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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo finale di Caligola, tratto dall'omonima tragedia di Albert Camus, è una delle sequenze più intense dell’intera opera. In queste parole, il protagonista si spoglia di ogni maschera, rivelando il cuore del suo tormento esistenziale. In un dialogo straziante con il proprio riflesso, Caligola affronta il fallimento della sua ribellione contro l’assurdo, la consapevolezza del vuoto interiore che lo consuma e il peso della sua umanità tradita. Attraverso immagini potenti come lo specchio e il vuoto, Camus sintetizza i temi centrali dell’opera – l’assurdo, la libertà e la ricerca dell’impossibile – gettando una luce tragica sulla condizione umana.
(Caligola si guarda intorno, stralunato. Va verso lo specchio e lo gira verso di sé) Caligola! Anche tu, anche tu sei colpevole. Più o meno. Non è così? (Pausa) Mi capiranno mai? No, mi giudicano. Ed anche tu mi giudichi. Come ti ammiro per questo tuo poter di giudicare. (Con tutto il tremore dell'angoscia nella voce, strofinandosi contro lo specchio). Vedi, Elicone non è venuto. Non avrò la luna. Comincio ad avere paura. Ah, che abiezione, che schifo, che senso di vomito sentirci crescere dentro quella stessa viltà e quell'impotenza che abbiamo disprezzato negli altri. La viltà! Ma che importa? Nemmeno la paura dura tanto. Sto per ritrovare quel grande vuoto in cui l'anima si placa. Tu sei imperatore, il che è molto. Ma io non sono niente, il che è poco. Niente, Caligola, niente. Sono vuoto e cavo come un tronco secco. Dicono che ho il cuore duro, anche tu lo dici. Ma non è possibile che sia duro, perché al posto del cuore io non ho niente, e tu lo sai bene, nient'altro che un grande buco vuoto nel cuare si agitano le ombre delle mie passioni (Arretra e si passa le mani sul viso. Poi ritorna verso lo specchio, si contempla e s'inginocchia davanti a se stesso. Sembra più calmo. Ricomincia a parlare, ma con voce più calma e concentrata) Sembra tutto così complicato. Eppure è così semplce. Avessi avuto la luna, o Drusilla, il mondo, la felicità, sarebbe stato diverso. Tu lo sai, Caligola, che potrei essere tenero. La tenerezza! Ma dove trovarne tanta da soddisfare la mia sete? Dove trovare un cuore profondo come un lago? (Comincia a piangere lentamente) Non c'è niente che mi vada bene, né in questo mondo né in quell'altro. Eppure sono certo, ed anche tu lo sei (tende le mani verso lo specchio piangendo) che mi basterebbe l'impossibile. L'impossibile! L'ho cercato ai confini del mondo e di me stesso. Ho teso le mani (Urlando) Tendo le mani e non incotro che te, sempre te, come uno sputo sul viso. Te nel chiarore splendido e dolce delle stelle, te in una sera come questa, te che odio, te che sei per me come una ferita che vorrei strapparmi di dosso con le unghie perché il sangue infetto possa sgorgare con la vita a fiumi. Com'è pesante questa notte! Elicone non è venuto. Colpevole anche lui di fronte a un simulacro di colpevoli. E' pesante, questa notte, come il dolore umano! (Rumore d'armi e mormorio in quinta. Caligola si alza, prende un seggio e si accosta ansimando allo specchio. Si guarda, fa la mossa di balzare in avanti e, vedendo la propria immagine muoversi di riflesso nello speccio, lancia violentemente il seggio urlando) Alla storia, Caligola, alla storia! (Lo specchio va in frantumi, e, contemporaneamente, entrano da tutti i lati i congiurati armati. Caligola li fronteggia esplodendo in una risata selvaggia. Cherea, per primo, gli è addosso d'un balzo e lo trafigge col pugnale, tre volte in pieno viso. Il riso di Caligola si trasforma in singhiozzi. Tutti lo colpiscono convulsamente. In un ultimo singhiozzo, ridendo e rantolando, Caligola grida) Sono ancora vivo!
