Monologo Maschile - Bruno Ganz in \"Il cielo sopra Berlino\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Damiel in Il cielo sopra Berlino è uno dei momenti più significativi del film di Wim Wenders. Qui, l’angelo esprime il suo desiderio di abbandonare l’eternità e l’astrazione per sperimentare la fisicità della vita umana. Fino a questo punto, Damiel ha vissuto un’esistenza priva di limiti temporali, osservando l’umanità senza poterne prendere parte. Ma in questi versi, emerge tutta la sua frustrazione: essere puro spirito non gli basta più, vuole sentire il peso dell'esistenza, toccare, assaporare, provare dolore e gioia.

Non vorrei fluttuare più

MINUTAGGIO: -

RUOLO: Damiel
ATTORE:
Bruno Ganz
DOVE:
Amazon Prime Video



INGLESE


It's great to live by the spirit, to testify day by day for eternity, only what's spiritual in people's minds. But sometimes I'm fed up with my spiritual existence. Instead of forever hovering above I'd like to feel a weight grow in me to end the infinity and to tie me to earth. I'd like, at each step, each gust of wind, to be able to say "Now." Now and now" and no longer "forever" and "for eternity." To sit at an empty place at a card table and be greeted, even by a nod. Every time we participated, it was a pretense. Wrestling with one, allowing a hip to be put out in pretense, catching a fish in pretense, in pretense sitting at tables, drinking and eating in pretense. Having lambs roasted and wine served in the tents out there in the desert, only in pretense. No, I don't have to beget a child or plant a tree but it would be rather nice coming home after a long day to feed the cat, like Philip Marlowe, to have a fever and blackended fingers from the newspaper, to be excited not only by the mind but, at last, by a meal, by the line of a neck by an ear. To lie! Through one's teeth. As you're walking, to feel your bones moving along. At last to guess, instead of always knowing. To be able to say "ah" and "oh" and "hey" instead of "yea" and "amen."



ITALIANO


Sì è magnifico vivere di solo spirito, e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l'eternità, soltanto ciò che è spirituale. Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa. E allora non vorrei più fluttuare così, in eterno: vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi questa infinitezza legandomi in qualche modo alla terra, a ogni passo, a ogni colpo di vento. Vorrei poter dire: "ora", "ora", e "ora". E non più "da sempre", "in eterno". Per esempio... non so... sedersi al tavolo da gioco, ed essere salutato... Anche solo con un cenno... Ogni volta che noi abbiamo fatto qualcosa, era solo per finta. Ci siamo lussati l'anca facendo la lotta, di notte, con uno di quelli: sempre per finta. E ancora per finta abbiamo preso un pesce, per finta ci siamo seduti a un tavolo, abbiamo bevuto, mangiato. Per finta ci siamo fatti arrostire l'agnello e abbiamo chiesto il vino: per finta. Sotto le tende, nel deserto: solo per finta. Non che io voglia generare subito un bambino, o piantare un albero. Ma in fondo sarebbe già qualcosa ritornare a casa dopo un lungo giorno, dar da mangiare al gatto come Philip Marlowe, avere la febbre, le dita nere per aver letto il giornale; non entusiasmarsi solo per lo spirito, ma finalmente anche per un pranzo, per la linea di una nuca, per un orecchio; mentire, e spudoratamente; e camminando sentire che le ossa camminano con te; supporre, magari, invece di sapere sempre tutto... "Ah!", "oh!", "ahi!": poterlo dire, finalmente, invece di "sì" e "amen".

Il cielo sopra Berlino

Il cielo sopra Berlino (1987), diretto da Wim Wenders, è un film che mescola poesia, filosofia e realismo, raccontando la storia di due angeli, Damiel (Bruno Ganz) e Cassiel (Otto Sander), che osservano la vita degli esseri umani nella Berlino divisa del secondo dopoguerra. Damiel e Cassiel si muovono tra le strade della città, invisibili agli occhi delle persone. Ascoltano i pensieri della gente, testimoniano la solitudine, le speranze e le paure degli esseri umani, ma non possono intervenire nelle loro vite. Il loro sguardo è quello di osservatori benevoli, creature che registrano l'esistenza senza poterne fare parte.


