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~ LA REDAZIONE DI RC
In La città incantata, i dialoghi non sono mai solo funzionali alla trama. Ogni battuta è calibrata per raccontare qualcosa in più sul mondo, sui personaggi e su ciò che li muove. Questo monologo di Yubaba arriva in un momento di forte squilibrio emotivo per Chihiro, che si trova spaesata, spaventata e completamente fuori contesto. Yubaba si presenta come la forza dominante in quel mondo, e lo fa attraverso le parole: un discorso costruito per schiacciare, manipolare, intimidire. Ma sotto l’aggressività si nasconde qualcosa di più interessante: una forma di potere che ha bisogno di umiliare per mantenere il controllo.
MINUTAGGIO:
RUOLO: Yubaba
ATTRICE: Mari Natsuki
DOVE: Netflix
ITALIANO
Non voglio sentire simili sciocchezze. Sei solo una buona a nulla, debole e puzzolente. E questo non è certo posto per gli esseri umani. Sono terme per gli spiriti. È un luogo speciale, dove gli spiriti vengono a rimettersi in forze. E voi umani dovete sempre rovinare tutto! Come i tuoi genitori, che si sono ingozzati del cibo degli spiriti come maiali. Hanno avuto ciò che meritavano. E anche tu, ragazzina, meriti una bella punizione. Diventando una maialina o forse una bellissima pallina di fuliggine. Ah, ah, ah, ah, ah! Stai tremando. Mi sorprende che tu sia arrivata fin qui. Ma sono sicura che ti ha aiutato qualcuno. Ringraziamo i tuoi amici. Chi è stato, tesoro? Perché non me lo dici, tesorino?
"La città incantata" (Spirited Away, 2001) è uno di quei film che ti entrano dentro in silenzio, e poi non se ne vanno più. Firmato da Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli, è un’opera che lavora su tanti livelli: favola, rito di passaggio, critica sociale, sogno lucido. Raccontarne la trama è come raccontare un sogno in cui tutto sembra logico mentre lo vivi, ma ogni dettaglio ha un significato più profondo, che rimane lì sotto, a fermentare.
Tutto comincia in macchina. Chihiro è una bambina di dieci anni, arrabbiata e spaventata da un trasloco che la porterà lontano dagli amici, dalle abitudini, dalla sua zona di comfort. I genitori prendono una deviazione nel bosco e si ritrovano davanti a un tunnel, una specie di portale. Dall’altra parte c’è una città abbandonata, che sembra uscita da un luna park dismesso.
Fin qui, niente di strano. Se non fosse che i genitori si mettono a mangiare in una bancarella vuota, senza chiedere a nessuno. E nel giro di pochi minuti si trasformano in maiali. È questo il momento in cui la realtà si piega. Chihiro scopre che quel luogo è in realtà un mondo degli spiriti, governato da regole sue. Una volta entrata, non può più tornare indietro senza affrontare una serie di prove. E soprattutto, deve fare una cosa molto precisa: non dimenticare il suo nome.
Chihiro, per poter rimanere in quel mondo e cercare un modo per salvare i suoi genitori, è costretta a lavorare in una grande casa da bagno per spiriti, gestita da una strega severa e manipolatrice, Yubaba. Per firmare il contratto, Yubaba le toglie il nome e la ribattezza Sen (una parte del nome originale). In questa dinamica, Miyazaki inserisce uno dei temi più sottili del film: la perdita dell’identità personale a causa di un sistema che assorbe e trasforma gli individui. Yubaba è l’incarnazione di un potere burocratico e capitalistico che si nutre del lavoro degli altri. I suoi impiegati sono creature strane, meccanismi viventi, spiriti svogliati e impauriti. Tutto ruota intorno al denaro e alla produttività, ma Chihiro – proprio lei, che all’inizio del film sembrava la più indifesa – comincia lentamente a distinguersi. Non per forza, non per astuzia, ma per gentilezza, tenacia, capacità di restare fedele a sé stessa.
