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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Kevin Spacey nei panni di Verbal Kint in I soliti sospetti rappresenta uno dei momenti più memorabili del film, non solo per il contenuto, ma per come viene raccontato. In questa sequenza, Verbal narra la leggenda di Keyser Söze, una figura criminale quasi mitologica, il cui nome incute terrore in ogni angolo del mondo criminale. È un momento cruciale perché racchiude il tema centrale del film: il potere della narrazione, della percezione e della paura. Lo spettatore, così come l’agente Kujan, viene ipnotizzato dalle parole di Verbal, che con apparente calma e precisione descrive un personaggio così temibile da sembrare quasi irreale. Il modo in cui Spacey recita il monologo aggiunge un livello di complessità ulteriore, creando un’atmosfera carica di tensione che culmina nell'ormai iconica frase: "La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste."
RUOLO: Verbal Kint
ATTORE: Kevin Spacey
DOVE: Amazon Prime Video
INGLESE
He's supposed to be Turkish. Some say his father was German. Nobody ever believed he was real. Nobody ever knew him or saw anybody that worked directly for him, but to hear Kobayashi tell it, anybody could've worked for him. You never knew. That was his power. The greatest trick the devil ever pulled was convincing the world he didn't exist. One story the guys told me - the story I believe - was from his days in Turkey. A g*ng of Hungarians wanted their own mob. They realised that to be in power you didn't need g*ns or money or numbers. You just needed the will to do what the other guy wouldn't. After a while they come into power, and they come after Söze. He was small-time then, just running dope, they say. They come to his home in the afternoon looking for his business. They find his wife and kids in the house and decide to wait for Söze. He comes home to find his wife r*ped and children screaming. The Hungarians knew Söze was tough, so they let him know they meant business. They tell him they want his territory, all his business. Söze looks over the faces of his family, then he showed these men of will what will really was. He tells him he would rather see his family dead than live another day after this. He lets the last Hungarian go, waits until his family are buried, then goes after the rest of the mob. He kills their kids, their wives, their parents and their parents' friends. He burns down the houses they live in and the stores they work in. He kills people that owe them money. And like that... he's gone. Underground. Nobody's ever seen him since. He becomes a myth, a spook story that criminals tell their kids at night. "Rat on your pop, and Keyser Söze will get you." But no one ever really believes. Do you believe in him, Verbal? Keaton always said "I don't believe in God, but I'm afraid of him." Well, I believe in God. And the only thing that scares me is Keyser Söze.
ITALIANO
Beh, pare che sia turco. C’è chi dice che il padre sia tedesco. Nessuno crede che esista davvero, nessuno l’ha mai conosciuto, o visto qualcuno che abbia lavorato per lui. Ma a sentire Kobayashi, chiunque avrebbe potuto lavorare per Söze. Non lo sapevano. Era questo il suo potere. La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste. Una delle storie che mi hanno raccontato i ragazzi, e che io credo, è di quando Söze era in Turchia. C’era un gruppo di ungheresi che volevano formare una banda. Avevano capito che per avere il potere non c’è bisogno di fucili o di soldi, né di essere in molti. Serviva solo la volontà di fare quello che gli altri non vogliono fare. Dopo un po’, arrivano al potere e prendono di mira Söze. Era un pesce piccolo, allora. Spacciava solo droga, dicono. Arrivano a casa sua di pomeriggio. Vogliono fregargli la roba. Trovano la moglie e i figli in casa e decidono di aspettare Söze. Söze torna e trova la moglie violentata e i figli che urlano. Gli ungheresi sanno che è un duro e vogliono fargli capire che loro non sono da meno. Gli dicono che vogliono il suo territorio e tutto il suo giro. Söze guarda fisso negli occhi i suoi familiari. E fa vedere a quegli uomini di ferro cosa sia la volontà di ferro. Gli dice che preferisce vedere la sua famiglia morta piuttosto che vivere un altro giorno dopo quanto è successo. Lascia libero l’ultimo Ungherese. Aspetta che la moglie e i figli siano sotto terra. Poi va a cercare il resto della banda. Uccide i loro figli, uccide le loro mogli, uccide i loro genitori e i loro amici. Brucia le case in cui vivono e i negozi in cui lavorano. Uccide perfino le persone che gli devono dei soldi. E, come niente, sparisce. Un clandestino. Nessuno l’ha più visto da allora. Diventa un mito, una storia del terrore che i criminali raccontano ai figli: "Se non obbedisci a papà, Keyser Söze ti porta via." Ma nessuno ci crede realmente. Keaton diceva sempre: "Io non credo in Dio, però ho paura di lui." Beh, io credo in Dio. E l’unica cosa di cui ho paura è Keyser Söze.
