chi totalmente inconsapevole. Il bosco è uno spazio liminale dove le regole del mondo reale non valgono più, un luogo dove desideri e paure vengono amplificati. Alla fine si torna ad Atene, apparentemente “svegli”, ma qualcosa è cambiato.

Il “sogno” è duplice. È sia quello vissuto dai personaggi – letteralmente, nella notte incantata – sia quello teatrale, condiviso con il pubblico. Alla fine, Puck si rivolge direttamente agli spettatori, rompendo la quarta parete, e suggerendo che quello che hanno visto forse è stato solo un sogno. Un trucco. Un teatro.

Monologo e Personaggio

"Come qualcuno può esser più felice di qualcun altro!"

La battuta d’apertura è una domanda che sa di sfogo. Non è solo gelosia, è un’inquietudine esistenziale: perché Ermia, che non è più bella di me, ha l’amore di Demetrio e io no? Da subito, Elena ci mette davanti alla disparità tra percezione sociale e realtà emotiva. Tutti, dice, dicono che io sia bella, ma a che serve, se l’unico che conta non mi guarda? "Per gli occhi d’Ermia lui stravede e sbaglia, / ma sbaglio anch’io, perché lui mi abbaglia." Qui arriva una svolta interessante. Elena riconosce che Demetrio è accecato dall’amore, ma ammette di essere vittima dello stesso tipo di illusione. Shakespeare gioca sul concetto di vista e cecità amorosa, e lo fa attraverso un gioco linguistico che riflette l’instabilità dei sentimenti: stravede, abbaglia, non vede. L'amore, in questo passaggio, è una distorsione della realtà.

"In cose basse e vili, prive di qualità, / Amore trasferisce sostanza e dignità."

Elena descrive l’amore come una forza che migliora chi ama, e che eleva oggetti indegni a qualcosa di prezioso. È una riflessione amara: sta dicendo, tra le righe, che anche se Demetrio la disprezza, lei continua a vederlo come se fosse qualcosa di nobile. È una dinamica psicologica fortissima: l’idealizzazione dell’altro anche quando ci ferisce. "Per questo lo dipingono alto che non vede, / E Amore nel giudizio, si sa, è sconsiderato" Qui Shakespeare ci offre un concentrato di filosofia popolare sul sentimento amoroso: Amore è cieco, Amore è un bambino, Amore è impulsivo. Elena non sta solo soffrendo: sta cercando di razionalizzare il suo dolore usando un sapere condiviso. Ma è un sapere che, in fondo, non consola.

"Demetrio, prima di vedere gli occhi d’Ermia, / giurava promesse, giurava fede eterna." Il tono qui si fa accusatorio, ma mai rabbioso. Elena ricorda a se stessa – e a noi – che Demetrio l’amava. Eppure l’ha dimenticata senza pietà. Questo rende il suo attaccamento ancora più struggente: lei resta fedele a un’idea di amore che l’altro ha abbandonato con leggerezza. "Gli dirò d’Ermia, che intende fuggire, / così domani la vorrà inseguire." Ed eccoci al paradosso finale: Elena decide di aiutare Demetrio a trovare Ermia. È un gesto disperato, e quasi autolesionista. Ma per lei, anche solo vederlo – anche solo accompagnarlo in quella ricerca – è meglio che stare da sola. L’amore, qui, è una forma di dipendenza.

Conclusione

Il monologo di Elena è uno specchio delle insicurezze che Shakespeare affida spesso ai personaggi femminili più giovani e vulnerabili. Ma Elena non è ingenua: è consapevole della sua sofferenza e del funzionamento distorto dell’amore. Ed è proprio questa consapevolezza che la rende così vera.

Nel contesto della commedia, questo sfogo è un momento sospeso tra la comicità generale e la tragedia personale. 

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