"Caligola" è una delle opere teatrali più emblematiche di Albert Camus, una tragedia esistenzialista che esplora i temi della libertà assoluta, dell’assurdo e della disperazione. Scritta nel 1938 e più volte rivista, la pièce trae ispirazione dalla figura storica di Caligola, l'imperatore romano noto per la sua tirannia, ma è reinterpretata da Camus con una profonda attenzione alle dinamiche interiori del potere e al conflitto esistenziale.
La vicenda si apre con un evento chiave: la morte improvvisa di Drusilla, sorella e amante di Caligola. Questo trauma spinge il protagonista a una crisi esistenziale, portandolo a interrogarsi sul senso della vita e sulla natura della libertà. Caligola realizza che il mondo è privo di significato, e decide di incarnare questa consapevolezza nel suo governo, mettendo in atto una tirannia radicale basata su una logica spietata e sull’assurdo.
Caligola diventa il simbolo della libertà assoluta, ma al contempo anche della sua mostruosità: non riconosce alcun limite morale, umano o divino, e usa il suo potere per sovvertire ogni convenzione. Chiede l'impossibile, come la luna, e punisce chi non soddisfa i suoi desideri. Gli atti di Caligola – dall’imposizione di tasse irrazionali alla violenza arbitraria – sono il riflesso della sua convinzione che il mondo sia privo di giustizia e che tutto sia lecito.
Gli altri personaggi, come i patrizi e il poeta Scipione, incarnano diverse risposte alla tirannia di Caligola. Alcuni cercano di opporsi, altri si sottomettono per paura, ma nessuno riesce davvero a comprendere la profondità della sua disperazione. Nonostante la sua apparenza di onnipotenza, Caligola rimane un uomo solo, incapace di colmare il vuoto lasciato dalla morte di Drusilla.
La tragedia culmina con una congiura: i senatori, esasperati dalla crudeltà e dall’insensatezza dell’imperatore, complottano per assassinarlo. Caligola accetta la propria fine con una sorta di lucidità disperata, riconoscendo la coerenza tra la sua visione del mondo e il destino che lo attende. La sua morte non rappresenta una redenzione, ma piuttosto l’inevitabile conseguenza della sua sfida all’assurdo.
Caligola incarna la consapevolezza dell’assurdo, una nozione centrale nel pensiero di Camus. La vita è priva di senso, ma il protagonista sceglie di agire come se fosse completamente libero di ridefinirla a suo piacimento. La sua tirannia, però, dimostra che una libertà senza limiti non porta alla felicità, ma al caos e alla distruzione. Il potere assoluto isola Caligola dagli altri. La sua crudeltà è, in parte, una risposta al vuoto esistenziale e alla solitudine. Nonostante le sue azioni, Caligola non è semplicemente un mostro, ma un uomo che soffre e cerca disperatamente un significato. La morte di Drusilla è il catalizzatore che porta Caligola a confrontarsi con l’inevitabilità della morte. Questo confronto guida il suo rifiuto di ogni convenzione e la sua ricerca di un significato impossibile.
Camus utilizza "Caligola" per esplorare le implicazioni filosofiche dell’esistenzialismo e dell’assurdo, ma la pièce non è solo un trattato filosofico. È un’opera profondamente teatrale, con dialoghi incisivi e situazioni cariche di tensione. La figura di Caligola diventa il simbolo di una sfida impossibile: vivere senza illusioni, ma senza distruggersi nel processo.
Questo monologo finale di Caligola, carico di tensione e disperazione, è una chiusura potentissima per la tragedia di Albert Camus, condensando in poche righe il cuore dei temi filosofici ed esistenziali dell’opera.
Caligola, rivolgendosi al proprio riflesso, si confronta direttamente con se stesso, in un dialogo che è al tempo stesso un'accusa e un'ammissione di colpa. L'immagine dello specchio è fondamentale: rappresenta il doppio, l’alter ego che giudica, ma anche la proiezione di un vuoto interiore. Quando dice: "Anche tu, anche tu sei colpevole", si riferisce al suo fallimento come uomo, come imperatore, come figura che ha tentato di sfidare i limiti dell'umano. Caligola si riconosce come complice del caos che ha creato, ma non riesce a trovare una via d’uscita.
