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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo finale di Miss Shepherd in "The Lady in the Van" è un momento di estrema profondità emotiva e significato. In questa sequenza, il suo passato e il suo presente si intrecciano in una confessione che rivela ferite mai rimarginate e la lotta interiore di una donna che ha vissuto una vita dominata dalla repressione, dal rimpianto e da un profondo senso di perdita.
MINUTAGGIO: 1:25:00-1:29:34
RUOLO: Miss Shepherd
ATTRICE: Maggie Smith
DOVE: Netflix
INGLESE
I wasn't stopping there. A woman said my face rang a bell. Was I ever in Banstead? And she would not stop. They gave me some mince and she said, "You'll find the mince here a step up from the mince in Banstead." I don't know about the... The mince in Banstead, or anywhere else, for that matter. That's just where they put people when they're not right. Well, you look nice and clean. Yeah, well, that'll be the bath. They let me do it myself. The nurse came and gave me some finishing touches. She said I'd come up a treat. I bought you these. Flowers? What do I want with flowers? They... They only die. I've got enough on my plate without flowers. Why, you won't often have been given flowers. Who says'? I've had bigger flowers than these. And with ribbons on. These don't compare. Music. How are people supposed to avoid it? You see, I had it at my fingertips. I had it in my bones. I could play in the dark. Had to sometimes. And the keys were like rooms. C major and D minor. Dark rooms and light rooms. Just like a mansion to me, music. Only it worried me, that playing came easier than praying. And I... I said this, which may have been an error. Said it to whom? My confessor. He said that was another vent the devil could creep through. So, he outlawed the piano. Put paid to music generally. Said dividends would accrue in terms of growth of the spirit. Which they did. They did.
ITALIANO
Non sono rimasta a dormire lì. Una donna mi ha detto se avevo un’aria familiare. Mi ha chiesto se sono mai stata a Banstead. Mi hanno dato un pò di carne macinata e mi ha detto: "la carne macinata che fanno qui è meglio di quella di Banstead". Ma io non so nulla della carne macinata di Banstead. Né di nessun altro posto, se è per questo. So solo che è dove portano le persone quando stanno male… Sto meglio? Merito del bagno. Me l’hanno fatto fare da sola. L’infermiera è venuta alla fine, per gli ultimi ritocchi. E alla fine ha detto che era uno schianto. Dei fiori? Che dovrei farci con questi fiori? Muoiono e basta. Ho già abbastanza da fare senza bisogno dei suoi fiori. Io ho… ho ricevuto anche mazzi più grandi di quello. Avevano dei bei nastri intorno. Uh, nemmeno paragonabili ai suoi. Ah, la musica… Come… come fanno le persone a farne a meno, dico io? Sai, io… avevo il dono del talento. Avevo il dono nelle mie mani. Mhm… Anche al buio riuscivo a suonare. Sono stata costretta, a volte. E le chiavi musicali… Erano come delle stanze. Ah, il Do Maggiore, il Re Minore, stanze buie. E stanze piene di luce. La musica per me era… come un sontuoso palazzo. Solo che ero preoccupata perché suonare… mi veniva più facile che pregare. E io… io glielo dissi, ma è stato un vero errore. Al mio confessore, lui mi disse che era una crepa attraverso cui il diavolo si sarebbe insinuato. E così mi proibì di suojnare il piano. Mise fine alla musica in generale. Disse… che ci avrei guadagnato in termini di… di crescita spirituale. Ecco. E così fu. Davvero
"The Lady in the Van" è un film del 2015 diretto da Nicholas Hytner, basato sull’omonima opera teatrale e sul libro autobiografico di Alan Bennett, uno degli autori britannici più stimati. Il film si muove tra il dramma e la commedia, raccontando una storia vera che oscilla tra il surreale e il profondamente umano. La vicenda si svolge a Camden Town, un quartiere di Londra negli anni '70. Al centro della storia c’è Miss Shepherd, un’anziana signora eccentrica e apparentemente indigente che vive in un furgone malconcio. Dopo essersi trasferita in vari punti del quartiere con il suo veicolo, finisce per parcheggiare "temporaneamente" nel vialetto di casa dello scrittore Alan Bennett.
