Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Marco è un uomo che ha costruito il suo modo di stare al mondo sull’idea che tutto sia spiegabile. È un fisico, quindi abituato a pensare in termini di leggi, probabilità, formule. Nel film, rappresenta quel polo opposto rispetto ad Anna, che vive invece di intuizioni, di slanci, di disordine creativo.
Questo monologo da “Supereroi” è il punto in cui la sua impalcatura razionale crolla. Quando scopre che Anna ha un tumore, si apre una frattura insanabile tra ciò che sa e ciò che prova. E allora, per la prima volta, usa le sue stesse parole scientifiche per smontarle. Il linguaggio della fisica diventa un’arma che si ritorce contro di lui.
MINUTAGGIO: 1:33:30- 1:35:06
RUOLO: Marco
ATTORE: Alessandro Borghi
DOVE: Netflix
ITALIANO
Abbiamo già parlato di realtà fisica, determinata da un insieme di fenomeni dati tra cui l’inversione temporale, non può in nessun modo avere un corso diverso da quello che ha. Non è vero un cazzo. Non è vero che tutto è determinato. Come è vero che tutto può essere previsto. Perché è impossibile conoscere tutte le condizioni di un processo. E quindi le cose a volte avvengono così, senza una spiegazione. Nulla è certo, e anche l’evento che ha la più bassa, bassissima probabilità di presentarsi, potrebbe accadere. Anche tutto quello che vi ho detto sul tempo: non è vero niente. Perché il tempo esiste. Eccome se esiste. E’ che ce ne accorgiamo quando viene a mancare. Quindi abbiatene cura. Abbiatene cura.
"Supereroi" non è un film che racconta solo una storia d'amore. È una riflessione su quanto sia difficile che quella storia duri. Sul tempo che logora, mette alla prova, scava, ma che, se resistito, può diventare la vera misura di un legame. Paolo Genovese prende due personaggi apparentemente agli antipodi e li butta nella mischia dell'esistenza: Anna e Marco. Lei, disegnatrice di fumetti, impulsiva, emotiva, caotica. Lui, professore di fisica, razionale, quasi distaccato, affezionato all’idea che tutto abbia una spiegazione logica. Ed è proprio da questa antitesi che parte il racconto. La scena d’apertura – Milano, una pioggia improvvisa, due sconosciuti che si riparano sotto lo stesso portico – è un classico innesco romantico. Ma subito dopo, Genovese gioca al contrario. Il film non prosegue in linea retta, non ci racconta "come va a finire", perché il punto non è quello. La narrazione si frantuma volutamente, alternando passato e presente, illudendoci di capire il futuro dei personaggi per poi spiazzarci con un ricordo, un flashback, un dialogo lasciato a metà. E questo meccanismo di montaggio discontinuo non è solo uno stile narrativo: è un riflesso diretto di come ricordiamo le relazioni, con salti emotivi e ritorni confusi.
Jasmine Trinca e Alessandro Borghi prestano i volti (e i corpi, nel senso che invecchiano, ingrassano, si trascurano, si riprendono) a due personaggi che si cercano e si respingono per oltre vent’anni. Il tempo è infatti il vero terzo protagonista della storia. E non si limita a passare: modella i volti, consuma i gesti, cambia la qualità dei silenzi.
Anna disegna supereroi, ma lo fa con la consapevolezza che nella realtà il vero superpotere è la durata. È lì che il titolo del film prende forma: non c’è niente di epico o spettacolare, niente mantelli o nemici da sconfiggere. I veri supereroi sono quelli che non mollano, che restano. Che scelgono di esserci anche quando non è semplice, quando l’amore non basta a spiegare una convivenza, quando le parole non funzionano più. E qui, il film dice qualcosa di profondo: l’amore non è un picco, è una curva lunga, fatta di ricadute e risalite.
Genovese costruisce "Supereroi" come un album fotografico, disseminato tra città diverse – Milano, Marrakech, Copenhagen, Lucca, Ponza – ognuna delle quali sembra rappresentare una fase emotiva. Una fuga, un ritorno, un confronto, una promessa. C’è l’illusione del viaggio, ma è un movimento interno, un andare avanti e indietro tra versioni diverse di sé.
"Abbiamo già parlato di realtà fisica, determinata da un insieme di fenomeni dati tra cui l’inversione temporale, non può in nessun modo avere un corso diverso da quello che ha. Non è vero un cazzo." Il monologo si apre con una negazione violenta, netta, quasi urlata. Marco prende una delle certezze fondanti del suo lavoro – la predittività dei fenomeni fisici – e la demolisce. Non per ragioni teoriche, ma per necessità emotiva. È come se dicesse: “Se quello che sta succedendo ad Anna è possibile, allora tutto quello in cui ho creduto finora non regge più.” "Perché è impossibile conoscere tutte le condizioni di un processo." Qui c’è una citazione implicita al principio di indeterminazione, ma anche un richiamo al limite umano di ogni sistema di conoscenza. Marco prende atto che l’idea di controllo totale è un’illusione. E che il caso, l’inaspettato, possono avere più forza di qualsiasi calcolo.
"Nulla è certo, e anche l’evento che ha la più bassa, bassissima probabilità di presentarsi, potrebbe accadere." Questa frase è centrale: è lì che Marco accetta la fragilità dell’esistenza. Il tumore di Anna è quell’evento improbabile che cambia tutto. Un’increspatura imprevedibile nella linearità della loro vita. Non si tratta più di numeri o grafici: si tratta di perdere ciò che si ama, senza poter fare nulla. "Anche tutto quello che vi ho detto sul tempo: non è vero niente. Perché il tempo esiste. Eccome se esiste. È che ce ne accorgiamo quando viene a mancare." Ed eccoci al cuore del monologo: il tempo come materia viva, come sostanza che si fa sentire solo quando scarseggia. Finché si è dentro il tempo, non lo si percepisce.
È come l’aria. Ma quando comincia a finire, quando si scopre che l’altro potrebbe non esserci più, tutto cambia. Il tempo diventa qualcosa da afferrare con le unghie. "Quindi abbiatene cura. Abbiatene cura." Il monologo si chiude con un’esortazione semplice, quasi sussurrata. Marco non sta più parlando come professore, ma come uomo innamorato, spaventato, consapevole. Un uomo che ha smesso di spiegare e ha iniziato, finalmente, a sentire.
In questo monologo, Marco non cambia idea, cambia pelle. Da razionale che analizza il mondo come un sistema prevedibile, diventa un uomo che ammette la propria impotenza. Ma non è una sconfitta: è un atto d’amore. È la resa davanti all’imprevedibilità dell’esistenza e alla concretezza della perdita.
La fisica gli aveva promesso ordine. La vita, invece, gli impone caos. E lui, finalmente, smette di opporsi e impara a stare dentro quel disordine, con tutta la paura e la lucidità del caso.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.