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Il monologo di Lilia, nel film Terapia di gruppo (2024), mostra un personaggio che vive intrappolato tra il bisogno di controllo e il desiderio di connessione. Attraverso la ripetizione ossessiva delle parole, Lilia rivela il suo disturbo, e le sue emozioni più profonde, fatte di solitudine e vulnerabilità. Questo momento, che alterna comicità e tenerezza, offre un ritratto autentico della difficoltà di convivere con un disturbo ossessivo-compulsivo, invitando il pubblico a una riflessione più empatica e intima.
MINUTAGGIO: Circa 30 minuti
RUOLO: Lilli
ATTRICE: Ludovica Francesconi
DOVE: Al cinema!
ITALIANO
Posso? Posso? Io sono Liliana, ma per tutti sono Lili. Ho 23 anni, lavoro in una palestra e a forza di ripetere gli esercizi due volte ho tutti i corsi pieni. Io sono Liliana, ma per tutti sono Lili. Ho 23 anni, lavoro in una palestra e a forza di ripetere gli esercizi due volte ho tutti i corsi pieni. Sto così da quando è morto mio padre. Sto così da quando è morto mio padre. C'è qualcosa, nella mia testa, che mi fa ripetere tutto. C'è qualcosa, nella mia testa, che mi fa ripetere tutto. Sempre sempre no... Sempre sempre no. Ripetere tutto è l'apoteosi della simmetria. Ripetere tutto è l'apoteosi della simmetria. E' quasi il "calpesto le righe". E' quasi il "calpesto le righe". Oh nono, è molto difficile. Oh nono, è molto difficile. Intorno a me non lo capiscono in molti, forse capita anche a voi. Intorno a me non lo capiscono in molti, forse capita anche a voi. Però io ci provo a farmi dei nuovi amici. Però io ci provo a farmi dei nuovi amici. Tutti mi tanno alla larga, e io mi sento un pò sola. Tutti mi tanno alla larga, e io mi sento un pò sola.
Terapia di Gruppo è una commedia italiana del 2024 incentrato sulle nevrosi. La premessa del film: sei pazienti con disturbi ossessivo-compulsivi, apparentemente incompatibili tra loro, si trovano accidentalmente nello stesso studio per una seduta psicoterapeutica. L'assenza del medico li costringe a gestirsi da soli, portando a una terapia di gruppo "fai da te" che diventa il cuore pulsante della narrazione.
Ogni personaggio porta in scena una diversa sfaccettatura dei disturbi ossessivo-compulsivi, con caratterizzazioni che oscillano tra il grottesco e il tenero. Federico, interpretato da Claudio Bisio, è il personaggio che catalizza subito l’attenzione, con la sua sindrome di Tourette. Annamaria, impeccabile e maniacale nel controllo di ogni dettaglio, è invece un riflesso delle ansie quotidiane di chi teme di non avere mai tutto sotto controllo. La sua tensione si scontra con l’ossessione di Emilio per il conteggio compulsivo, con continui numeri e verifiche.
C’è poi Bianca, che vive come in una bolla asettica, con l’ossessione per la pulizia. Otto, con il suo terrore di essere escluso “dal cellulare”, incarna la dipendenza moderna dalla tecnologia, mentre Lilli, con la sua simmetria ossessiva, porta il pubblico in un vortice di gag basate sul linguaggio ripetitivo.
L’attesa del luminare, che non si presenta mai, diventa un espediente narrativo per lasciare i personaggi da soli con le loro fragilità. Inizialmente, i conflitti tra le loro ossessioni sembrano insormontabili, ma proprio questi contrasti danno il via a momenti di grande comicità e inaspettata empatia.
Il gruppo, costretto a interagire, inizia a trasformare le proprie debolezze in una forma di forza collettiva. La “terapia” improvvisata diventa una scusa per scoprire le radici dei loro traumi e, tra un esercizio e l’altro, emergono momenti di autentica introspezione. È qui che il film tocca il suo aspetto più umano: le ossessioni, pur esasperate per scopi comici, vengono trattate con rispetto, come specchio delle difficoltà di accettare sé stessi.
