Monologo - Kevin Spacey in \"Seven\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di John Doe, interpretato da Kevin Spacey in "Seven", è uno dei momenti più emblematici e disturbanti del film. Collocato verso la fine della narrazione, è una confessione che incarna la follia e l’ideologia del killer, il quale giustifica i suoi atti orribili con una visione distorta della moralità. Con un tono calmo ma glaciale, John Doe espone i suoi crimini come se fossero atti di purificazione, un giudizio divino contro coloro che considera corrotti e immorali. Questo discorso non è solo una finestra sulla sua psiche deviata, ma anche un punto di rottura che forza i detective (e il pubblico) a confrontarsi con le loro stesse nozioni di innocenza e colpa.

Innocenti per chi?

MINUTAGGIO:

RUOLO: John Doe
ATTORE:
Kevin Spacey
DOVE:
Amazon Prime Video

INGLESE

Innocent? Is that supposed to be funny? An obese man... a disgusting man who could barely stand up; a man who if you saw him on the street, you'd point him out to your friends so that they could join you in mocking him; a man, who if you saw him while you were eating, you wouldn't be able to finish your meal. After him, I picked the lawyer and I know you both must have been secretly thanking me for that one. This is a man who dedicated his life to making money by lying with every breath that he could muster to keeping murderers and rapists on the streets! A woman... so ugly on the inside she couldn't bear to go on living if she couldn't be beautiful on the outside. A drug dealer, a drug dealing pederast, actually! And let's not forget the disease-spreading whore! Only in a world this shitty could you even try to say these were innocent people and keep a straight face. But that's the point. We see a deadly sin on every street corner, in every home, and we tolerate it. We tolerate it because it's common, it's trivial. We tolerate it morning, noon, and night. Well, not anymore. I'm setting the example. What I've done is going to be puzzled over and studied and followed... forever.



ITALIANO


Innocenti? Se è una battuta non fa ridere. Un obeso, un disgustoso obeso che faticava a stare in piedi. Un uomo che, se lo incontri per strada, chiami gli amici per fartene gioco insieme a loro. Un uomo la cui sola vista, mentre stai pranzando, ti faceva passare la voglia di mangiare. E dopo di lui, l'avvocato. In cuor vostro dovreste ringraziarmi per averlo fatto. Un uomo che aveva dedicato la sua vita al denaro, ai beni materiali, mentendo con tutta la veemenza di cui era capace, dando così a volgari assassini e stupratori la libertà. Una donna. Una donna così orribile dentro da non riuscire neanche a sopportare di vivere, solo perché aveva perso la bellezza esteriore. Uno spacciatore. Uno spacciatore pederasta, a essere precisi. E non ci dimentichiamo di quell’altra infetta sgualdrina. Solo in questo mondo di merda si possono definire degli innocenti persone come quelle e rimanere con la faccia seria. Ma questo è il punto, vediamo un peccato capitale ad ogni angolo di strada, in ogni abitazione, e lo tolleriamo. Lo tolleriamo perché lo consideriamo comune, insignificante, lo tolleriamo mattina, pomeriggio e sera. Adesso basta però, servirò da esempio e ciò che ho fatto ora verrà prima decodificato, poi studiato... e infine seguito... per sempre.

Seven

"Seven", diretto da David Fincher nel 1995, è un thriller cupo e disturbante che esplora i meandri più oscuri della mente umana. La storia si sviluppa attorno a due detective della polizia, il giovane e impulsivo David Mills (Brad Pitt) e il veterano riflessivo William Somerset (Morgan Freeman), che si trovano a indagare su una serie di omicidi raccapriccianti legati ai sette peccati capitali: gola, avarizia, accidia, lussuria, superbia, invidia e ira. Il film si apre con Somerset, prossimo alla pensione, che riceve l'incarico di affiancare Mills, appena trasferitosi in città con sua moglie Tracy (Gwyneth Paltrow).


I due non potrebbero essere più diversi: Somerset è metodico, disilluso e malinconico, mentre Mills è irruento, motivato e inesperto. Questa dinamica genera una tensione costante tra i due, che si riflette anche nel modo in cui affrontano l'indagine. Gli omicidi si rivelano ben presto opera di un serial killer altamente metodico e disturbato, che organizza ogni scena del crimine come una sorta di macabra performance artistica per denunciare i peccati della società. Ogni vittima è punita in modo brutale e simbolico, riflettendo il peccato di cui sono ritenute colpevoli: un avvocato avido è costretto a tagliarsi via una libbra di carne (avarizia), un uomo obeso viene obbligato a mangiare fino alla morte (gola), e così via.


Con il progredire dell'indagine, il killer — che si fa chiamare John Doe (interpretato da Kevin Spacey) — sembra sempre un passo avanti ai detective, portandoli inesorabilmente verso un confronto finale che ribalterà completamente le loro vite.


