Monologo - il finale di \"Il Giardiniere\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo ormai in un punto avanzato del racconto di Il Giardiniere, e questo monologo di La China Jurado si carica del peso di tutto ciò che è successo prima. Non è solo un commento. È una confessione parziale, detta senza mai nominare la colpa direttamente, ma avvertibile in ogni parola. Il tono è stanco, increspato da una forma di rassegnazione che non si capisce bene se sia vera o strategica. Per la prima volta, La China sembra non sapere tutto, e questo la spaventa.

Fine. Anche per le emozioni

STAGIONE 1 EPISODIO 6

MINUTAGGIO: 40.40-42:30

RUOLO: La China Jurado

ATTRICE: Cecilia Suárez

DOVE: Netflix

ITALIANO

L’intervento gli ha portato via le emozioni, ma Elmer è rimasto in vita. Ed è tornato alle sue piante, ai suoi giardini, e nella sua serra. All’inizio credevo che col tempo la nostra vita sarebbe tornata come quella di prima. Non è successo. Non mi ha perdonata. Ma qualsiasi madre, nella stessa situazione, avrebbe fatto quello che ho fatto io. Noto un certo risentimento, nei suoi occhi. A volte, penso che faccia finta; a volte penso che sia il ricordo dell’ultimo sentimento che ha davvero provato per me; e a volte sono spaventata. Se c’è qualcosa che ho imparato in questi ultimi mesi, è che bisogna sempre aspettarsi l’inaspettato.

Il giardiniere

Debuttata l’11 aprile 2025 su Netflix (e disponibile anche su Sky Glass, Sky Q e Now), Il Giardiniere (El Jardinero in originale) è una miniserie thriller in sei episodi creata da Miguel Sáez Carral, autore già noto per Ni una más. La regia è affidata a Miker Rueda, che costruisce una tensione costante in una storia dove i sentimenti si seppelliscono nella terra, insieme ai cadaveri. La storia segue Elmer (interpretato da Álvaro Rico, volto noto di Élite), un giovane uomo che gestisce un vivaio con sua madre, La China Jurado (Cecilia Suárez). Ma il vivaio è solo una facciata. Elmer è un sicario su commissione, addestrato fin da piccolo dalla madre, una donna calcolatrice e manipolatrice che ha sfruttato una sua fragilità psicologica a proprio vantaggio. Dopo un trauma infantile, Elmer ha smesso di provare emozioni. Nessun rimorso, nessun attaccamento. È il killer perfetto, e la madre lo usa per eliminare persone su richiesta, seppellendole tra le serre e le piante. Un’azienda familiare dell’orrore.


Ma qualcosa cambia. Durante una delle sue “missioni”, Elmer incontra Violeta (Catalina Sopelana), una maestra d’asilo che diventa una variabile non prevista nel suo algoritmo emotivo. Violeta non doveva sopravvivere. Ma Elmer non riesce a ucciderla. Qualcosa si muove dentro di lui. Un sentimento. O forse un’illusione di sentimento. Ed è qui che l’intero castello di carte costruito da La China comincia a tremare.


Per la prima volta, Elmer si rifiuta di obbedire. E per la prima volta, è pronto a tradire sua madre. Il vero cuore nero della storia, però, è La China Jurado. È lei che tiene le fila. È lei che prega ogni giorno sua madre morta, come se fosse una divinità da supplicare, ma agisce sempre e solo in base a ciò che serve a lei. Elmer per lei è uno strumento, un mezzo per fare soldi e riacquistare la villa in Messico da cui era stata cacciata.

Il rapporto madre-figlio qui è il centro della narrazione. Ma non è amore, non è protezione. È un dominio psicologico mascherato da cura. Una maternità che diventa gabbia, veleno, manipolazione.


Uno degli elementi più discussi della miniserie è come vengono rappresentate le figure femminili. Non ci sono “salvatrici”. Né madri amorevoli, né eroine. Sono tutte, a loro modo, portatrici di un’umanità corrotta. Perfino Violeta – che dovrebbe essere il contraltare dolce e puro – mostra sfumature più ambigue. La poliziotta che indaga sulle sparizioni, invece, è guidata più dall’ossessione e dal bisogno personale che da un reale desiderio di giustizia.