Il monologo di Lilia, o Lili, rappresenta un momento chiave per il suo personaggio e per il film, permettendo di approfondire la natura del suo disturbo ossessivo-compulsivo e il peso emotivo che porta con sé. La ripetizione sistematica che caratterizza il suo modo di parlare non è solo un elemento comico o un tic: diventa una finestra sulla sua psiche, una forma di espressione che rivela un bisogno più profondo di ordine e di connessione in un mondo che le sembra caotico e inospitale.
"Io sono Liliana, ma per tutti sono Lili. Ho 23 anni, lavoro in una palestra..." Lilia si presenta al gruppo con una semplicità che contrasta con la complessità del suo disturbo. La ripetizione del suo nome e delle informazioni personali, inizialmente, sembra quasi un esercizio per auto-affermare la propria identità. Questo riflette la sua lotta interiore: da una parte desidera essere vista e compresa, dall'altra è intrappolata in un ciclo compulsivo che la isola.
"Sto così da quando è morto mio padre." Questa frase introduce un elemento cruciale: la connessione tra il lutto e l’insorgenza della sua condizione. La morte del padre rappresenta un trauma irrisolto che ha generato un bisogno di controllo, espresso attraverso la simmetria e la ripetizione. È una rivelazione toccante che umanizza il personaggio e spinge gli altri (e il pubblico) a empatizzare con lei.
"C'è qualcosa, nella mia testa, che mi fa ripetere tutto. Sempre sempre no... Sempre sempre no." Qui emerge il conflitto interiore: Lilia è consapevole del suo comportamento e, in un certo senso, lo subisce. La frase spezzata, "Sempre sempre no... Sempre sempre no", riflette un momento di dissonanza, come se volesse interrompere il ciclo ma non fosse in grado di farlo. Questa lotta tra volontà e compulsione è al centro della sua condizione.
"Ripetere tutto è l'apoteosi della simmetria. È quasi il 'calpesto le righe'." La simmetria per Lilia è un sistema attraverso il quale cerca di dare ordine al caos che la circonda. Il richiamo al "calpesto le righe" evoca un’immagine universale, trasformando il suo comportamento in qualcosa di più comprensibile e vicino all’esperienza umana: la ricerca di sicurezza in piccole regole personali.
"Intorno a me non lo capiscono in molti, forse capita anche a voi." Lilia apre uno spiraglio verso il gruppo, tentando di stabilire un contatto umano. Questa frase è il cuore del monologo: nonostante il disturbo che la isola, Lilia desidera essere capita e accettata. È un invito all’empatia, sia per i personaggi che per il pubblico.
"Però io ci provo a farmi dei nuovi amici. Tutti mi stanno alla larga, e io mi sento un po’ sola." La solitudine di Lilia è una conseguenza della sua condizione, ma è anche il motore che la spinge a cercare di migliorare. La sua onestà vulnerabile è commovente e sottolinea il lato umano dietro il disturbo. La ripetizione sistematica, che è la caratteristica distintiva del monologo, ha un doppio effetto. Da un lato, crea un ritmo quasi musicale che cattura l’attenzione; dall’altro, sottolinea la prigionia psicologica del personaggio. Ogni frase ripetuta è come una porta che si apre e si richiude, lasciando intravedere per un momento il mondo interiore di Lilia.
Il monologo di Lilia è una dichiarazione di vulnerabilità e un ponte verso gli altri personaggi e il pubblico. La sua ripetizione compulsiva è un linguaggio attraverso cui comunica la sua lotta interiore e il bisogno disperato di ordine in un mondo caotico. Con la sua semplicità e umanità, Lilia riesce a farci ridere, commuovere e riflettere, diventando il simbolo dell'importanza di accettare le proprie imperfezioni e di cercare connessione nonostante le difficoltà.
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