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~ LA REDAZIONE DI RC
Interpretare il monologo di Giorgio in Tutto chiede salvezza richiede una sensibilità particolare, capace di cogliere le sfumature di un personaggio che vive con semplicità e intensità il suo dolore. Giorgio racconta un’esperienza dolorosa legata alla perdita della madre, portando alla luce non solo la sofferenza di un bambino che si è visto privato di una figura fondamentale, ma anche la sua difficoltà a elaborare il lutto in un mondo che spesso ignora o minimizza il dolore delle persone vulnerabili.
STAGIONE 1 EP 2
MINUTAGGIO: 30:40-32:31
RUOLO: Giorgio
ATTORE: Lorenzo Renzi
DOVE: Netflix
ITALIANO
Una mattina mia madre mi fa: “Giorgio, mamma va al mercato”, e io stavo con nonno, no? Avevo si e no 10 anni. Passa un’ora, passano due ore, ma mamma non torna. La sera poi ci chiama l’ospedale, e infatti ci andiamo, è? Nonno, nonno entra subito, ma arrivano due infermieri e se lo portano via. Lui comincia a urlare come un pazzo. Da me viene un infermiere e mi fa: “Ma… ma tu come ti chiami… che squadra porti?” A me che mi interessa, ao. Io voglio andare da nonno. E infatti scappo e lo vado a cercaree. Urla così tanto che lo trovo subito, e gli vado vicino. Però lui non mi guarda perché sta guardando in una stanza, e infatti ci entra. Pure io ci voglio entrare, ma arrivano due e mi tengono, capito? Io urlo perché la voglio vedere, e invece non l’ho più vista. Non si muore così, senza neanche salutarmi. Tu sei fortunato che la mamma ce l’hai capito? Vedi di trattarla bene, è?
"Tutto chiede salvezza" è una serie italiana del 2022 distribuita da Netflix, tratta dall’omonimo romanzo di Daniele Mencarelli, finalista al Premio Strega 2020. La storia affronta temi intensi come la salute mentale, l'amicizia e la ricerca di senso in un mondo complesso, mantenendo un equilibrio delicato tra il dramma e momenti di ironia.
La trama ruota attorno a Daniele, un giovane che, dopo una crisi psicotica, viene ricoverato contro la sua volontà in un reparto di psichiatria. Qui è costretto a convivere per una settimana con altri pazienti, ognuno con il proprio carico di dolore e di storie personali segnate da difficoltà psicologiche e relazionali. Questo incontro forzato spinge Daniele a confrontarsi con le sue fragilità e con il peso di ciò che significa vivere in uno stato di sofferenza psichica.
Gli altri pazienti sono personaggi complessi, rappresentati con un’umanità rara: da Mario, l’uomo anziano che rappresenta una figura quasi paterna, a Gianluca, ragazzo sensibile e profondamente ferito, e Giorgio, il più burbero ma paradossalmente anche il più solidale nel suo modo brusco. Il gruppo si trova a condividere la propria intimità e vulnerabilità in uno spazio protetto e isolato, ma inevitabilmente marcato dallo stigma che circonda la malattia mentale. Il percorso di Daniele è una scoperta verso la compassione, la comprensione dell’altro e, in un certo senso, una ricerca di “salvezza” non solo personale ma collettiva.
Uno degli aspetti più interessanti della serie è come la narrazione affronta la questione della sofferenza mentale non come un'etichetta, ma come una parte dell’esperienza umana: un percorso nel quale ogni personaggio, compreso Daniele, cerca di capire se stesso e il proprio posto nel mondo.
Questo monologo di Giorgio mostra come, attraverso una narrazione semplice e sincera, il personaggio riesca a comunicare un dolore profondo. Giorgio, che ha un disturbo di Down, racconta un episodio traumatico della sua infanzia, segnato dalla perdita improvvisa della madre e dall’impotenza nel riuscire a dirle addio.
In poche parole, Giorgio evoca il suo ricordo con un linguaggio diretto e privo di sovrastrutture, quasi ingenuo, ma potentemente evocativo. L’accento romano e le espressioni colloquiali — come “ao”, “ci andiamo, è?”, “la voglio vedere” — rendono il racconto incredibilmente umano. Questo accento è un modo per esprimere il suo carattere genuino, autentico, che non si nasconde dietro artifici, proprio perché Giorgio è esattamente come appare: puro, diretto, trasparente.
Il racconto dell’infermiere che tenta di distrarlo chiedendogli "che squadra porti?" è uno spaccato di come spesso il mondo cerchi di minimizzare il dolore delle persone considerate “deboli” o vulnerabili. Giorgio non ha interesse per quella domanda superficiale, perché tutto il suo essere è concentrato nel bisogno di vedere sua madre, di trovare un senso a quella sparizione improvvisa. La narrazione di Giorgio tocca una corda profonda perché rivela la solitudine e l’abbandono che ha vissuto in quel momento, oltre alla frustrazione nel non essere riuscito a salutare sua madre per l’ultima volta.
Il monologo si conclude con una riflessione sincera e struggente: “Tu sei fortunato che la mamma ce l’hai, capito? Vedi di trattarla bene, è?”. Qui Giorgio racconta il suo dolore, ma dà un insegnamento a Daniele, spingendolo a riflettere su quanto sia preziosa la presenza di una madre, e sul rispetto e l’amore che meritano le persone a cui vogliamo bene.
Il monologo di Giorgio è una lezione di umanità che parla di perdita, amore e gratitudine, con un’innocenza disarmante che arriva direttamente allo spettatore. Per dare vita a questo personaggio, l’attore deve trasmettere un dolore trattenuto, ma sempre presente, e fare in modo che le parole semplici di Giorgio diventino un invito sincero a non dare per scontato chi amiamo.
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