Monologo - Jamie Foxx in \"Tin soldier\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Bokushi da “Tin Soldier” concentra tutto quello che il personaggio rappresenta: un carisma costruito sul trauma, un’ideologia nata dal dolore e una retorica che mescola verità scomode con manipolazione emotiva. Bokushi sta parlando ai suoi seguaci, o forse a nuovi potenziali adepti. Sta cercando di legittimare il Programma, ovvero la sua struttura di “riabilitazione” paramilitare per veterani, e lo fa partendo da una verità che nessuno può contestare: la brutalità dell’addestramento militare e l’abbandono sistematico dei reduci.

Soldati, armatevi

MINUTAGGIO: 7:23-8:46

ATTORE: Jamie Foxx

RUOLO: Bokushi

DOVE: Amazon Prime video

INGLESE

  • The US trains young men and women how to aim at and k*ll a stranger. Sounds harsh, but it's the truth. We just send these broken warriors home. We slap a label on them, PTSD, and we turn our backs. But they are fractured human beings that we have failed. Until now. Until the Program. You see, I was broken. I had seen the worst of man, but I got tired. I got tired of popping pills. I got tired of sleeping with my gun. I got tired of thinking about putting that g*n in my mouth. [engine roaring] You see, I'm the proof that we can live again and the Program works. The only variable... is you.

ITALIANO

Gli Stati Uniti addestrano giovani uomini e donne a mirare e uccidere degli sconosciuti. Sembra crudele, ma è la verità. Noi rimandiamo a casa questi guerrieri a pezzi, con una bella etichetta: Disturbo Post Traumatico da Stress. E li abbandoniamo. Ma sono degli esseri umani spezzati che noi abbiamo tradito. Fino ad ora. Fino al programma. Sapete, io ero a pezzi. Avevo visto il peggio dell’uomo, ma ero stanco: ero stanco di prendere pillole, ero stanco di dormire con la pistola, ero stanco di pensare di mettermi quella pistola in bocca. Io sono la prova che si può tornare a vivere, che il Programma funziona. L’unica variabile siete voi.

Tin Soldier

Il fulcro narrativo di Tin Soldier è la figura del Bokushi (Jamie Foxx), ex leader militare che ha trasformato la sua esperienza bellica in una sorta di culto personale. Non è un semplice villain da manuale: è carismatico, istruttivo, quasi messianico per i suoi seguaci. Veterani caduti ai margini, traumatizzati e dimenticati dalla società, trovano in lui una guida, un’ideologia, uno scopo. Ma il suo "esercito redento" è, in realtà, una setta militarizzata, con tanto di addestramento, dottrina e rituali. La sua comunità – chiusa, fortificata, impenetrabile – è presentata come una combinazione tra base militare e santuario. E la cosa inquietante è che funziona: l’autorità istituzionale è completamente spiazzata.

Scott Eastwood interpreta Nash Cavanaugh, l’ex pupillo del Bokushi. Il suo personaggio è il vero centro drammatico del film. Nash è stato addestrato dallo stesso uomo che ora deve distruggere, e questa ambivalenza è una delle cose più interessanti del film. Quando il governo, esasperato e incapace di penetrare il culto, decide di ricorrere a metodi disperati, arruola Nash. Ed è qui che entra in gioco il personaggio di Emmanuel Ashburn (Robert De Niro), una figura più fredda, burocratica, ma con il peso di chi ha visto troppi fallimenti. Nash viene quindi mandato in una missione di infiltrazione che è, in fondo, un viaggio a ritroso nella sua stessa identità.

È un film che cerca di parlare della guerra dopo la guerra. Non quella sui campi di battaglia, ma quella che si combatte dentro chi torna a casa. Bokushi e Nash sono due risposte diverse allo stesso trauma: uno costruisce un culto per dare senso al caos, l’altro cerca vendetta per ciò che ha perso. Nessuno dei due è davvero nel giusto.

Analisi Monologo

“Gli Stati Uniti addestrano giovani uomini e donne a mirare e uccidere degli sconosciuti.”

Apre con un’affermazione brutale. È un attacco al sistema, ma in forma secca, innegabile. Bokushi non usa mezzi termini: porta a galla una realtà che spesso viene rivestita di retorica patriottica. È una strategia retorica potente: dire ciò che gli altri evitano di dire per guadagnarsi immediatamente l’attenzione e la fiducia di chi ascolta.

“Noi rimandiamo a casa questi guerrieri a pezzi, con una bella etichetta: Disturbo Post Traumatico da Stress. E li abbandoniamo.”

Qui il discorso si fa collettivo: “noi” – la società, lo Stato, tutti noi. L'uso di "etichetta" è interessante: riduce il PTSD da condizione clinica a un timbro burocratico, un modo per silenziare piuttosto che curare. Bokushi presenta sé stesso come uno che rifiuta questa riduzione, uno che ha vissuto oltre l’etichetta.

“Ma sono degli esseri umani spezzati che noi abbiamo tradito.”

Il termine “tradito” è il cuore morale del monologo. Bokushi fa leva sul sentimento di ingiustizia, sul patto rotto tra Stato e soldato. È qui che la sua figura passa da ex militare a guida, da vittima a redentore.

“Fino ad ora. Fino al Programma.”

Una cesura netta: Bokushi presenta il suo Programma come la svolta, la riparazione. Tutto quello che è venuto prima è fallimento, tutto quello che viene dopo – grazie a lui – è redenzione. È un momento da leader settario: ti ho appena mostrato il buio, ora ti offro la luce.

“Io ero a pezzi. Avevo visto il peggio dell’uomo, ma ero stanco: ero stanco di prendere pillole, ero stanco di dormire con la pistola, ero stanco di pensare di mettermi quella pistola in bocca.”

Qui la confessione si fa personale. Una delle frasi più pesanti è quella sul suicidio – detta senza dramma, ma con la stanchezza di chi l’ha pensato così tante volte da non averne più paura.

“Io sono la prova che si può tornare a vivere, che il Programma funziona.”

Ed ecco il passaggio chiave: lui è la prova vivente. Non serve credere a un'ideologia astratta, basta guardare lui. Il carisma di Bokushi si fonda su questa narrazione personale: non è un teorico, è un sopravvissuto. Non ti sta chiedendo di credergli sulla parola, ti sta dicendo: guardami.

“L’unica variabile siete voi.”

Una chiusura efficace, e sottile. Dopo aver detto “Io ce l’ho fatta”, sposta il peso della scelta sull’interlocutore. Non c'è obbligo, ma quasi una sfida: vuoi continuare a essere un fallimento, o vuoi seguirmi?. È un meccanismo da reclutamento: chi ascolta sente che tutto dipende da lui, ma che Bokushi ha già tracciato la strada.

Conclusione

Bokushi non si presenta come un salvatore per vocazione, ma come uno che ha toccato il fondo e ha creato qualcosa di nuovo. Il suo discorso è efficace proprio perché parte da verità che fanno male: l’abbandono dei reduci, la medicalizzazione del dolore, la solitudine post-bellica.

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