Monologo Femminile - \"To the bone\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Interpretare il monologo “Coraggio” di Anne Sexton da To the bone richiede un approccio intimo e consapevole, poiché ogni parola è legata a momenti di vulnerabilità e forza silenziosa. La bellezza di questo testo sta nel descrivere il coraggio come qualcosa che si manifesta nelle azioni quotidiane e nei dolori nascosti, lontano dai riflettori. L’attrice dovrà trasmettere emozioni complesse e contrastanti, partendo da momenti d'infanzia fino ad affrontare temi come la sofferenza, il giudizio e la sopravvivenza.

Coraggio

MINUTAGGIO: 1:16:54-1:18:34

RUOLO: Kelly

ATTRICE: Liana Liberato
DOVE: Netflix


INGLESE


'"Courage' by Anne Sexton. It is in the small things that we see it. The child's first step, as awesome as an earthquake. The first time you rode a bike, wallowing up the sidewalk. The first spanking, when your heart went on a journey all alone. When they called you 'crybaby' or 'poor' or 'fatty' or 'crazy'... and made you into an alien... you drank their acid and you concealed it." "Later, if you faced the death of bombs and bullets... you did not do it with a banner. You did it with only a hat to cover your heart. You did not fondle the weakness inside you though it was there. Your courage was a small coal that you kept swallowing."



ITALIANO


Coraggio, di Anne Sexton. “E’ nelle piccole cose che lo notiamo. I primi passi di un bambino, impressionanti come un terremoto; la prima volta che andiamo in bicicletta, con fatica lungo il marciapiede. La prima sculacciata, quando il cuore parte per un viaggio tutto suo. Quando vieni chiamato piagnucolone, o povero, o grasso, o pazzo, e ti trasformi in un alieno, e bevi il loro acido senza farlo a vedere. Poi… quando affronti la morte delle bombe e dei proiettili, non lo fai con uno striscione, ma con solo un cappello a proteggere il cuore. Non hai accarezzato la debolezza che ti portavi dentro, anche se era lì. Il tuo coraggio era un pezzetto di carbone, che continuavi ad inghiottire “

To the bone

"To the Bone" è un film del 2017 diretto da Marti Noxon, che affronta con delicatezza e realismo il tema dei disturbi alimentari, in particolare l’anoressia. La protagonista, Ellen (Lily Collins), è una ragazza di vent’anni che ha lottato per anni contro l’anoressia, passando da una terapia all’altra senza riuscire a trovare una vera strada di guarigione. Ellen è intelligente, cinica e profondamente arrabbiata, ma anche incapace di abbandonare un meccanismo di autodistruzione che sembra ormai parte della sua identità.

La storia si sviluppa quando Ellen, ormai esausta e scoraggiata, accetta di entrare in una clinica sperimentale diretta dal dottor Beckham (Keanu Reeves), un terapeuta dalle metodologie non convenzionali. Beckham è uno di quei medici che non trattano il disturbo come un "nemico" da combattere, ma come qualcosa da comprendere e a cui trovare risposte, unendo approcci psicologici intensi a metodi che spingono i pazienti a confrontarsi con le proprie paure e desideri.


Nella clinica, Ellen incontra altri giovani che, come lei, combattono diverse forme di disturbi alimentari. Qui si sviluppano relazioni di amicizia e complicità, e soprattutto emerge il rapporto con Luke, un giovane ballerino anche lui paziente della clinica, il cui ottimismo sfida e destabilizza Ellen. Luke è un personaggio che porta una luce nella storia: non si arrende mai, anche quando il suo sogno di diventare un ballerino professionista è messo in pericolo dalla malattia.


L’aspetto interessante del film è che non cade in facili sentimentalismi: è una storia che offre una visione autentica e a tratti brutale delle sfide psicologiche e fisiche dei disturbi alimentari. Ellen affronta una lenta trasformazione, fatta di piccoli passi più che di grandi svolte. Nella clinica, attraverso momenti di crisi e confronto, inizia un percorso di riscoperta di se stessa, comprendendo il valore della vita oltre la malattia.

Analisi Monologo

Il monologo “Coraggio” di Anne Sexton è un testo che riesce a catturare l’essenza più cruda e umana del coraggio, dipingendolo come una qualità che si manifesta nelle piccole e spesso impercettibili battaglie quotidiane. Non è il tipo di coraggio epico e leggendario, ma quello che si nasconde nelle nostre azioni di tutti i giorni, nelle ferite che portiamo e nella resilienza che coltiviamo in silenzio. Sexton inizia a esplorare il concetto di coraggio partendo da immagini intime e semplici, quasi infantili: i “primi passi di un bambino”, il goffo tentativo di andare in bicicletta. È qui che scopriamo un coraggio che somiglia alla determinazione pura e istintiva di chi deve imparare a vivere, passo dopo passo, con l’ingenuità di chi si addentra in un mondo vasto e difficile. Con “la prima sculacciata”, Sexton introduce anche l’idea del dolore, una lezione che lascia il segno e che ci rende consapevoli della nostra vulnerabilità. Qui il cuore “parte per un viaggio tutto suo”, suggerendo un distacco dall’innocenza e l’inizio di una consapevolezza dolorosa e solitaria.


L’intensità aumenta con l’immagine dei giudizi e delle etichette che, come “acido”, lasciano ferite invisibili ma profonde. Essere chiamati “piagnucolone”, “povero”, “grasso”, o “pazzo” porta a una trasformazione interna: ci sentiamo alieni, separati dagli altri, e ingoiamo quel dolore per nasconderlo. Questo “bere acido senza farlo a vedere” è un atto di coraggio silenzioso, l’abilità di sopportare senza crollare, di essere forti quando gli altri ci feriscono.


Il monologo prosegue su un registro ancora più cupo e adulto con l’immagine della guerra, “le bombe e i proiettili”, rappresentazioni estreme di paura e sopravvivenza. Qui il coraggio non si manifesta “con uno striscione”, quindi senza clamore o eroismi, ma con una sorta di rassegnazione dignitosa, come se il cuore fosse protetto soltanto da un semplice cappello. È una metafora potente: un cappello, oggetto ordinario e fragile, è tutto ciò che si interpone tra l’individuo e il terrore della morte, come a sottolineare quanto siamo esposti e vulnerabili anche di fronte alla nostra apparente forza.


Il monologo introduce un’immagine straordinaria: “Il tuo coraggio era un pezzetto di carbone, che continuavi ad inghiottire.” Il carbone, nero e rozzo, è simbolo di resistenza e tenacia, ma anche di qualcosa che, quando brucia, produce calore e luce. Ingoiarlo è un atto che implica dolore e sforzo, ma anche determinazione: il carbone può consumarci, ma in questo atto di “ingoiare” lo trasformiamo, rendendolo parte di noi. È come se quel coraggio ruvido diventasse combustibile per andare avanti.

Conclusione

Affrontare questo monologo significa entrare nella dimensione profonda di una lotta personale e silenziosa, dove il coraggio è simile a un pezzo di carbone che brucia dentro, lasciando un segno indelebile. L’interpretazione dovrebbe culminare con una quieta accettazione, come se il dolore fosse stato interiorizzato e trasformato. Questo finale darà al pubblico la sensazione di aver assistito non solo a una riflessione sul coraggio, ma a un ritratto sincero della resilienza umana, quella che spesso rimane nascosta, ma che è indispensabile per continuare ad andare avanti.

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