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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Titania, tratto da Sogno di una notte di mezza estate, è uno di quei momenti in cui Shakespeare apre un varco dentro la favola e ci fa intravedere qualcosa di molto più serio. E non è affatto casuale che questo sfogo provenga da Titania, la regina delle fate, figura magica ma dotata di una coscienza acuta e, in questo passaggio, quasi profetica. Ci troviamo all'inizio dell'atto II. Titania e Oberon si incontrano nel bosco e, invece di salutarsi come sovrani del mondo fatato, iniziano una lite aspra. Il nodo del conflitto è il bambino indiano che Titania si rifiuta di consegnare a Oberon. Ma il monologo va oltre la disputa personale: Titania racconta le conseguenze cosmiche della loro rottura.
ATTO PRIMO
TITANIA
Tutte invenzioni della gelosia.
Mai, dall’inizio dell’estate, mai
una volta ci fossimo incontrati
– per colli o valli, nei boschi o sui prati,
presso rivi limosi o lisce fonti,
o sulla sabbia quando in riva al mare
balliamo in tondo al fischio del vento –
senza che tu non abbia disturbato
i nostri giochi con le tue scenate!
E così i venti, stufi di zufolare a vuoto,
per vendetta hanno succhiato su dal mare
nebbie malsane che ricadendo al suolo
hanno reso ogni fiume, anche il più insulso,
così superbo da sopraffare gli argini.
E così il bue ha tirato il giogo invano
e il contadino ha sciupato il suo sudore,
e il giovane granoturco è infradiciato
prima di farsi crescere la barba.
L’ovile è vuoto nel campo allagato,
ma la morìa dei greggi ingrassa i corvi.
Lo spiazzo dei giochi è pieno di fango
e l’ingegnoso intreccio dei sentieri
tra l’erba alta, ora, non più battuto,
è indistinguibile.
Agli uomini ora mancano i conforti
dell’inverno; ora le notti non sono
più allietate da càrole e da canti.
La luna poi, che governa le maree,
pallida d’ira bagna tutta l’aria,
e abbondano le malattie reumatiche.
E le stagioni in questo turbamento
si snaturano: geli canuti cadono
nel fresco grembo della rosa crèmisi,
e sulla fredda zucca spelacchiata
del vecchio Inverno viene posta, come
per beffa, una ghirlanda estiva
di teneri boccioli profumati.
La primavera, l’estate, l’autunno
fertile e il tempestoso inverno mutano
i loro abiti usuali, e il mondo,
sbalordito da questi loro eccessi,
non sa più qual è l’una e qual è l’altra.
E questi mali sono la progenie
della nostra litigiosa contesa.
Ne siamo i genitori, in noi è l’origine.
“Sogno di una notte di mezza estate” è una commedia scritta da William Shakespeare tra il 1595 e il 1596, ed è uno di quei testi che il cinema e il teatro continuano a reinterpretare da secoli, proprio per la sua struttura narrativa fluida e stratificata. È una storia che vive su più piani e si muove tra mondo reale, mondo magico e finzione teatrale.
La vicenda si svolge ad Atene e nei boschi incantati che la circondano. Già qui Shakespeare mette in scena un dualismo: città e natura, ordine e caos, legge e desiderio. E la storia si sviluppa proprio su tre binari narrativi che si intrecciano.
La commedia si apre con Teseo, duca di Atene, che si sta preparando a sposare Ippolita, regina delle Amazzoni. Entra in scena Egeo, un cittadino ateniese, che porta con sé la figlia Ermia per chiederle di sposare un uomo scelto da lui: Demetrio. Ma Ermia è innamorata di un altro: Lisandro. E qui Shakespeare già introduce il primo tema caldo: l’autorità paterna vs. il desiderio individuale.
Ermia e Lisandro decidono di fuggire nei boschi per sposarsi in segreto. Ma la loro fuga viene seguita da Elena, amica di Ermia, innamorata follemente di Demetrio. E a sua volta, Demetrio segue Elena nei boschi per cercare Ermia. Questo gruppo di giovani innamorati diventa presto il cuore del caos amoroso che esploderà nel bosco.
Nel bosco ci sono i veri “registi invisibili” della storia: Oberon e Titania, re e regina delle fate, in piena crisi di coppia. Litigano per un bambino che Titania si rifiuta di cedere a Oberon. Per vendicarsi, Oberon ordina al suo aiutante, Puck (noto anche come Robin Goodfellow), di usare un fiore magico: il succo di quel fiore, versato sugli occhi di una persona addormentata, fa innamorare la vittima della prima creatura che vedrà al risveglio.
