Monologo - Kelsey Asbille in \"Don't Move\"

Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!


Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Interpretare un monologo come quello di Iris in Don’t Move richiede una profondità emotiva che vada oltre la semplice espressione del dolore. Iris è una donna spezzata, un’anima che porta dentro di sé un tormento silenzioso e senza riscatto, e ogni parola che pronuncia è intrisa di questo peso. Per portare sullo schermo un personaggio così complesso, l'attrice deve sintonizzarsì su come quel trauma abbia modificato ogni suo gesto e pensiero, rendendo ogni parola un involontario richiamo alla perdita e al rimpianto.

SPEZZATA

MINUTAGGIO: 9:27-10:40
RUOLO: Iris

ATTRICE: Kelsey Asbille
DOVE: Netflix



INGLESE


Coming soon :)


ITALIANO



Mio marito stava incidendo le nostre iniziali sull'albero.

Mio figlio cercava dei bastoncini per arrostire i marshmellow.

"Li trovo in meno di un minuto, mamma".

E io:"Scommetto che non ce la fai".

E ho continuato a raccogliere i fiori selvatici.

Non l'abbiamo nemmeno sentito quando...

Il mondo prende quello che vuole.

Avrei preferito che prendesse me.

Oh, Dio.

La cosa che odio di più è che... non sono riuscita a piangere.

Vorrei farlo, ma sono... spezzata dentro.

DON'T MOVE

"Don't Move" è un thriller psicologico appena uscito su Netflix che si sviluppa attorno a un incontro casuale che si trasforma in un incubo. La storia, diretta da Sam Claflin è una tensione costante e gioca sul filo sottile tra empatia e orrore, portando il pubblico ad addentrarsi in un angosciante viaggio di sopravvivenza nei boschi.


Il film si apre con Iris (Kelsey Asbille), una donna tormentata dal senso di colpa e dalla disperazione, che vaga tra le montagne, avvicinandosi pericolosamente al bordo di un precipizio. La tragedia che l’ha portata a questo punto è la perdita accidentale del suo bambino, Mateo, durante un’escursione. Un dolore così devastante che la vita ha perso significato. Ma proprio nel momento in cui sembra decisa a buttarsi, una voce la richiama alla realtà.


La voce appartiene a Richard (interpretato da Finn Wittrock), un uomo che riesce a fermarla usando parole apparentemente compassionevoli. Anche lui ha perso una persona cara, la fidanzata Chloe, in un incidente automobilistico di cui si sente responsabile. Quest’apertura emotiva colpisce Iris, che si lascia rassicurare e decide di tornare sui suoi passi insieme a lui. Ma l’incontro si rivela una trappola: l’uomo la colpisce all’improvviso, stordendola e portandola con sé.


Quando Iris riprende conoscenza, si ritrova immobilizzata, legata nell’auto di Richard. Le viene detto che ha venti minuti prima che un potente farmaco paralizzante, già in circolo nel suo corpo, faccia effetto completamente. A partire da quel momento, inizia una disperata corsa contro il tempo, dove ogni singolo minuto è scandito da una crescente perdita di controllo sul suo corpo. È costretta a una lotta fisica e psicologica, cercando ogni risorsa interna per non soccombere, anche quando il farmaco comincia a bloccarle i movimenti.


Il tocco horror del film emerge soprattutto nel modo in cui l'ambiente circostante – boschi, un fiume e la baita di un anziano vicino – si trasforma da potenziale rifugio in una prigione per Iris. Richard, consapevole della paura e del senso di smarrimento che sta infliggendo alla sua vittima, usa la natura selvaggia e isolata come alleata, stringendo la presa su Iris ogni volta che sembra poter sfuggire.

ANALISI MONOLOGO

Questo monologo di Iris in Don’t Move è intenso e toccante, e racchiude il nucleo emotivo che guida il personaggio attraverso l’intera vicenda. C'è una disarmante semplicità nella sua narrazione, una volontà di rivivere quei pochi secondi apparentemente banali che hanno cambiato ogni cosa. È come se Iris ci accompagnasse nel suo momento più intimo e vulnerabile, spezzando ogni barriera con il pubblico e con sé stessa.


