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~ LA REDAZIONE DI RC
Un messaggio finale, una voce nella pillola avvelenata, che arriva a Ethan quando tutto è (quasi) finito, in “Mission Impossible: the final reckoning”. Luther non c'è più, ma la sua presenza è più viva che mai. E questa sua “ultima parola” è un testamento spirituale tanto per Ethan quanto per noi spettatori: è la chiusura del cerchio, ma anche una nuova partenza. Alla fine di un film pieno di esplosioni, corse contro il tempo, sottomarini, bunker, tradimenti e salti impossibili, quello che resta è una voce sola, che parla da un congegno piccolo quanto una pillola.
MINUTAGGIO: 2:32:00-2:36:00
RUOLO: Luther
ATTORE: Ving Rhames
DOVE: Al cinema!
ITALIANO
Ciao, fratello. Se stai ascoltando la mia voce, il mondo è ancora qui. E anche tu. Per la cronaca, non ne ho mai dubitato un secondo. Sapevo che avresti trovato il modo, come fai sempre. Spero che col tempo tu veda questa vita non come un capriccio della sorte, ma come la tua vocazione, il tuo destino. Un destino che tocca ogni essere vivente. Che piaccia o no, siamo padroni del nostro destino. Niente è scritto. E la nostra causa, per quanto giusta, impallidisce in confronto all’impatto delle nostre azioni. Ogni speranza per un futuro migliore, deriva dalla volontà di creare quel futuro. Un futuro che rifletta la misura del bene dentro di noi. E tutto quello che c’è di buono in noi, si misura tra quel che di buono facciamo per gli altri. Condividiamo tutti la stessa sorte, lo stesso futuro. La somma delle nostre infinite decisioni. Un futuro così si basa sulla gentilezza, la fiducia e la comprensione reciproca. Se decideremo di accettarle, guidando senza esitazione, verso una luce che non possiamo vedere, non solo per chi ci sta a cuore, ma per chi non conosceremo mai. Spero tu sappia che ti amerò sempre, fratello, e che ci rivedremo. Non troppo presto, però. Il mondo ha ancora bisogno di te. Loro non lo sanno, ma noi si. Noi che viviamo e moriamo nell’ombra. Questo messaggio si autodistruggerà entro cinque secondi. Buona fortuna, Ethan.
La trama di Mission: Impossible – The final Reckoning si configura come la vera conclusione di un'epopea che ha portato l'IMF e il suo leader, Ethan Hunt, a confrontarsi con un nemico completamente diverso da qualsiasi altro affrontato finora: l'Entità, un'intelligenza artificiale ribelle, in grado di manipolare la realtà digitale e, di riflesso, anche quella politica e militare. Il vero nodo tematico del film non è più un'arma o un nemico in carne e ossa, ma un'entità algoritmica capace di anticipare le mosse dei suoi avversari, di contaminare i sistemi, e di ridurre gli esseri umani a pedine in uno scacchiere senza regole. L’IMF si ritrova a combattere qualcosa che non può interrogare, corrompere o manipolare: un’intelligenza che calcola probabilità e agisce per proteggere sé stessa, come una divinità difensiva digitale.
In un mondo in cui le informazioni sono la valuta dominante, l’Entità rappresenta il controllo totale, il Leviatano 2.0. A livello narrativo, tutto ruota attorno alla chiave cruciforme, una reliquia tecnologica in grado di aprire l’accesso al codice sorgente dell’Entità. Questo codice si trova nel relitto del Sevastopol, un sottomarino russo affondato misteriosamente. Solo chi conosce le coordinate può arrivarci — ed è qui che entra in gioco Gabriel, una sorta di “profeta dannato” dell’Entità, ora esiliato e motivato dalla sete di controllo. L'idea di una "pillola avvelenata", un congegno progettato da Luther per infettare l’Entità, è un cavallo di Troia digitale. L’obiettivo non è distruggere l’Entità con la forza, ma ingannarla, attirarla dentro un drive ottico fisico e staccarla dalla rete. Il tutto in un margine di 100 millesimi di secondo. Cioè: precisione chirurgica, non muscoli. È questa la missione impossibile.
Grace, l’ex ladra diventata agente IMF, assume un ruolo centrale nella fase finale della missione, diventando il volto dell’evoluzione dell’IMF: da gruppo di specialisti d’élite a famiglia improvvisata di talenti e redenti. Paris e Degas completano questa idea. Anche loro erano, inizialmente, avversari o outsider, e ora sono parte della squadra.
Il climax, con il team nel caveau sudafricano di Kongo Yowa, è costruito con una tensione da thriller puro. Mentre il tempo scorre e Gabriel si avvicina alla vittoria, ogni personaggio è messo davanti alla propria missione personale.
"Se stai ascoltando la mia voce, il mondo è ancora qui. E anche tu. Per la cronaca, non ne ho mai dubitato un secondo." Luther apre con una nota di certezza, ma non è solo una frase di conforto. È una dichiarazione di fiducia assoluta nell’uomo Ethan, non nell’agente IMF. "Spero che col tempo tu veda questa vita non come un capriccio della sorte, ma come la tua vocazione." Questa è una frase-chiave: Luther non sta parlando solo del “lavoro” che Ethan ha scelto, ma della sua natura, della sua impossibilità a restare fermo, del suo bisogno continuo di lottare per gli altri.
E non c’è retorica religiosa: il destino è nelle mani di chi agisce, non di qualche entità superiore.
"Ogni speranza per un futuro migliore, deriva dalla volontà di creare quel futuro."
"Tutto quello che c’è di buono in noi, si misura tra quel che di buono facciamo per gli altri." Luther qui spoglia l’IMF di ogni aura di spionaggio o spettacolo: non è un’organizzazione segreta che salva il mondo per contratto. È una scelta morale continua, basata sul gesto disinteressato, sulla responsabilità verso chi non può difendersi da solo. L’intera saga di Mission: Impossible è sempre stata in bilico tra thriller e umanità, ma qui si definisce finalmente: Non importa chi salvi, ma il motivo per cui scegli di provarci.
"Condividiamo tutti la stessa sorte, lo stesso futuro. La somma delle nostre infinite decisioni." "Non solo per chi ci sta a cuore, ma per chi non conosceremo mai."
Questo è il cuore pulsante della missione impossibile. Ethan e gli altri non combattono per onorificenze, non per i riconoscimenti. Combattono per chi non saprà mai cosa hanno fatto. Luther lo dice con una calma quasi meditativa. È come se stesse affidando a Ethan il peso (e l’onore) di portare avanti questa filosofia. "Noi che viviamo e moriamo nell’ombra." Qui l’ombra non è un luogo oscuro, ma un rifugio di significato. È lo spazio dove si agisce in silenzio, si protegge senza visibilità. È quasi una dichiarazione monastica, da ordine cavalleresco moderno.
Questo monologo è il manifesto di tutta l’identità morale di Ethan Hunt, e forse della saga stessa. Dopo sette film, una squadra, mille maschere e decine di esplosioni, quello che resta non è l’azione, ma il senso profondo dell’azione. Luther, con poche parole e nessuna esaltazione, ci dice che la missione impossibile non è mai stata salvare il mondo, ma scegliere ogni giorno di provarci comunque.
"Spero tu sappia che ti amerò sempre, fratello, e che ci rivedremo. Non troppo presto, però. Il mondo ha ancora bisogno di te."
Una chiusura piena d’amore, ma priva di enfasi. Un saluto affettuoso e adulto, che accetta la separazione, ma tiene viva la speranza.
Il messaggio si autodistrugge. Ma noi no: noi restiamo.
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