Nel mondo degli spiriti Chihiro incontra Haku, un ragazzo misterioso che sembra conoscerla già da prima. Anche lui è legato a Yubaba, anche lui ha perso il suo nome. Tra loro si crea un legame profondo e silenzioso, fatto di alleanza e riconoscimento reciproco. Haku è uno spirito del fiume, dimenticato dagli uomini. È uno dei primi indizi che Miyazaki semina nel film sulla dimenticanza del rapporto con la natura, sulla spiritualità soffocata dal cemento. Un altro personaggio chiave è Senza-Volto, spirito ambiguo e inquieto, che si nutre dell’avidità altrui e riflette il comportamento di chi gli sta attorno. Con Chihiro, però, cambia. Non riesce a corromperla. Lei lo accoglie, ma non si lascia tentare. È uno dei momenti più potenti del film: mentre tutto intorno a lei cede al caos, Chihiro rimane salda.
Alla fine del suo percorso, Chihiro riesce a ritrovare il nome di Haku, a rompere l’incantesimo dei genitori, a superare tutte le prove. Ma non è più la stessa bambina impaurita di prima. Non c’è bisogno di dirlo: lo capiamo dai suoi occhi, dal modo in cui si muove, dalla consapevolezza che si è portata addosso uscendo da quel mondo. Quando torna nel mondo reale, il tempo non è passato. Ma qualcosa si è mosso dentro di lei.
“Non voglio sentire simili sciocchezze.” L’apertura è già un atto di censura. Non c’è spazio per il confronto, per il dialogo. Yubaba impone immediatamente il proprio punto di vista. È una dinamica autoritaria che si basa su una regola molto semplice: se l’altro non esiste, non può opporsi. La sua parlata, nel doppiaggio italiano, è arrogante, compiaciuta. Ma dietro quella risata sguaiata (“Ah, ah, ah, ah, ah!”) c’è una strategia: rendere ridicolo chi ha paura, così da consolidare la propria posizione dominante.
“Sei solo una buona a nulla, debole e puzzolente.” Yubaba non si limita a identificare Chihiro come estranea. La riduce a un insieme di difetti, a una caricatura. È un attacco personale, ma anche simbolico: Chihiro rappresenta l’umano in quanto tale. Un essere “che puzza”, debole, incapace di adattarsi. In un mondo dominato da spiriti efficienti e funzionari instancabili, l’umanità viene raccontata come un fastidio. “E voi umani dovete sempre rovinare tutto!” Qui emerge un tema ricorrente in Miyazaki: l’umano come agente distruttivo. Non per cattiveria, ma per ingordigia, per mancanza di rispetto. I genitori di Chihiro non sono cattivi, ma sono irresponsabili. E Yubaba, da custode di un ordine antico, non perdona questa mancanza.
“Hanno avuto ciò che meritavano. E anche tu, ragazzina, meriti una bella punizione.” In questo mondo, la punizione non è l’eliminazione. È la trasformazione. I genitori diventano maiali. Chihiro rischia di diventare “una bellissima pallina di fuliggine”. Non è un caso. È la logica di un sistema che assimila ciò che non riesce a controllare, deformandolo. Questa idea della trasformazione come condanna è centrale nel film. Gli umani non vengono espulsi, vengono modificati, assorbiti, smembrati dalla macchina del potere magico-economico che Yubaba incarna.
“Chi è stato, tesoro? Perché non me lo dici, tesorino?” Il finale del monologo è particolarmente interessante perché Yubaba cambia tono. Diventa apparentemente gentile, vezzeggiativa. Ma è una gentilezza tossica, costruita per manipolare. In realtà sta cercando informazioni. Vuole sapere chi ha aiutato Chihiro. È un momento in cui il potere si maschera da premura, ma solo per ottenere qualcosa in cambio. Questo contrasto tra tono e intento è un tratto distintivo del personaggio.
In questo monologo, Yubaba non è semplicemente la “strega cattiva”. È una figura che incarna la burocrazia, il capitalismo spirituale, l’industria che assorbe e rigenera secondo le proprie regole. Le sue parole non sono solo minacce: sono il linguaggio di un mondo che ha dimenticato la compassione, che misura tutto in termini di utilità, di merito, di punizione.
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