Unisciti alla nostra Community Famiglia! Compila il "FORM" in basso, inserendo il tuo nome e la tua mail, ed entra nell'universo di Recitazione Cinematografica. Ti aspettiamo!
Articolo a cura di...
~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo lontani anni luce dalle origin story patinate dei supereroi americani. Qui il passato non è solo una fase da raccontare: è una zavorra, una radice incrostata nella storia di un quartiere – Tor Bella Monaca – e in una generazione di ragazzi bruciati. Questo monologo in “Lo chiamavano Jeeg Robot” Enzo lo pronuncia rivolgendosi ad Alessia. È uno dei pochi momenti in cui parla davvero. Senza difese, senza sarcasmo. Sta raccontando la propria infanzia, ma anche quella collettiva di una gioventù romana lasciata ai margini. E lo fa con uno sguardo dolente ma mai teatrale. È un racconto da marciapiede, fatto di volti, luoghi e amici perduti. Un inventario umano di vite scomparse.
MINUTAGGIO: 1:18:10-1:20:21
RUOLO: Enzo Ceccotti
ATTORE: Claudio Santamaria
DOVE: Netflix
ITALIANO
Con mia madre siamo arrivati all'R 5 nell'83. Praticamente sono cresciuto insieme a For bella Monaca. Allora non c’era quasi nessuno. Mi ricordo le strade con queste scritte luccicanti, sti palazzoni co sti colori accesi. Era tutto pulito, tutto nuovo. Allora ce l’avevo l’amici. Pure la comitiva. Però è finita male, come tutte le cose che te sembrano più belle. Capirai… a tredici anni già se poppavamo la roba. C’era Sabrina, quant’era bella. Lavorava al Kursaal a Ostia. E’ morta in un incidente a San Basilio. Poi c’era il Pialletta. Cazzo quant’era matto scocciato peggio de te, quello. Gli hanno sparato le guardie mentre stava a fa la rapina a’n tabaccaio. Quel giorno faceva 18 anni, i sordi je servivano pe porta la donna a cena fori. Poi Michelino, vent’anni… Dicevano che l’avevano bruciato i fascisti, ma io non c’ho mai creduto. La sera che hanno ammazzato tu padre pensavo che era arrivato er turno mio. Quello doveva esse er mio destino. E’ durato’n secondo. M’hanno sparato e quando so cascato de sotto niente… er buio. Era tutto finito. E invece no. Io non lo so che m’è successo. Però… me sento bene. Me sento bene perché… adesso… ce sei tu. Che te ridi?
"Lo chiamavano Jeeg Robot", diretto da Gabriele Mainetti e uscito nel 2015, è un film italiano che si muove con decisione dentro un genere ancora raro nel nostro cinema: il cinecomic con ambientazione urbana, che però si fonde con il noir, il dramma sociale e un certo senso di grottesco molto romano.
La trama segue Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, un ladruncolo solitario e borderline che vive a Tor Bella Monaca, uno dei quartieri più difficili di Roma. Enzo si muove ai margini della legalità, tra piccoli furti, pornografia consumata in solitudine e una vita totalmente chiusa al contatto umano. Non è un antieroe affascinante: è un disadattato. Tutto cambia quando, durante una fuga dalla polizia, Enzo si tuffa nel Tevere e entra in contatto con dei fusti radioattivi. Da quel momento inizia a manifestare una forza sovrumana e una capacità rigenerativa rapidissima. Ma qui viene il primo punto interessante del film: Enzo non ha nessuna intenzione di “diventare” un eroe. Non è Spider-Man che si mette a fare il bene del prossimo. Enzo vuole solo continuare a sopravvivere, possibilmente sfruttando questi poteri per i suoi scopi personali.
Il film lavora bene proprio in questo: l’origine del supereroe viene declinata secondo logiche di quartiere, fatte di cinismo, individualismo e necessità. Il potere non è visto come una responsabilità, ma come un’occasione. L’altro personaggio chiave è Alessia, interpretata da Ilenia Pastorelli. È una ragazza mentalmente fragile, segnata da un passato di abusi, che ha sviluppato un mondo interiore dove si rifugia: quello dell’anime Jeeg Robot d'acciaio. Per lei Enzo non è un delinquente: è Hiroshi Shiba, il protagonista del cartone, il salvatore. Ed è attraverso lo sguardo di Alessia che Enzo comincia, a poco a poco, a trasformarsi. L’idea che possa essere un eroe agli occhi di qualcuno — non in senso generico, ma nel senso intimo e fragile di chi ha bisogno di credere in qualcosa — inizia a scardinare la sua corazza. Il villain, Fabio Cannizzaro detto Lo Zingaro, interpretato da Luca Marinelli, è un personaggio che sembra uscito da un fumetto ma calato perfettamente nella realtà italiana. Ex cantante pop fallito, cocainomane, narcisista patologico e ossessionato dalla fama. Vuole diventare “qualcuno” e per farlo è disposto a tutto, anche a diventare il cattivo da fumetto che devasta la città.