La distruzione dello specchio alla fine del monologo è simbolica: rappresenta l’annullamento del sé, l’impossibilità di riconciliarsi con l'immagine riflessa, e al tempo stesso il rifiuto definitivo di quel giudizio esterno che non potrà mai comprenderlo.
La ripetizione di immagini legate al "vuoto" e al "niente" è centrale in questo monologo:
"Io non sono niente, il che è poco. Niente, Caligola, niente." Caligola si definisce come un’entità svuotata, priva di senso, un tronco secco, un cuore vuoto. Questa consapevolezza lo spinge a cercare qualcosa di irraggiungibile, l’impossibile, che diventa il motore del suo delirio. Il suo desiderio di ottenere la luna o Drusilla – figure simboliche dell’inaccessibile – è l’espressione del suo rifiuto del limite umano. Caligola ha cercato di colmare questo vuoto con il potere assoluto e la crudeltà, ma queste non sono bastate.
Al contrario, lo hanno portato a una solitudine ancora più profonda, tanto da ammettere:
"Non c’è niente che mi vada bene, né in questo mondo né in quell’altro."
La sete di tenerezza e l'odio verso se stesso
Un momento particolarmente toccante è quando Caligola si abbandona alla consapevolezza di una possibilità perduta: "Tu lo sai, Caligola, che potrei essere tenero." Questa ammissione di una potenziale dolcezza è struggente. Caligola non è nato crudele, ma è stato trasformato dalla sua visione dell’assurdo e dalla disperazione. La tenerezza, evocata come un ideale irraggiungibile, è contrapposta al suo odio per se stesso:
"Tendo le mani e non incontro che te, sempre te, come uno sputo sul mio viso."
L'odio per il proprio riflesso, per ciò che è diventato, è uno degli aspetti più tragici della sua figura. È un uomo intrappolato nella sua stessa mente, incapace di riconciliarsi con ciò che avrebbe potuto essere.L’ossessione di Caligola per l’impossibile – la luna, Drusilla, la felicità assoluta – è il cuore della tragedia. Camus utilizza questa ricerca per riflettere sull’idea di ribellione contro l’assurdo: il mondo non offre risposte alle nostre domande più profonde, ma Caligola si rifiuta di accettarlo."Mi basterebbe l'impossibile." Questa frase sintetizza la sua intera esistenza: una lotta titanica contro i limiti del reale, destinata a fallire. L’impossibilità di ottenere ciò che desidera lo porta a odiare il mondo e se stesso, aggravando il vuoto che cercava di colmare.
La scena si conclude con una risata selvaggia, che si trasforma in singhiozzi mentre Caligola affronta i suoi assassini. L'ultima frase, urlata nel momento del colpo finale:
"Sono ancora vivo!" è ambigua e carica di significato. Può essere interpretata in vari modi: come un atto di sfida verso i suoi nemici, un’affermazione di immortalità simbolica ("alla storia!"), o l’ultima illusione di un uomo che non vuole accettare la propria mortalità.
La frase "Alla storia, Caligola, alla storia!" è l’ultimo tentativo del protagonista di lasciare un’impronta indelebile, un modo per giustificare il proprio fallimento e dare senso alla propria esistenza. Caligola vuole essere ricordato non come un uomo, ma come un simbolo, un esempio estremo di ribellione contro i limiti dell’umano.
In questo monologo, il destino di Caligola si compie: un uomo che ha tentato di sfidare l’assurdo e di trascendere i limiti della sua esistenza, ma che alla fine ha trovato solo solitudine, odio e un vuoto incolmabile. La sua ultima frase, "Sono ancora vivo!", non è solo un grido di sfida, ma l’estrema conferma di un’esistenza che non può trovare pace nemmeno nella morte. Caligola diventa così un simbolo universale: un ribelle tragico che ha osato desiderare l’impossibile, pagando con la distruzione di sé stesso e del mondo che lo circonda. In queste parole, Camus ci consegna una riflessione profonda e spietata sul destino di chi sfida i confini dell’umano, lasciando allo spettatore un’eredità tanto inquietante quanto affascinante.
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