"Mio marito stava incidendo le nostre iniziali sull'albero. Mio figlio cercava dei bastoncini per arrostire i marshmallow." In queste frasi, Iris tratteggia un quadro di serenità familiare, mostrando come quella giornata fosse piena di semplici gesti d’amore. La scena ci parla di una normalità che sembrava intatta, di quei piccoli momenti che diventano preziosi solo quando si perdono. Attraverso questi dettagli, si intuisce che per Iris ogni istante è ancora vivo, ogni sguardo e parola del figlio sono indelebili nella sua memoria, trasformando questo ricordo in una sorta di altare sacro del suo dolore.


"Li trovo in meno di un minuto, mamma", e io: "Scommetto che non ce la fai". E ho continuato a raccogliere i fiori selvatici." Questa frase, detta con leggerezza durante un gioco, è diventata per lei insopportabile. Anche se nessuno può davvero controllare eventi come questi, Iris si addossa il peso della colpa. Il gioco, la scommessa scherzosa, e poi lei che "continua a raccogliere fiori" diventano come ferite aperte: ogni volta che ripensa a quella frase, si ricorda che è stata lei a incoraggiarlo a cercare, a lasciarlo da solo. In queste parole si sente una disperazione che affonda nella colpa materna, qualcosa di universale per chi ha perso qualcuno senza poterlo proteggere. "Il mondo prende quello che vuole." Con questa frase, Iris esprime una rassegnazione totale di fronte al destino. C'è qualcosa di cosmico e spietato in queste parole: il mondo non ha risposto al suo dolore, non ha offerto spiegazioni. Il “mondo” è indifferente, e questo senso di ingiustizia la devasta. È come se stesse cercando di convincersi di questa verità crudele, quasi a giustificare la sua sofferenza come inevitabile. Ma questo rende il dolore ancora più insopportabile: accettare che il dolore non abbia una logica.


"Avrei preferito che prendesse me. Oh, Dio." Qui Iris esplicita il suo desiderio di sacrificio. La frase “Avrei preferito che prendesse me” mostra quanto il suo amore materno sia così viscerale da voler sacrificare la propria vita per riportare indietro il figlio. Quest’ammissione non è solo un’espressione di amore, ma anche di un senso di inadeguatezza rispetto alla propria sopravvivenza. "La cosa che odio di più è che... non sono riuscita a piangere. Vorrei farlo, ma sono... spezzata dentro." Iris arriva al culmine della sua confessione. Il fatto di non riuscire a piangere la tormenta: il dolore è talmente profondo che ha consumato ogni espressione emotiva, lasciandola svuotata. La sua incapacità di piangere è quasi più dolorosa della perdita stessa, perché rappresenta una frattura che la rende incapace di sfogare il suo dolore, intrappolata in uno stato di torpore emotivo. Questo “essere spezzata dentro” è una condanna, un senso di impotenza che la lascia vulnerabile e, allo stesso tempo, indifferente.


Questo monologo ci permette di comprendere la fragile psicologia di Iris. È una donna prigioniera della propria sofferenza, che si percepisce morta dentro e forse è proprio questo che la rende il bersaglio perfetto di Richard: chi ha perso tutto e non ha più alcuna speranza diventa vulnerabile. La sua ammissione finale – il non riuscire a piangere – dà profondità alla sua angoscia: il dolore è muto, silenzioso, e proprio per questo ancora più devastante.

SUGGERIMENTI PER L'INTERPRETAZIONE

Interpretare un monologo come quello di Iris richiede di sintonizzarsi su un dolore che non è solo una reazione immediata alla perdita, ma una condizione esistenziale, qualcosa che permea ogni gesto e parola del personaggio.


