Monologo - Mara Venier in \"Diamanti\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Silvana, interpretata da Mara Venier, è uno dei momenti più intensi e personali di Diamanti. Silvana, l’ex ballerina che ora lavora come cuoca nella sartoria delle sorelle Canova, è una figura che bilancia ironia e saggezza, portando nel film un’umanità calda e vissuta. In questa scena, però, la sua maschera di ironia si abbassa e lascia spazio a una confessione sincera, che rivela il suo passato fatto di sogni infranti e delusioni personali.

Rivolgendosi a Paolina, una giovane madre single in difficoltà economiche, Silvana usa la sua esperienza di vita per trasmetterle una lezione di forza e resilienza. Questo monologo è una riflessione su cosa significhi essere una donna sola e in difficoltà, ma anche un inno alla capacità di rialzarsi, reinventarsi e andare avanti nonostante tutto. Con il suo linguaggio diretto e colloquiale, Silvana diventa una sorta di mentore per Paolina, offrendo un modello di sopravvivenza che nasce dall’accettazione della realtà e dalla capacità di reagire.

Ero giovane anche io

MINUTAGGIO: 27:09-28:50

RUOLO: Silvana
ATTRICE:
Mara Venier
DOVE:
Al cinema



ITALIANO


Quando io ero giovane e bella… Si, facevo la ballerina del varietà. E mi piaceva pure e mi divertivo pure. E mica stavo qua a fare il sugo per ste quattro sciamannate. Perché purtroppo il tempo passa, invecchi… non ti vuole più nessuno, e sono stata lasciata da questo mio… fidanzato, moroso industriale, mi ha mollato improvvisamente. E’ andata così Paolina. Altro che togliere la tera sotto i piedi. A me i piedi me li hanno proprio tagliati. La verità è che bisogna reagire, non bisogna abbozzare. Quando sei una donna sola, quando sei senza soldi, quando non hai più speranze, bisogna reagire. E tu devi fare così, Paolina, ascoltami.

Diamanti

Diamanti” di Ferzan Özpetek (2024) è un film che, nella sua stessa struttura, gioca con i confini tra finzione e realtà, tra creazione artistica e vissuto personale. È una celebrazione del cinema, del teatro, e soprattutto delle donne che, con le loro forze, fragilità e intrecci di vita, tessono non solo abiti, ma anche storie, emozioni e legami.

Il film alterna due linee temporali. Da una parte, il presente: Ferzan Özpetek, in una sorta di meta-cinema, convoca attrici e attori, vecchi e nuovi collaboratori, per lavorare su un copione che diventa esso stesso protagonista della storia.


Dall’altra parte, il cuore del film: Roma, 1974. Qui Özpetek ricrea un microcosmo femminile attorno alla sartoria delle sorelle Canova, un luogo che è al tempo stesso spazio di lavoro e rifugio, dove le protagoniste cercano di conciliare il peso delle proprie esistenze con la ricerca di una bellezza capace di lasciare il segno. La sartoria è il palcoscenico su cui si intrecciano i drammi individuali e collettivi: dalla violenza domestica al peso del passato, dalle difficoltà economiche all’alcolismo, tutto è permeato dalla lotta per affermare sé stesse in un mondo che sembra spesso pronto a schiacciarle.


Come spesso accade nei film di Özpetek, il fulcro della narrazione è la coralità. Le sarte e le loro vite formano un mosaico in cui ogni tassello racconta una storia, e nel loro insieme creano un ritratto vibrante della condizione femminile. Ogni personaggio è scritto con cura, evitando cliché, ma esaltando la complessità e la tridimensionalità di queste donne.


Alberta e Gabriella Canova, le sorelle alla guida della sartoria, incarnano due volti opposti del dolore e della resilienza. Alberta, autoritaria e severa, porta su di sé il peso di una vita che le ha negato l’amore, ma che le ha insegnato a resistere; Gabriella, fragile e tormentata, è l’ombra di sé stessa, prigioniera del lutto per la perdita della figlia.


Nina, la capo sarta, è il simbolo della dedizione materna: suo figlio, che vive chiuso nella sua stanza, rappresenta un peso emotivo che lei riesce a trasformare in una forza creativa. La sua storia, come quella di Eleonora e di Beatrice, mescola il privato con il politico, legando il personale agli anni di piombo e all’Italia turbolenta degli anni ’70.


Nicoletta, vittima della violenza del marito, e Paolina, madre single in difficoltà, sono il ritratto delle donne che lottano contro le ingiustizie quotidiane.


Bianca Vega, la costumista premio Oscar, rappresenta invece il lato pubblico e celebrato del mondo del cinema, ma è anch’essa piena di insicurezze, dimostrando come il successo non sempre coincida con la serenità interiore.