La tensione culmina in un finale devastante e moralmente ambiguo. John Doe si consegna spontaneamente alla polizia, ma con una condizione: rivelerà l'ubicazione delle ultime due vittime solo se Mills e Somerset lo accompagneranno in un luogo isolato. Qui avviene la rivelazione più scioccante del film: in un pacco consegnato sul posto, Somerset trova la testa mozzata di Tracy, la moglie di Mills. Questo è il "peccato" di John Doe: invidia per la vita perfetta di Mills. Il killer spinge Mills a commettere l'ultimo peccato, l'ira, uccidendolo e completando così il ciclo dei sette peccati capitali.

Analisi Monologo

"Innocenti? Se è una battuta non fa ridere." L'apertura del monologo è un attacco diretto alla nozione stessa di innocenza. John Doe inizia con una negazione categorica, che subito cattura l'attenzione e crea disagio. Con questa semplice domanda retorica, scarta l'idea che le sue vittime fossero meritevoli di compassione. Il tono sprezzante non è casuale: serve a destabilizzare i suoi interlocutori, insinuando che il loro giudizio morale sia ipocrita.


"Un obeso, un disgustoso obeso che faticava a stare in piedi..." La descrizione della prima vittima, rappresentante del peccato di gola, mette in luce la crudeltà di John Doe e la sua ossessione per l'aspetto esteriore come riflesso della condotta morale. L’uso di termini volutamente offensivi come "disgustoso" e "faticava a stare in piedi" evidenzia il disprezzo del killer, ma sembra voler giustificare la sua violenza attraverso la denigrazione. Questa parte del monologo costringe lo spettatore a una riflessione amara: quante volte, anche noi, giudichiamo superficialmente una persona sulla base del suo aspetto?


"E dopo di lui, l'avvocato. In cuor vostro dovreste ringraziarmi per averlo fatto." Qui, John Doe cambia registro, passando dalla disumanizzazione della prima vittima a una giustificazione morale. L’avvocato, che rappresenta l’avidità (avarizia), viene descritto come un complice del male nella società, colpevole di liberare criminali in nome del denaro. Il suo tono diventa quasi ironico con quel "dovreste ringraziarmi", suggerendo che i suoi omicidi siano atti altruistici. Questo capovolgimento morale è centrale nel personaggio di John Doe: vede se stesso non come un criminale, ma come un giustiziere che agisce in nome di un codice superiore. "Una donna. Una donna così orribile dentro da non riuscire neanche a sopportare di vivere..." Questa parte del discorso evidenzia il disprezzo del killer per le persone che non si conformano ai suoi ideali di purezza, sia fisica che morale. La donna rappresenta la superbia, un peccato che John Doe considera imperdonabile, al punto che lei stessa viene descritta come incapace di tollerare la propria esistenza. C'è un parallelismo inquietante tra la superbia percepita della vittima e l'arroganza di John Doe stesso, che si arroga il diritto di decidere chi merita di vivere o morire. Questo riflesso sottolinea l'ipocrisia insita nel suo giudizio.


"Uno spacciatore. Uno spacciatore pederasta, a essere precisi." John Doe passa a uno dei suoi crimini più violenti, quello contro il rappresentante del peccato di accidia. Lo spacciatore è descritto con disprezzo estremo, e l'aggiunta dell'epiteto "pederasta" amplifica la sua condanna morale, suggerendo che la sua morte fosse non solo inevitabile, ma necessaria. Ancora una volta, il linguaggio di John Doe è calcolato: etichettare la vittima come un mostro è il suo modo di ridurre al minimo qualsiasi empatia da parte degli interlocutori. "Solo in questo mondo di merda si possono definire degli innocenti persone come quelle e rimanere con la faccia seria." Il monologo si chiude con una dichiarazione cinica e definitiva. John Doe non solo condanna le sue vittime, ma estende il suo giudizio all'intera società. In questa frase si trova la vera essenza del personaggio: un uomo che si percepisce come un martire in un mondo marcio, in cui la moralità è stata corrotta al punto che nessuno è realmente innocente.

Conclusione

Questo monologo rappresenta uno dei momenti chiave di "Seven", poiché rivela pienamente la mentalità deviata di John Doe e il modo in cui giustifica i suoi atti mostruosi. L'intensità della performance di Kevin Spacey, caratterizzata da un tono freddo e controllato, amplifica il senso di disagio, obbligando i detective (e il pubblico) a confrontarsi con la logica disturbante del killer. Il linguaggio di John Doe, privo di emozioni ma intriso di disprezzo, evidenzia il suo senso di superiorità morale e la convinzione che le sue azioni siano giustificate da una missione più alta.

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