È come se la serie volesse dire: non importa il genere, importa cosa ne fai del tuo potere sugli altri.

Analisi Monologo

“L’intervento gli ha portato via le emozioni, ma Elmer è rimasto in vita.” La frase è immediata, chirurgica. Il contrasto è già insito nelle parole: gli ha portato via le emozioni – quindi una perdita – ma è rimasto in vita – quindi un successo. Quale delle due cose conta di più per La China? L'ambiguità è voluta. Per La China, la vita non è un valore assoluto. È funzionalità. Essere “vivo” significa poter ancora agire, produrre, seguire ordini. Se ha perso le emozioni, forse è tornato utile. Ma la realtà è diversa.

Ed è tornato alle sue piante, ai suoi giardini, e nella sua serra.” Questa frase ha un tono di illusione. Come se il ritorno alle vecchie abitudini bastasse a ristabilire l’ordine. Il vivaio – simbolo di routine, di neutralità, di silenzio – diventa per la madre un rifugio, o meglio, una proiezione di normalità. Ma anche qui, è tutto facciata. Il gesto di Elmer non equivale più all’obbedienza. “All’inizio credevo che col tempo la nostra vita sarebbe tornata come quella di prima. Non è successo.” Questa è probabilmente la prima vera ammissione di fallimento da parte di La China in tutta la serie. Nuda, diretta. Aveva un piano. Credeva in un ritorno all’equilibrio – o forse all’illusione del controllo. Ma non è successo. E lo dice così, senza attenuarlo, perché non può più nasconderlo nemmeno a se stessa.

“Non mi ha perdonata.” Qui c’è tutto il non detto. La madre parla di perdono, ma non dice per cosa. Non nomina mai le sue azioni. Non dice “per non avermi protetto”, “per avermi usato”, “per avermi privato di una vita”. Eppure, questo “non mi ha perdonata” è carico di significato. Implica che Elmer ha capito, o che almeno ha riconosciuto la manipolazione subita. E questo, per La China, è peggio di qualunque rifiuto: è una condanna silenziosa. “Ma qualsiasi madre, nella stessa situazione, avrebbe fatto quello che ho fatto io.” Ecco che torna l’autogiustificazione. È la sua firma. La China non può tollerare la colpa, quindi la trasforma in necessità. Si rifugia nella retorica del “chiunque al mio posto”, che non è altro che un modo per deresponsabilizzarsi. Ma in quella frase si sente anche una piccola incrinatura: sta cercando di convincere più sé stessa che chi ascolta. “Noto un certo risentimento, nei suoi occhi.” Questo passaggio è importante perché è il primo in cui La China ammette di non capire più Elmer. Ha sempre avuto accesso diretto a ciò che pensa, che sente (o non sente). Ora invece osserva, nota. Interpreta. Non sa più con certezza cosa stia succedendo dentro suo figlio. E questo la mette in allarme.

 “A volte, penso che faccia finta; a volte penso che sia il ricordo dell’ultimo sentimento che ha davvero provato per me; e a volte sono spaventata.”

Tre ipotesi. Nessuna certezza. Questo è il cuore del monologo.

Il fatto che questa frase venga chiusa con la paura è un segnale narrativo fortissimo: la predatrice sente di essere diventata preda. “Se c’è qualcosa che ho imparato in questi ultimi mesi, è che bisogna sempre aspettarsi l’inaspettato.” La chiusura è volutamente aperta. Una frase che suona come una massima – come se fosse diventata più saggia. Ma in realtà è solo una resa. La China ha smesso di credere di poter prevedere tutto. E per lei, questo è l’inizio della fine.

Conclusione

Questo monologo è uno dei più importanti per comprendere il cambiamento definitivo di ruoli all’interno della serie. Per tutta la narrazione, La China è stata la voce che definiva, spiegava, giustificava. Ma qui perde potere. Non narra più con sicurezza. Narra per ipotesi. Si contraddice. Ammette. Vacilla. Elmer, che un tempo era solo strumento, è ora soggetto. Sente, pensa, reagisce. E soprattutto: non perdona.

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