L’atelier delle sorelle Canova è una metafora: un laboratorio creativo in cui ogni filo cucito diventa un frammento di storia, in cui i costumi non sono solo vestiti, ma veri e propri personaggi. L’atto del cucire diventa un gesto simbolico: le donne ricuciono le loro vite, rattoppano ferite, trovano un modo per superare le difficoltà.

Analisi Monologo

"Quando io ero giovane e bella… Sì, facevo la ballerina del varietà." Silvana introduce il monologo con un ricordo del suo passato glorioso, dipingendosi come una giovane piena di vita e di ambizioni. Il suo tono, però,è leggermente ironico: la consapevolezza di ciò che ha perso è mitigata dall’accettazione. Il varietà, con il suo mondo di spettacoli e luci, rappresenta un momento di spensieratezza e realizzazione personale, un sogno che però il tempo ha inevitabilmente spezzato.


"E mica stavo qua a fare il sugo per ste quattro sciamannate." Questa battuta sarcastica è tipica del personaggio di Silvana: dietro al tono tagliente si cela la malinconia per ciò che la vita le ha tolto. Il confronto tra la Silvana ballerina e la Silvana cuoca è impietoso, ma il modo in cui lo esprime evita il melodramma. Definire le donne della sartoria “quattro sciamannate" è una battuta che smorza la tensione, ma non nasconde la sua frustrazione.


"Perché purtroppo il tempo passa, invecchi… non ti vuole più nessuno." Silvana affronta uno dei temi centrali del film: il passare del tempo e il ruolo della donna in un mondo che spesso la giudica solo per la sua bellezza o utilità. Il suo tono è disilluso, ma onesto. L’invecchiamento è descritto come una sorta di condanna che la società impone, relegando le donne mature ai margini. Questa frase fa emergere il senso di invisibilità e rifiuto che molte donne provano quando non rispondono più agli standard imposti dagli altri. "E sono stata lasciata da questo mio… fidanzato, moroso industriale, mi ha mollato improvvisamente." Qui Silvana svela una ferita personale: l’abbandono da parte del fidanzato. Il riferimento all’“industriale” suggerisce che si trattasse di un uomo potente e facoltoso, qualcuno che incarnava una promessa di stabilità e futuro. L’improvviso abbandono diventa un simbolo di tutte le certezze che le sono state tolte, lasciandola sola ad affrontare la realtà.


"A me i piedi me li hanno proprio tagliati." Questa frase viscerale è il culmine della sua confessione. Non si tratta solo di un’immagine di sofferenza, ma anche di una perdita di equilibrio, di movimento, di autonomia. Per una ballerina, i piedi sono il centro della propria arte e identità. Dire che le sono stati “tagliati” è un modo per dire che la sua vita è stata spezzata, che le è stato tolto ciò che la definiva. "La verità è che bisogna reagire, non bisogna abbozzare." Con questa frase, Silvana passa dalla confessione personale all’insegnamento. "Non bisogna abbozzare" è un’espressione colloquiale che significa "non bisogna arrendersi". È un invito diretto a Paolina (e, indirettamente, a tutte le donne in difficoltà): non lasciarsi schiacciare dalle circostanze, ma trovare il modo di rialzarsi. La sua esperienza personale diventa un esempio pratico di resilienza, un incoraggiamento che non fa leva sulla compassione, ma sulla forza.


"Quando sei una donna sola, quando sei senza soldi, quando non hai più speranze, bisogna reagire." Qui Silvana distilla la sua filosofia di vita, costruita sulla sopravvivenza in un mondo che non offre seconde possibilità facilmente. L’elenco ("sola", "senza soldi", "senza speranze") descrive uno stato di vulnerabilità estrema, ma il suo tono non è vittimistico. Al contrario, enfatizza la necessità di non abbandonarsi al dolore o alla disperazione. "E tu devi fare così, Paolina, ascoltami." L’appello diretto a Paolina dà al monologo un senso di urgenza e concretezza. Silvana non sta solo raccontando la sua storia: sta cercando di trasmettere un insegnamento, di offrire a Paolina la forza che lei stessa ha trovato per affrontare la vita. La sua esperienza diventa un messaggio di speranza, ma anche un monito a non lasciarsi schiacciare dalle difficoltà.

Conclusione

Il monologo di Silvana è una dichiarazione di resilienza, un invito a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. Mara Venier dona al personaggio una profondità emotiva che bilancia ironia e vulnerabilità, rendendo Silvana una figura memorabile e autentica. La sua storia personale – il passato glorioso da ballerina, l’abbandono del fidanzato, la disillusione della vecchiaia – è universale nella sua specificità: parla di tutte le donne che hanno dovuto reinventarsi dopo che la vita ha stravolto i loro piani.

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