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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Jyn Erso in Rogue One è uno dei momenti più potenti del cinema Star Wars perché rifiuta ogni retorica eroica e si fonda su una scelta morale netta. Jyn non chiede fiducia, non cerca approvazione: costringe l’Alleanza Ribelle a guardare le conseguenze della propria immobilità. Attraverso un linguaggio diretto, asciutto e carico di urgenza, il discorso trasforma la paura in responsabilità.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Finale del film (con spoiler)
Credits e dove trovarlo
Minutaggio: 1:17:30-1:18:30
Durata: 1 minuto
Contesto di "Rogue One"
La storia si apre con Galen Erso, brillante scienziato al servizio dell’Impero Galattico, che tenta di sottrarsi al proprio destino rifugiandosi sul pianeta Lah’mu insieme alla moglie Lyra e alla figlia Jyn Erso. La quiete dura poco: il Direttore imperiale Orson Krennic rintraccia Galen, uccide Lyra e costringe lo scienziato a tornare a lavorare al progetto segreto dell’Impero: la Morte Nera, un’arma capace di distruggere interi pianeti. Jyn riesce a fuggire e viene salvata dal ribelle estremista Saw Gerrera, crescendo lontana dai genitori e dalla guerra. Quindici anni dopo, Galen riesce a inviare un messaggio segreto ai ribelli tramite Bodhi Rook, pilota imperiale disertore: la Morte Nera esiste, ma contiene una vulnerabilità progettata di proposito. Jyn, ormai adulta e disillusa, viene liberata da una prigione imperiale dall’Alleanza Ribelle, che spera di usarla per rintracciare Galen e fermare l’arma prima che sia completata. Accompagnata dall’ufficiale ribelle Cassian Andor e dal droide sarcastico K-2SO, Jyn raggiunge il pianeta sacro Jedha, dove Saw Gerrera le mostra il messaggio del padre. Galen rivela di aver sabotato la Morte Nera dall’interno. Poco dopo, per dimostrare il potere dell’arma, Krennic ordina la distruzione di Jedha City. Saw sceglie di restare indietro e morire, mentre Jyn e il suo gruppo fuggono, affiancati dal monaco cieco Chirrut Îmwe e dal guerriero Baze Malbus.
Seguendo le tracce di Galen, il gruppo raggiunge il pianeta Eadu, dove l’Impero conduce ricerche avanzate. Durante un attacco ribelle, Galen muore tra le braccia della figlia, ma riesce a riconciliarsi con lei. Intanto Krennic, sospettato di tradimento, si reca su Mustafar da Darth Vader, prima di dirigersi su Scarif, il pianeta-fortezza che custodisce gli archivi imperiali. Alla base ribelle di Yavin 4, Jyn propone un piano disperato: rubare i piani della Morte Nera direttamente da Scarif. Il comando rifiuta, ma Jyn non si arrende. Raduna un gruppo di volontari e parte in missione segreta, dando vita a quella che diventerà una delle operazioni più disperate e cruciali della storia della Ribellione.

