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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Yennefer in The Witcher 4 è uno dei momenti più intensi della stagione: una lettera sospesa tra speranza e paura, rivolta a una Ciri che non risponde più. In questa guida completa lo analizziamo riga per riga, con note interpretative, consigli per audizioni e un focus sulle emozioni chiave. Perfetto per attori e performer in cerca di un testo drammatico, intimo, ma carico di tensione narrativa.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Durata: 1 minuto
Emozioni chiave Tristezza composta, empatia profonda, dolore silenzioso, forza amara
Dopo il successo della prima stagione, Respira 2 alza la posta. Torniamo al Sorolla, un ospedale che è sempre più campo di battaglia: non solo tra la vita e la morte, ma tra etica medica e interessi politici. La storia riparte dal ricovero d’urgenza di Jesica Donoso, e da lì in poi tutto si muove su un doppio binario: le vite personali dei medici e infermieri – sempre più intrecciate – e un ospedale sotto pressione, pronto ad essere travolto da scelte che mettono in crisi i suoi valori fondanti.
Il nuovo personaggio di Sophie Lafont, oncologa di fama, porta con sé una cura sperimentale e una scia di dubbi. Nel frattempo, Patricia Segura, malata e candidata politica, si trova divisa tra il corpo che cede e il potere che cresce. E intorno a loro, tutto si complica: amori che implodono, dipendenze, figli in bilico, e scelte che sembrano non avere più una linea di confine netta tra giusto e sbagliato.

Ti ho mai raccontato del mio primo turno in ospedale? Beh, eravamo stati divisi per reparti. E quella notte mi toccò la terapia intensiva neonatale, già. C’erano bambini con malformazioni, e erano molto gravi. Passai la notte a cullare un bimbo con anencefalia. Piangeva, piangeva… e mi si spezzò il cuore. Finché, qualche ora dopo morì, tra le mie braccia. E me ne tornai a casa. Non smettevo di piangere. E mi promisi che non avrei più pianto in un ospedale.
“Ti ho mai raccontato del mio primo turno in ospedale?”: tono basso, tono colloquiale; è un'intimità che si crea, non una lezione. Pausa breve dopo “ospedale”, come se stesse scegliendo se dirlo davvero.
“Beh, eravamo stati divisi per reparti.”: tono riflessivo, quasi distaccato; è un ricordo che si riattiva lentamente. Guarda in basso o nel vuoto, come se stesse rivivendo il momento.
“E quella notte mi toccò la terapia intensiva neonatale, già.”: pausa secca dopo “notte”, poi tono più cupo; “già” detto con amarezza, quasi con una leggera ironia amara. Segnale chiaro che da lì in poi, tutto cambia.
“C’erano bambini con malformazioni, e erano molto gravi.”: dire “malformazioni” senza spettacolarizzare, con delicatezza ma fermezza. Pausa dopo “gravi”, lo sguardo può accennare un velo di dolore. Non indulgere nel patetico: è una constatazione, non un pianto.
“Passai la notte a cullare un bimbo con anencefalia.”: voce più morbida, quasi rotta. Entra nel dettaglio, e qui emerge il dolore. Una lieve esitazione su “anencefalia” è lecita, naturale: è una parola clinica che qui pesa molto.
“Piangeva, piangeva…”: ripetizione carica di impotenza; la prima “piangeva” è quasi cronaca, la seconda è emotiva. Lo sguardo può spezzarsi, fuggire.
“e mi si spezzò il cuore.”: frase chiave, ma da dire con semplicità. Tono calmo, senza enfasi. Nessuna teatralità. È un dolore sedimentato.
“Finché, qualche ora dopo morì, tra le mie braccia.”: pausa netta dopo “finché”. “Morì” va detto piano, come se fosse ancora difficile pronunciarlo. “Tra le mie braccia” con una sfumatura di incredulità dolente. Respiro profondo subito dopo.
“E me ne tornai a casa.”: sguardo fisso nel vuoto, voce più bassa. Nessuna emozione in superficie: è l’automatismo del trauma. Come quando si torna da un campo di battaglia.
“Non smettevo di piangere.”: pausa su “piangere”. Il tono sale leggermente, ma senza rottura. Qui la ferita è visibile, ma contenuta.
“E mi promisi che non avrei più pianto in un ospedale.”: detta come un giuramento. Calma, ferma. “Non avrei più pianto” va leggermente separato da “in un ospedale”, con un ritmo che evidenzia la scelta personale. Voce bassa, chiusura silenziosa.
In Respira 2 episodio 5, Jesica racconta a Biel uno dei momenti più intimi e traumatici della sua vita professionale: la prima notte in ospedale. È un monologo breve ma densissimo, dove si fondono dolore, memoria e una forma di forza silenziosa che solo chi ha imparato a convivere con la perdita può esprimere. Un racconto che parla di resilienza emotiva, ma anche del prezzo psicologico del lavoro medico. “Ti ho mai raccontato del mio primo turno in ospedale?”Jesica sta per raccontare qualcosa che non dice a nessuno. “Beh, eravamo stati divisi per reparti.” È la parte del racconto in cui cerca di essere professionale, di restare nel “procedimento tecnico” per non farsi travolgere dal ricordo.
“E quella notte mi toccò la terapia intensiva neonatale, già.” La parola “già” porta una sfumatura di ironia amara: un modo per allentare la tensione, mentre dentro di lei il ricordo la stringe. “C’erano bambini con malformazioni, e erano molto gravi.” Qui Jesica non descrive, constata. È una linea clinica, che serve a difendersi emotivamente. “Passai la notte a cullare un bimbo con anencefalia.” Qui la voce si spezza leggermente, e può rallentare. La precisione del termine medico (“anencefalia”) sottolinea la consapevolezza: sa cosa significa, ma non è solo scienza. È empatia. “Piangeva, piangeva…”: la ripetizione è il cuore del monologo. È un ricordo sensoriale, quasi sonoro. Il pianto del neonato torna nella sua mente. “E mi si spezzò il cuore.”: la confessione. Va detta piano, con semplicità assoluta. Nessun tono drammatico, solo verità. “Finché, qualche ora dopo morì, tra le mie braccia.” La frase va spezzata da una pausa lunga dopo “finché”, per far sentire il peso dell’attesa.“E me ne tornai a casa.” Jesica non è più nel dolore, ma nel dopo. La voce si fa più piatta, quasi svuotata. È il ritorno meccanico alla normalità, dopo aver toccato la vita e la morte.
“Non smettevo di piangere.”l’unica immagine di totale vulnerabilità. È un lampo, un cedimento che lei ricorda come necessario. “E mi promisi che non avrei più pianto in un ospedale.” Il tono torna fermo, quasi chirurgico. È il giuramento di una professionista che ha imparato a difendersi.

