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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Yelena Belova, interpretata da Florence Pugh in Thunderbolts, è un momento intimo mascherato da dialogo casuale. È il tipo di scena che potrebbe passare inosservata, se non fosse per il modo in cui riesce, in poche righe, a far emergere un ritratto dolorosamente lucido di un personaggio alla deriva. Qui Yelena non è un'antieroina, né una spia, né una combattente: è una giovane donna consumata dall’apatia, dal lutto e da un’identità che non le appartiene più. Il tono è disilluso, quasi ironico, ma il contenuto è crudo: è la voce di chi si sente fuori posto nel mondo e prova a dare un senso al proprio vuoto.
MINUTAGGIO: 00:39-2:47
RUOLO: Yelena
ATTRICE: Florence Pugh
DOVE: Al Cinema!
INGLESE
There's something wrong with me. A void. I thought it started when my sister died. but... Now it seems like something bigger. Just a... void. Or maybe I'm just bored. They send me a job, I clock in, Get in, get out, you know? I'm in the cleaning business. This week it's Malaysia and Mexico. I thought throwing myself into work was... The answer. But I'm not focused and I'm not happy, and I have no purpose. It's not that I lack purpose, I'm just drifting like a river. Or like an old leaf. Or like an old leaf on a river. Which do you think is better? Hey! You weren't listening to me. It's like your mind is somewhere else. Well, whatever. You're useless to me unless you can help me get past that facial recognition issue.
ITALIANO
C’è qualcosa che non va in me. Un vuoto… credevo dipendesse dalla morte di mia sorella ma, ora sembra qualcosa di più grande. Un grande vuoto. O forse sono solo annoiata. Mi affidano un lavoro, timbro l’entrata, l’uscita… offro servizi di pulizia. Questa settimana a Valencia, la prossima chissà. Ho pensato che buttarmi sul lavoro fosse la risposta, ma non sono concentrata, non sono felice, e non ho un obiettivo. E senza un obiettivo seguo la corrente come un fiume. O come una foglia secca. O come la foglia secca in un fiume. Quale credi che sia… Ehi! Non mi stai ascoltando, sembra che hai la testa da un’altra parte! Beh, comunque sei inutile, a meno che tu non riesca a farmi superare quel riconoscimento facciale.
La trama di Thunderbolts, il nuovo film Marvel, segna una svolta decisa nel tono e nella direzione narrativa dell'MCU, esplorando le zone d’ombra del mondo supereroistico e concentrandosi su personaggi moralmente ambigui, traumatizzati, e spesso manipolati da forze di potere più grandi di loro. Yelena Belova, ancora devastata dalla morte di Natasha, è intrappolata in missioni sporche sotto Valentina de Fontaine. Questo incipit racconta il vuoto e la frustrazione di una generazione di “eroi di scarto” che, invece di essere accolti nel pantheon degli Avengers, vengono sfruttati e poi gettati. Il fatto che Bucky sia un membro del Congresso introduce un interessante cortocircuito: l’ex Soldato d’Inverno ora cerca giustizia politica, ma la sua etica resta tormentata.
Il secondo atto è un incastro da thriller spionistico: l’inganno orchestrato da Valentina per eliminare le prove, compresi i suoi agenti, ribalta completamente la fiducia tra i personaggi. Il loro riemergere come squadra – improvvisata, imperfetta, ma determinata – apre la strada alla creazione dei Thunderbolts. Alexei che battezza il gruppo con un nome legato all’infanzia di Yelena è un tocco narrativo interessante: umano, ironico, e coerente con la loro natura “non ufficiale”. La comparsa di Sentry (Bob) e la trasformazione in Void spostano il racconto sul piano metafisico. Si passa da una storia di agenti traditi a una battaglia contro un’entità distruttiva nata dal trauma. Void non è solo un villain: è l'incarnazione del dolore represso, dell’identità spezzata. Il fatto che la risoluzione arrivi non con la forza ma con l’empatia (Yelena che affronta i propri demoni per raggiungere Bob) è un cambio netto rispetto alla retorica più muscolare tipica di molti film MCU.