Che possibilità, lei si chiede? Io mi chiedo: “Che scelta”. Fuggire, nascondersi, implorare pietà, smobilitare le forze. Piegatevi a un nemico così malvagio e così potente, e condannerete la Galassia a un’eternità di sottomissione. Il momento di combattere è ora. Ogni momento perso è un ulteriore passo verso le ceneri di Jedha. Inviate le migliori truppe su Scarif. Inviate la flotta ribelle, se dovete. Impadronitevi dei piani della Morte nera, e avrete una possibilità di distruggerla.
“Che possibilità, lei si chiede?”: attacco a freddo, come se stessi riprendendo una frase detta da altri; micro-sorriso amaro su lei (distacco), poi sguardo che torna subito al presente; pausa corta dopo “chiede?” per far sentire l’insoddisfazione.
“Io mi chiedo: ‘Che scelta’.”: metti il peso su io (presa di responsabilità); “Che scelta” va detto più basso, come una sentenza; pausa netta dopo i due punti, come se stessi cambiando marcia davanti a tutti.
“Fuggire, nascondersi, implorare pietà, smobilitare le forze.”: elenco in staccato, senza ironia; ogni verbo è un colpo di martello; micro-pausa tra i primi due, poi acceleri su “implorare pietà” (disgusto trattenuto), e chiudi “smobilitare le forze” con freddezza amministrativa, come a dire: è così che si perde.
“Piegatevi a un nemico così malvagio e così potente, e condannerete la Galassia a un’eternità di sottomissione.”: qui la voce si fa più ferma, meno personale e più “pubblica”; lo sguardo non accusatorio, ma frontale; pausa breve dopo “potente,” per far arrivare la conseguenza; su “eternità” allarga appena il tempo, come se vedessi davvero quel futuro.
“Il momento di combattere è ora.”: frase-ancora; niente melodramma, è un ordine che nasce dalla paura trasformata; “ora” va piantato con un piccolo passo in avanti o un micro-lean del busto; lascia un silenzio minimo dopo, perché è lì che li costringi a scegliere.
“Ogni momento perso è un ulteriore passo verso le ceneri di Jedha.”: abbassa di mezzo tono, come se la memoria ti colpisse allo stomaco; pausa microscopica dopo “perso” (immagine che arriva); “ceneri di Jedha” non gridato: detto con precisione, quasi a non profanare; sguardo che si sposta un attimo nel vuoto, poi rientra.
“Inviate le migliori truppe su Scarif.”: torna la strategia, torna la concretezza; tono operativo, pulito; non chiedi: disponi; su “Scarif” fai sentire che è una destinazione reale, non una parola da copione (pronuncia “sporca”, da campo).
“Inviate la flotta ribelle, se dovete.”: qui c’è la puntura; “se dovete” è una sfida controllata, come dire: smettetela di proteggervi dietro le procedure; piccola inclinazione del capo, sguardo fisso su chi ha il potere di decidere.
“Impadronitevi dei piani della Morte nera, e avrete una possibilità di distruggerla.”: rallenta leggermente sull’azione (“Impadronitevi” va pieno, muscolare); “Morte nera” senza enfasi horror: è un oggetto, un problema; pausa prima di “una possibilità” per far capire che non stai vendendo certezze; chiusura su “distruggerla” secca, definitiva, e poi lascia vibrare il silenzio come un ultimatum.
Questo monologo non nasce come discorso eroico, ma come atto di rottura. Jyn Erso non sta cercando consenso: sta mettendo l’Alleanza Ribelle davanti alla propria ipocrisia. Il punto di partenza è fondamentale: “Che possibilità?” è una domanda che non le appartiene. Jyn la smonta subito, la ribalta, la rende inutile. Per lei non esistono opzioni astratte, esiste una sola parola concreta: scelta. Ed è qui che il monologo prende forza, perché non procede per ispirazione, ma per sottrazione. Elenca le alternative – fuggire, nascondersi, implorare – non per valutarle, ma per smascherarle come forme diverse della stessa resa. La tensione emotiva è tutta compressa. Jyn non esplode mai davvero, e proprio per questo è credibile. Ogni frase spinge l’ascoltatore in avanti, verso una conseguenza inevitabile: piegarsi oggi significa condannare la galassia domani. Non c’è spazio per il conforto, né per l’illusione di una vittoria pulita. Quando nomina Jedha, il monologo cambia densità: non è più strategia, è memoria viva. Quel riferimento non serve a commuovere, ma a ricordare il prezzo dell’inazione. È un monito, non un lamento.
Nella seconda parte, Jyn diventa operativa. Il linguaggio si fa pratico, militare, quasi burocratico: truppe, flotta, piani. È una scelta attoriale potentissima, perché toglie ogni residuo di retorica. Anche quando parla della Morte Nera, non la carica di mito o paura: la tratta come un problema tecnico da risolvere. E quando concede “una possibilità”, non promette salvezza. Offre qualcosa di più onesto: una chance minima, conquistata con il rischio totale. Il monologo si chiude così, senza trionfo, lasciando chi ascolta con una responsabilità sulle spalle. Non applaudirla significa accettare la sconfitta.

Su Scarif la missione entra subito in una dimensione tragica e inevitabile. Jyn, Cassian e K-2SO si infiltrano nella cittadella imperiale, mentre gli altri ribelli creano un diversivo sul campo di battaglia. Il sacrificio diventa il linguaggio dominante del finale: K-2SO muore difendendo l’accesso ai piani, consapevole e lucido fino all’ultimo istante. La battaglia si estende nello spazio. Chirrut, disarmato ma guidato dalla Fede nella Forza, attraversa il fuoco nemico per attivare il trasmettitore: la sua camminata è una delle immagini simbolo del film, un atto di pura volontà. Subito dopo muore, seguito da Baze, che vendica l’amico prima di cadere a sua volta. Anche Bodhi Rook riesce a compiere il suo dovere, permettendo il collegamento con la flotta ribelle, ma viene ucciso poco dopo. Jyn e Cassian raggiungono i piani della Morte Nera. Feriti, stremati, ma determinati, riescono a trasmettere i dati grazie al supporto dell’Alleanza Ribelle nello spazio. L’Impero risponde con brutalità: il governatore Tarkin ordina alla Morte Nera di distruggere Scarif, cancellando ogni prova dell’errore. Sulla spiaggia, mentre l’onda di distruzione si avvicina, Jyn e Cassian si abbracciano. Non c’è fuga, non c’è eroismo urlato: solo la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta. Il loro sacrificio non cambia il presente, ma rende possibile il futuro.
Nel finale, l’orrore dell’Impero si manifesta ancora una volta con Darth Vader, protagonista di una celebre sequenza nei corridoi della nave ribelle. Nonostante la strage, i piani riescono a fuggire e vengono affidati alla Principessa Leia Organa, che pronuncia una parola chiave: speranza. Ed è qui che Rogue One si chiude, collegandosi direttamente a Una Nuova Speranza. Un film senza Jedi protagonisti, senza eroi invincibili, che racconta come la Ribellione sia nata anche – e soprattutto – grazie a persone comuni, disposte a dare tutto senza mai vedere la vittoria.
Regista: Gareth Edwards
Sceneggiatura: Kathleen Kennedy, Allison Shearmur, Simon Emanuel
Cast: Felicity Jones: Jyn Erso Diego Luna: Cassian Andor Ben Mendelsohn: Orson Krennic Donnie Yen: Chirrut Îmwe
Dove vederlo: Disney+

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