Il finale di Respira 2 porta alla luce tutte le crepe costruite episodio dopo episodio. La cura sperimentale di Sophie si rivela efficace, ma non nei termini che la dottoressa ha promesso: i dati sono stati manipolati, alcuni pazienti non hanno retto il trattamento, altri sono clinicamente migliorati… ma nessuno sa davvero quanto funzioni. Questo pone un dilemma etico fortissimo: smascherare Sophie significa fermare una truffa, ma anche interrompere una speranza concreta per chi non ha alternative.
Nel frattempo, Patricia vince le elezioni proprio mentre scopre di non avere più accesso all’ultima fiala di cura, necessaria per completare il ciclo e sopravvivere. L’unica soluzione? Rubarla dal reparto. Ma Sophie è sparita, il reparto è stato smantellato… e la fiala non si trova. Biel accusa il padre Nicolas, ma l’uomo, in un momento di tensione drammatica, ha un incidente in auto. La puntata si chiude con una chiamata interrotta, e un messaggio: la verità, a volte, non salva. A volte uccide. Respira 2 si conclude così: tra potere e malattia, giustizia e compromesso, lasciando sospeso il destino di alcuni personaggi, ma segnando chiaramente il prezzo che ogni scelta ha portato con sé.
Quanto dura il monologo? Il monologo di Jesica dura circa 47 secondi, dal minuto 15:09 al minuto 15:56 dell’episodio 5 della seconda stagione (Respira 2x5).
Che temi tratta? Il monologo affronta i temi del trauma emotivo, del distacco professionale e della promessa interiore di un medico che ha imparato, a caro prezzo, a proteggersi emotivamente per poter continuare a fare il proprio lavoro.
Qual è il contesto del monologo? Jesica racconta questo episodio a Biel, durante un momento di sconforto del ragazzo. Il contesto è intimo: due medici in crisi che si confrontano su cosa significhi affrontare la morte ogni giorno. È un passaggio chiave per capire la loro connessione emotiva e la resilienza che il mestiere richiede.
Qual è l’obiettivo del monologo? Far riflettere. Jesica vuole dare forza a Biel, offrendogli un frammento della sua vulnerabilità passata, per dirgli: "Sì, succede. Sì, fa male. Ma si va avanti."
Registi: Marta Font Pascual e David Pinillos
Sceneggiatura: Carlos Ruano
Produttore: El Desorden Crea
Cast: Manu Rios (Biel de Felipe), Blanca Suárez (Jésica Donoso), Najwa Nimri (Patricia Segura) Borja Luna (Néstor Moa), Xoan Forneas (Enrique Román), Abril Zamora (Neus), Alfonso Bassave (Lluís Bonet) Aitana Sánchez-Gijón (Pilar Amaro) Rachel Lascar (Sophie)
Dove vederlo: Netflix

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