L’epilogo è amaro e grottesco: Valentina, pur smascherata, riesce comunque a manipolare l’opinione pubblica e trasformare i Thunderbolts in "Nuovi Avengers" a suo favore.
La seconda scena post-credit introduce il misterioso simbolo del "4", che è un teaser chiarissimo per i Fantastici Quattro. In pratica, Marvel sta usando questi personaggi borderline come ponte verso la prossima era narrativa, probabilmente quella cosmica.
“C’è qualcosa che non va in me. Un vuoto…” L’apertura è diretta, spoglia. Niente giri di parole. Yelena non cerca comprensione, sta semplicemente ammettendo una verità che ha imparato a riconoscere, anche se non sa darle un nome preciso. Il “vuoto” è una parola pesante nel lessico dei personaggi Marvel post-Endgame: non è solo dolore, è mancanza di direzione, identità, appartenenza. “Credevo dipendesse dalla morte di mia sorella…” Questo passaggio è fondamentale: Yelena tenta di attribuire un’origine razionale al suo malessere, ma la consapevolezza che “c’è qualcosa di più grande” suggerisce un disagio esistenziale più profondo. La morte di Natasha è stata solo l’innesco. Il problema è il mondo dopo, dove non c’è più una missione, né un legame che la definisca.
“Mi affidano un lavoro, timbro l’entrata, l’uscita… offro servizi di pulizia.” Questa è probabilmente la battuta più significativa. L’ironia nera dietro “offro servizi di pulizia” – che può voler dire “eliminare bersagli” o “fare il lavoro sporco” – racconta una routine meccanica e alienante, camuffata da normalità. È la versione depressa della “vita normale” che i personaggi Marvel dicono sempre di volere, salvo poi scoprire che non sanno come starci dentro. “Ho pensato che buttarmi sul lavoro fosse la risposta…” Un tentativo di distrazione, di anestesia. Ma il lavoro, in questo caso, non riempie il vuoto: lo amplifica. Yelena non è più guidata da uno scopo, ma solo da movimento. E non sapere perché si agisce è una delle condizioni più disumanizzanti che il film le attribuisce. “Seguo la corrente come un fiume. O come una foglia secca. O come la foglia secca in un fiume.” Qui c’è un piccolo momento di autoironia, quasi infantile, che serve da contrasto alla profondità del dolore che sta esprimendo. È come se Yelena cercasse una metafora poetica per descrivere la sua condizione, ma non riesce neanche a prenderla sul serio. È un piccolo fallimento comunicativo che riflette il suo fallimento emotivo: non riesce a tradurre in parole quello che prova, né a dargli forma.
“Ehi! Non mi stai ascoltando, sembra che hai la testa da un’altra parte!” Questo scatto improvviso riporta tutto su un piano più concreto. Parla con qualcuno, e quel qualcuno non la sta ascoltando. Il che dice molto del mondo attorno a lei: anche quando prova a comunicare, nessuno la sente. È un personaggio intrappolato in un loop di invisibilità. “Beh, comunque sei inutile, a meno che tu non riesca a farmi superare quel riconoscimento facciale.” La chiusa è perfetta nel suo cinismo. Dopo tutto il flusso emotivo che ha appena vomitato, lo liquida con sarcasmo e un ritorno alla missione. È una mossa di autodifesa, classica per il personaggio: appena si scopre, si richiude. Ma questa frase è anche un promemoria di come il film tende a ridurre momenti potenzialmente profondi a espedienti narrativi.
Questo monologo è uno dei momenti in cui Thunderbolts cerca, con una certa efficacia, di restituire spessore umano a un personaggio che rischiava di rimanere intrappolato nei meccanismi da black-ops. Yelena parla senza filtri, senza eroismi, senza costruzione mitologica. È una donna che si sente vuota, stanca, e terribilmente sola. L’efficacia della scena sta nel tono: è colloquiale, spezzato, ma autentico. E Florence Pugh riesce a far convivere frustrazione, tenerezza e sarcasmo in un monologo che sembra casuale ma rivela tutto.
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