Damiel, però, inizia a provare un desiderio sempre più forte: vuole sentire il peso del corpo, il calore di un caffè tra le mani, il dolore, la gioia, tutto ciò che rende un uomo realmente vivo. Questo desiderio si intensifica quando si innamora di Marion (Solveig Dommartin), un’artista circense che attraversa un momento di crisi. Spinto dall’amore e dalla voglia di esperienza, Damiel sceglie di rinunciare alla sua natura angelica e di diventare umano. Il passaggio è segnato da un cambiamento visivo: il film, fino a quel momento girato in un suggestivo bianco e nero per rappresentare la prospettiva degli angeli, si colora nel momento in cui Damiel tocca il suolo da uomo.


Da quel punto in poi, il film segue il suo percorso tra stupore e scoperta. Damiel sperimenta la materialità della vita, incontra Marion e inizia a costruire una nuova esistenza. Intanto, Cassiel rimane un angelo, condannato a osservare senza mai partecipare. Un elemento interessante è la presenza di Peter Falk, che interpreta sé stesso e rivela di essere stato, in passato, un angelo caduto. Un dettaglio che aggiunge un senso di continuità a questo ciclo di trasformazioni.

Analisi Monologo

Il monologo è costruito su un contrasto continuo tra l’infinità dell’esistenza angelica e la concretezza della vita umana. Damiel inizia con un’affermazione che sembra quasi una dichiarazione di fedeltà alla sua condizione: “Sì, è magnifico vivere di solo spirito”, ma subito dopo introduce il dubbio: “Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa.” Qui il concetto di peso assume un doppio significato: da un lato, il peso metaforico della noia e dell’incompiutezza, dall’altro, il peso fisico che lui vorrebbe sentire, come un'ancora che lo leghi al mondo.


L’angelo non desidera la grandezza dell’esperienza umana, ma la sua imperfezione. Vuole poter dire "ora" invece di "in eterno", sottolineando come la bellezza della vita risieda proprio nella sua transitorietà. Il tempo, per gli uomini, è un dono e una condanna, ma per Damiel rappresenta una possibilità di sentirsi vivo.


Il passaggio più evocativo è quando elenca le piccole cose che vorrebbe sperimentare: il saluto di uno sconosciuto, il semplice gesto di sedersi a un tavolo da gioco, avere la febbre, sporcarsi le dita con l’inchiostro del giornale. Sono dettagli minuscoli, eppure proprio in essi risiede l’essenza dell’esistenza. La sua frustrazione emerge nell’enfasi con cui ripete "per finta": tutto ciò che ha vissuto finora è stato un'imitazione, una simulazione priva di vera sostanza.


C’è anche un riferimento al cinema noir, con la citazione di Philip Marlowe, il detective dei romanzi di Raymond Chandler, un personaggio cinico e disilluso che incarna l’opposto di Damiel: immerso nel mondo fino al midollo, spesso stanco della vita e del suo stesso ruolo. Questo accostamento aggiunge una sfumatura ironica: l'angelo che sogna la normalità mentre gli uomini, come Marlowe, spesso la rifuggono.

L’ultima parte del monologo è una vera esplosione di desiderio sensoriale: Damiel vuole entusiasmarsi non più solo per lo spirito, ma per un pranzo, per il profilo di una nuca, per la forma di un orecchio. Vuole mentire, sentire il dolore fisico, non sapere tutto in anticipo. Il culmine arriva con le esclamazioni finali: “Ah!”, “Oh!”, “Ahi!”—tre suoni che riassumono tutta la gamma di sensazioni che un corpo umano può provare.

Conclusione

Questo monologo è il cuore del viaggio di Damiel: la sua consapevolezza che esistere senza tempo e senza corpo non è abbastanza. L'idea di un'esistenza fatta solo di contemplazione, che inizialmente sembrava un privilegio, diventa una gabbia dorata. Damiel capisce che l'essenza della vita non è nella conoscenza assoluta, ma nell’incertezza, nei limiti, nelle imperfezioni.

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