"I soliti sospetti" (The Usual Suspects, 1995) è uno di quei film che rimangono impressi per la loro narrazione non lineare e per il colpo di scena finale, uno dei più discussi nella storia del cinema. Diretto da Bryan Singer e scritto da Christopher McQuarrie, il film gioca con il concetto di affidabilità del narratore e mette lo spettatore in una posizione di costante incertezza. La storia si apre con l’esplosione di una nave nel porto di San Pedro, in California, che causa 27 morti e lascia solo due sopravvissuti: un misterioso criminale ungherese, gravemente ustionato, e Roger "Verbal" Kint (Kevin Spacey), un piccolo truffatore con una leggera disabilità fisica. Il film si sviluppa attraverso il lungo interrogatorio di Verbal da parte dell’agente speciale Dave Kujan (Chazz Palminteri), che cerca di ricostruire gli eventi che hanno portato al disastro. Verbal racconta che tutto è iniziato settimane prima, quando lui e altri quattro criminali — Dean Keaton (Gabriel Byrne), Michael McManus (Stephen Baldwin), Fred Fenster (Benicio Del Toro) e Todd Hockney (Kevin Pollak) — vengono arrestati durante un'operazione sotto copertura della polizia a New York. Gli uomini, che inizialmente non si conoscono, decidono di collaborare per vendicarsi delle autorità e mettere a segno alcuni colpi.
La loro carriera criminale prende però una piega oscura quando entrano in contatto con Keyser Söze, una figura leggendaria nel mondo criminale, temuta per la sua spietatezza e la capacità di controllare ogni aspetto del crimine organizzato. Söze incarica il gruppo di assaltare la nave al centro degli eventi, che si scopre essere coinvolta in un traffico internazionale di droga. Il piano, però, non va come previsto.
Mentre Verbal racconta i dettagli della storia, Kujan cerca di far emergere la verità, convinto che Keaton fosse il vero leader della banda e, forse, Keyser Söze stesso. Nell’iconico finale, la narrazione si ribalta completamente. Verbal, lasciato andare dopo l’interrogatorio per mancanza di prove, si allontana dalla stazione di polizia. In quei momenti, Kujan si rende conto che gran parte della storia raccontata da Verbal era stata inventata, basandosi sugli oggetti presenti nell'ufficio dell’interrogatorio.
Questo monologo arriva in un momento chiave della narrazione. Verbal è sottoposto a interrogatorio dall’agente Kujan, che cerca di incastrare Dean Keaton, il leader della banda criminale. Mentre sembra che Verbal stia semplicemente raccontando una leggenda per dare profondità alla figura di Keyser Söze, il suo intento è più sottile: creare un alone di mistero e manipolare sia Kujan che lo spettatore. Non si tratta solo di trasmettere paura, ma di disorientare chi ascolta, facendo sì che Söze sembri onnipresente e inarrestabile. Verbal inizia presentando Söze come una figura sfuggente, quasi incorporea. Sottolinea che "nessuno l’ha mai conosciuto" o visto qualcuno che abbia lavorato direttamente per lui.
Questo accresce il senso di incertezza e ambiguità, rendendo Söze una sorta di leggenda vivente. La frase "Era questo il suo potere" è fondamentale perché mette in evidenza un tema centrale del film: il potere del controllo mentale. Söze non domina attraverso la forza fisica o la ricchezza, ma attraverso la paura e il mistero. Questo lo rende più pericoloso, perché è impossibile combattere qualcosa che non si può identificare. Il cuore del monologo si trova nella descrizione del massacro orchestrato da Keyser Söze. La scena raccontata da Verbal, in cui Söze uccide la sua stessa famiglia per dimostrare la sua "volontà di ferro", è il punto più inquietante. È un atto che trascende il normale immaginario criminale.
Non è solo vendetta, ma un esempio estremo di come Söze sia disposto a fare ciò che gli altri non farebbero mai. Questo concetto risuona nelle parole di Verbal: "Serviva solo la volontà di fare quello che gli altri non vogliono fare." Söze diventa un simbolo di pura determinazione, un essere che ha eliminato ogni limite morale. La brutalità del racconto non è fine a sé stessa, ma serve a mettere in evidenza come la paura di Söze non derivi solo dai suoi atti, ma dall’idea che rappresenta: l’impossibilità di scendere a patti con lui. Söze non negozia, non perdona, non dimentica. Questo lo rende più simile a un concetto astratto che a un uomo. La frase "La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stata convincere il mondo che lui non esiste" è l’apice del monologo. È un’osservazione che trascende il racconto di Söze e diventa una metafora più ampia sul potere della menzogna e della percezione. Il diavolo, come Söze, non ha bisogno di agire direttamente: basta che la sua leggenda si diffonda, influenzando le azioni e le paure degli altri. È un concetto che si ricollega al tema centrale del film, ovvero che la realtà può essere manipolata attraverso la narrazione.
Il monologo di Verbal Kint è un microcosmo perfetto di ciò che I soliti sospetti rappresenta: una riflessione sull’inganno, sul potere della paura e sulla forza della narrazione. Attraverso questa storia, Verbal manipola sia l’agente Kujan che il pubblico, trascinandoli in una rete di dubbi e incertezze. La leggenda di Keyser Söze non è solo una storia, ma un atto di controllo. Kevin Spacey porta questa scena a un livello straordinario grazie alla sua interpretazione sottile e calcolata, che lascia lo spettatore incerto fino alla fine. Söze è reale o solo un’invenzione?
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