Quel "temporaneamente", però, si trasforma in un soggiorno lungo ben 15 anni. Miss Shepherd è un personaggio enigmatico: è scontrosa, misteriosa, e spesso profondamente irritante, ma anche vulnerabile. Man mano che la storia si sviluppa, Bennett inizia a scoprire dettagli sul passato della donna, rivelando che un tempo era stata una promettente pianista e che la sua vita ha preso una piega tragica dopo una serie di eventi traumatici, tra cui un incidente stradale in cui è coinvolta e che ha lasciato un peso psicologico su di lei.
Parallelamente, il film esplora la figura di Bennett stesso, interpretato in maniera brillante da Alex Jennings. La narrazione adotta un approccio meta-teatrale, con Bennett che si divide in due versioni di sé: lo scrittore e l’uomo comune. Questo sdoppiamento rappresenta il conflitto interno tra il desiderio di raccontare la storia di Miss Shepherd per scopi artistici e il senso di colpa o responsabilità che prova nei suoi confronti.
Col passare degli anni, tra Miss Shepherd e Bennett si sviluppa una relazione ambivalente: una sorta di strana amicizia in cui la coabitazione forzata porta Bennett a riflettere anche su sé stesso, la solitudine e il senso di umanità.
Il monologo inizia con un racconto frammentato e disorientante, in linea con il carattere di Miss Shepherd, che spesso sembra incapace di concentrarsi su un unico pensiero. Racconta di un incontro casuale e del gesto generoso di una donna che le offre carne macinata, ma le sue parole sono impregnate di sarcasmo e rassegnazione. La frase "Sto meglio? Merito del bagno" suggerisce un raro momento di dignità per una donna che ha vissuto ai margini della società.
La sua riluttanza verso i fiori ("Che dovrei farci con questi fiori? Muoiono e basta") evidenzia un'apatia e un cinismo che riflettono il peso delle sue esperienze. Questo inizio introduce uno stato mentale che oscilla tra la lucidità e il rifiuto emotivo. Nella seconda parte del monologo, Miss Shepherd torna a parlare della musica, rivelando quanto fosse centrale nella sua vita prima che le fosse sottratta. "Io… avevo il dono del talento. Avevo il dono nelle mie mani". La musica, per lei, non era solo un'abilità, ma una forma di vita, un mondo parallelo che descrive come un "sontuoso palazzo" con stanze luminose e buie. La metafora delle tonalità musicali ("Il Do Maggiore, il Re Minore, stanze buie. E stanze piene di luce") rappresenta non solo l'arte musicale, ma anche le sue esperienze di vita: momenti di speranza e disperazione, oppressione e libertà.
Questo rapporto profondo con la musica viene brutalmente interrotto dal confessore, che interpreta il suo talento come una "crepa attraverso cui il diavolo si sarebbe insinuato". Questa visione repressiva della religione è devastante per Miss Shepherd: la musica, che per lei rappresentava connessione e spiritualità, viene etichettata come un peccato, un ostacolo alla "crescita spirituale". Questo evento non è solo un momento di perdita personale, ma un simbolo della forza distruttiva di un'autorità che, invece di incoraggiare, schiaccia l'individualità e il talento. La potenza di questo monologo risiede non solo nel testo, ma anche nell'interpretazione di Maggie Smith. La sua voce trabocca di rimpianto quando parla del talento che una volta aveva e della gioia che la musica le dava. Ma c'è anche un velato senso di rabbia e resistenza: nonostante tutto, il suo dono non è mai stato dimenticato.
Le pause strategiche e i cambi di tono rendono le sue parole ancora più cariche di significato. Questo monologo sottolinea la tematica principale del film: la perdita di sé stessi di fronte alle aspettative e alle imposizioni altrui. La proibizione di suonare il pianoforte è stata un punto di svolta nella vita di Miss Shepherd, che ha smesso di essere una persona libera per diventare un’anima in esilio, sia fisico che emotivo. Le sue parole riflettono un'interiorità spezzata: da un lato, la consapevolezza del talento perduto, dall’altro, la rassegnazione a una vita che non ha mai potuto essere pienamente sua.
Il monologo finale di Miss Shepherd è una sorta di epitaffio spirituale, un ultimo sguardo sul passato di una donna che è stata costretta a rinunciare al dono che la definiva. La musica, simbolo di libertà e auto-espressione, è stata sacrificata in nome di un’interpretazione repressiva della religione, lasciando Miss Shepherd intrappolata in una vita di rimpianti. Maggie Smith offre una performance che non si limita a evocare emozioni: ci fa sentire il peso delle scelte sbagliate, delle imposizioni e delle occasioni perse.
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