Oberon ha due obiettivi:
Sistemare la relazione tra Demetrio e Elena, facendo in modo che anche lui si innamori di lei.
Umiliare Titania facendola innamorare di qualcosa di assurdo.
Puck, però, sbaglia bersaglio: unge gli occhi di Lisandro, che al risveglio si innamora di Elena, abbandonando Ermia. E poi unge anche quelli di Demetrio, che si innamora anch’egli di Elena. Risultato: entrambi i ragazzi ora inseguono Elena, mentre Ermia viene lasciata sola e umiliata.
Nel frattempo, Titania si sveglia e si innamora di Bottom, un artigiano al quale Puck ha magicamente trasformato la testa in quella di un asino. Bottom fa parte di un gruppo di attori dilettanti che si sono ritirati nel bosco per provare una tragedia da presentare al matrimonio del duca.
Questo terzo gruppo – i cosiddetti “meccanici” – porta avanti una sorta di metateatro. Sono personaggi rozzi, buffi, con un’idea molto approssimativa di cosa significhi fare teatro. Eppure Shakespeare ci fa affezionare a loro: rappresentano l’arte ingenua, il desiderio umano di raccontare storie, anche quando i mezzi sono poveri.
La loro rappresentazione finale – la tragedia di Piramo e Tisbe – è un capolavoro involontario di comicità e si pone come riflesso e parodia delle dinamiche d’amore che si sono appena risolte nella trama principale.
Alla fine, Oberon interviene per sistemare gli errori di Puck. Tutti tornano ad amare chi dovrebbero amare:
Demetrio resta innamorato di Elena.
Lisandro torna a Ermia.
Titania si libera dell’incantesimo.
Bottom torna normale (più o meno).
Si celebra il matrimonio di Teseo e Ippolita, insieme a quelli dei due giovani amanti. E la compagnia degli artigiani si esibisce davanti alla corte, in una scena volutamente grottesca e autoironica che Shakespeare usa per giocare con il teatro stesso.
Titania risponde alle accuse di Oberon con questa frase secca: la gelosia di lui ha scatenato il caos. Da qui in poi, il testo si espande come un’onda, passando da un livello personale a uno cosmico. Il ritmo del discorso è incalzante, poetico, ma i riferimenti sono concreti, quasi agricoli: si parla di fiumi che esondano, campi allagati, greggi morti, contadini delusi, bambini senza giochi, vecchi con dolori reumatici. Titania, pur essendo una creatura ultraterrena, si preoccupa delle conseguenze fisiche del conflitto.
Qui Shakespeare ci regala un’immagine fortissima: liti tra creature sovrannaturali che alterano il clima, stravolgono i cicli stagionali, fanno impazzire la luna. E quindi la realtà stessa.
“La primavera, l’estate, l’autunno fertile e il tempestoso inverno mutano i loro abiti usuali” Il mondo è diventato un palcoscenico confuso, dove nessuno sa più che ruolo interpretare.
È la crisi dell’ordine naturale, che nasce però da un dissidio sentimentale. Shakespeare ci suggerisce una cosa molto sottile: l’amore non è solo passione, ma equilibrio del cosmo. Quando si spezza quel patto invisibile, la natura stessa si disorienta.
Spesso viene rappresentata come la fata eterea e vezzosa che si innamora dell’uomo-asino (Bottom), ma questo monologo ci mostra una regina con senso di responsabilità e consapevolezza politica. Parla da madre del mondo, accusa sé stessa e Oberon: “Ne siamo i genitori, in noi è l’origine.” È un’ammissione di colpa altissima: le stagioni impazzite, le malattie, la tristezza che grava sugli uomini... sono colpa loro. Di due amanti potenti ma testardi. C’è qualcosa di profondamente moderno in questa visione: il conflitto affettivo che genera caos ambientale e sociale. Come se la psicologia e l’ecologia fossero collegate.
Se lo leggiamo oggi, ci parla anche di clima, crisi ecologiche, effetti delle guerre private su scala collettiva. Titania si fa portavoce di una dimensione poetica ma anche profondamente etica del potere. In più, da un punto di vista attoriale, è un monologo che richiede respiro, ritmo e consapevolezza emotiva.
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