1. Adotta un Tono di Voce Soppresso e Intimo

Iris parla del momento più intimo e tragico della sua vita; il tono di voce dovrebbe essere basso, quasi come se stesse confessando a sé stessa più che a un interlocutore. Evita di enfatizzare ogni frase. Il dolore di Iris è sfinito, assorbito, e spesso le parole devono sembrare trascinate fuori a fatica. Non è un dolore esplosivo, ma un fuoco che brucia sotto la superficie, consumandola lentamente.


2. Occhi e Sguardo Fissi sul Passato

Durante il monologo, l’attrice può mantenere lo sguardo in un punto fisso, perso nel vuoto, come se stesse visualizzando quel giorno e i suoi dettagli. Ogni frase dovrebbe evocare un’immagine di quei momenti felici che sono ora una fonte di tormento. Lascia che gli occhi si “perdano” a tratti, poi tornino a focalizzarsi su qualcosa di vicino. Questo alternarsi di sguardo rappresenta il conflitto tra la volontà di rimanere nel presente e la forza del passato che la risucchia.


3. Mostra una Sofferenza Rassegnata e Involontaria

Nella frase “Il mondo prende quello che vuole,” adotta un’espressione quasi impassibile. Qui non c’è rabbia o protesta, ma piuttosto un’accettazione amara di una realtà crudele e insensata. Fai emergere una sorta di rassegnazione: Iris ha imparato che il mondo non risponde al dolore con giustizia o spiegazioni, e questa conoscenza la rende ancora più stanca e vuota.


4. Evita le Lacrime Visibili: Il Dolore è Interno

Non cedere alla tentazione di esprimere il dolore con un pianto aperto. La sua confessione dice chiaramente che non riesce a piangere; è “spezzata dentro.” Usa il respiro come strumento: i respiri più lunghi e soffocati possono far sentire quanto trattenga le lacrime, senza mai lasciarle uscire. Questo è un dolore congelato, che si manifesta non nel pianto ma nel vuoto e nella frustrazione silenziosa.


5. Accenna a un Leggero Tremore in Alcune Frasi

In frasi come “Avrei preferito che prendesse me,” lascia trapelare un lieve tremore nella voce. Il pensiero del sacrificio che non può più fare è troppo doloroso, e anche se cerca di mantenere il controllo, qui c’è una piccola incrinatura. Questo tremore deve essere quasi impercettibile, più simile a un moto involontario che a un’emozione espressa apertamente.


6. Gioca con Pausa e Tempo

Concediti delle pause tra le frasi, soprattutto quando rivela dettagli felici del giorno della tragedia: “Mio marito stava incidendo le nostre iniziali sull’albero.” Qui, la pausa serve a enfatizzare la normalità e la serenità di quel momento. In alcune frasi, rallenta il ritmo come se ogni parola le costasse uno sforzo fisico per uscire, soprattutto alla fine, quando dice di sentirsi “spezzata dentro.” Come se pronunciare quelle parole fosse difficile, ma anche liberatorio.


7. Attenzione alla Postura e ai Gesti Minimi

Mantieni una postura chiusa, con le spalle leggermente curve, come se portassi il peso del ricordo. Non usare gesti eclatanti; movimenti minimi – come un lieve tocco delle dita sul braccio o sulle labbra – devono sembrare involontari, riflessi di qualcuno che è intrappolato in un dolore intimo e nascosto. Se vuoi sottolineare il dolore, un piccolo gesto di tensione, come stringere le mani o scostarsi i capelli, può aggiungere intensità senza bisogno di parole.

CONCLUSIONE

Rendere credibile la sofferenza di Iris è una sfida di sottrazione: non si tratta di esplodere in un grido, ma di far percepire un dolore silenzioso, congelato, che si insinua tra le pause e i piccoli gesti trattenuti. È un’interpretazione che richiede controllo e sensibilità, capace di lasciare nello spettatore una traccia di quel vuoto che Iris si porta dentro, un vuoto che non si può riempire né esprimere, ma che attraverso la performance può trasformarsi in un’esperienza emozionante e immersiva.

Entra nella nostra Community Famiglia!

Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno

Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.


Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.

© Alfonso Bergamo - 2025

P.IVA: 06150770656

info@recitazionecinematografica.com