Lo Zingaro è l’opposto di Enzo. Dove Enzo si nasconde, Lo Zingaro vuole essere visto. Dove Enzo è silenzio, Cannizzaro è spettacolo. E nel confronto tra i due c’è anche uno scontro tra due visioni del potere: quello che si consuma nell’ombra e quello che esplode nel desiderio ossessivo di visibilità.
“Con mia madre siamo arrivati all’R5 nell’83…” Qui Enzo non sta solo dicendo quando è arrivato. Sta costruendo un rapporto con il luogo. "Sono cresciuto con Tor Bella Monaca” è una frase potentissima. Significa che la periferia è diventata un’estensione del suo corpo, del suo carattere. L’uso dei dettagli sensoriali – “le scritte luccicanti”, “sti palazzoni co sti colori accesi” – ci dice che la memoria iniziale è ancora viva, quasi calorosa. All’inizio c’era la possibilità di qualcosa. Una partenza pulita. “A tredici anni già se poppavamo la roba…”.
Da quel punto in poi, l’idillio svanisce. Il racconto diventa cronaca nera, ma senza retorica. I nomi che Enzo cita – Sabrina, il Pialletta, Michelino – non sono messi lì per far scena. Sono volti che riaffiorano da un cimitero personale. Gente che ha condiviso con lui un pezzo di strada e poi è sparita, divorata da un contesto che non lascia scampo.
Qui la struttura del monologo è quasi da necrologio affettivo: ogni nome ha una piccola storia, un dettaglio tragico, e un finale brusco. La dolcezza con cui parla di Sabrina – “quant’era bella” – contrasta con la freddezza dell’incidente. L’amicizia con il Pialletta si chiude con una rapina fallita. Michelino è addirittura un mistero irrisolto. È come se Enzo li custodisse ancora nella testa, ma senza poterli salvare.
“La sera che hanno ammazzato tu padre pensavo che era arrivato er turno mio…” Questa è una frase centrale. Non solo perché lega Enzo alla storia di Alessia, ma perché mostra un punto di identificazione. Non è solo dolore per la perdita: è la consapevolezza che quella fine poteva essere la sua. È come se il destino avesse sbagliato mira. E quando lui viene sparato e cade, ci aspettiamo anche noi che finisca lì. Ma non finisce. “E invece no.” Il tono cambia. È qui che avviene il passaggio. Enzo non sa cosa gli è successo. Non sa perché è sopravvissuto. Ma per la prima volta riconosce che c’è un motivo per cui è ancora in piedi. E quel motivo è Alessia.
“Però… me sento bene. Me sento bene perché… adesso… ce sei tu. Che te ridi?”
Questa chiusa è straordinaria nella sua semplicità. Enzo non fa grandi dichiarazioni. Dice una cosa piccolissima ma enorme: “me sento bene”. Non perché ha i superpoteri, non perché ha sconfitto il nemico, ma perché c’è una persona che gli ha fatto riscoprire il contatto umano. E quel "Che te ridi?” finale è il colpo di grazia. Perché è lo scudo che risale. Enzo ha appena detto qualcosa di vero, e subito si difende. È un riflesso, una contrazione emotiva. Non è pronto per abbassare del tutto la guardia, ma ci ha provato.
Questo monologo è uno dei momenti più intimi e importanti del film. Non solo perché approfondisce il passato di Enzo, ma perché lo umanizza. Fino a qui l’abbiamo visto come un uomo schivo, violento, silenzioso. Qui invece prende parola e rivela cosa c’è sotto la corazza.
Enzo, in quel momento, non è più un supereroe. È un uomo ferito che prova a spiegare perché ha iniziato a cambiare.
Le Migliori Classifiche
di Recitazione Cinematografica
Entra nella nostra Community Famiglia!
Recitazione Cinematografica: Scrivi la Tua Storia, Vivi il Tuo Sogno
Scopri 'Recitazione Cinematografica', il tuo rifugio nel mondo del cinema. Una Community gratuita su WhatsApp di Attori e Maestranze del mondo cinematografico. Un blog di Recitazione Cinematografica, dove attori emergenti e affermati si incontrano, si ispirano e crescono insieme.
Monologhi Cinematografici, Dialoghi, Classifiche, Interviste ad Attori, Registi e Professionisti del mondo del Cinema. I Diari Emotivi degli Attori. I Vostri Self Tape.