Monologo maschile - lo Straniero in \"Il grande Lebowski\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo dello Straniero apre e chiude Il grande Lebowski, incorniciando l’intera vicenda in una narrazione che suona quasi come una leggenda del vecchio West. Lo Straniero, interpretato da Sam Elliott, è una figura a metà tra il narratore onnisciente e il cow-boy fuori dal tempo, con quel suo accento lento e pacato, quella voce profonda e lo sguardo che sembra vedere oltre la pellicola.

Siamo subito in un territorio sospeso: lui parla del Drugo come se fosse un personaggio epico, una figura di cui vale la pena raccontare la storia, ma nel farlo si perde, sbaglia, si contraddice. Proprio come farà il film. E questo è il primo indizio: quello che stiamo per vedere è una storia inaffidabile, che vive di deviazioni, di digressioni, di personaggi che sembrano caricature ma che a poco a poco rivelano un senso più profondo.

Drugo...

MINUTAGGIO:

RUOLO: Lo straniero

ATTORE: Sam Elliott

DOVE: Amazon Prime Video

ITALIANO

Nel lontano Ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey Lebowski. O almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori. Ma lui non se ne serviva più di tanto. Jeffrey Lebowski si faceva chiamare "il drugo". Già, Drugo. Dalle mie parti nessuno si farebbe chiamare così. Del resto con Drugo erano parecchie le cose che non mi quadravano. E lo stesso vale per la città in cui viveva. Però forse era proprio per questo che trovavo tanto interessante quel posto. La chiamavano Los Angeles, la città degli angeli. A me non sembrava che il nome le si addicesse molto, anche se devo ammettere che c'era parecchia gente simpatica. Certo, non ho mai visto Londra. E non sono mai stato in Francia. E non ho neanche mai visto la regina in mutande, come dicono alcuni. Però posso dirvi una cosa: dopo aver visto Los Angeles e vissuto la storia che sto per raccontarvi, beh, penso d'aver visto quanto di più stupefacente si possa vedere in tutti quegli altri posti, e in tutto il mondo. Perciò posso morire con un sorriso, senza la sensazione che il Signore mi abbia fregato. La storia che sto per raccontare è successa nei primi anni '90, nel periodo del conflitto con Saddam e l'Iraq. Lo dico solo perché a volte si incontra un uomo, non dirò un eroe... perché, che cos'è un eroe? Ma a volte si incontra un uomo, e sto parlando di Drugo, a volte si incontra un uomo che è l'uomo giusto al momento giusto nel posto giusto, là dove deve essere. E quello è Drugo, a Los Angeles. E anche se quell'uomo è un pigro, e Drugo lo era di sicuro, forse addirittura il più pigro di tutta la contea di Los Angeles, il che lo mette in competizione per il titolo mondiale dei pigri... Ma a volte si incontra un uomo... a volte si incontra un uomo... Ah! Ho perso il filo del discorso! Bah, al diavolo! È più che sufficiente come presentazione.

Il grande Lebowski

Jeffrey Lebowski – il protagonista – è un uomo che vive a Los Angeles e si fa chiamare semplicemente “Drugo” (o “The Dude” in originale). Vive in una routine apatica fatta di birra, bowling e White Russian. Non lavora, non ha ambizioni, e sembra completamente disinteressato a qualsiasi cosa che assomigli anche lontanamente a una responsabilità. La storia si mette in moto quando due scagnozzi lo aggrediscono a casa sua scambiandolo per un altro Jeffrey Lebowski, un ricco uomo d’affari. Vogliono riscuotere un debito e, per farsi sentire, gli pisciano sul tappeto – un tappeto che, secondo Drugo, “dava un tono all’ambiente”. Da qui nasce la sua unica motivazione narrativa concreta: farsi restituire il tappeto. Spinto da questo torto subito, Drugo decide di andare a conoscere l’altro Lebowski, quello ricco, e chiedergli un risarcimento. Da lì parte una spirale narrativa grottesca: la moglie del Lebowski ricco, Bunny, è scomparsa, e Drugo viene coinvolto in un presunto rapimento. Gli viene offerta una ricompensa per consegnare il riscatto, ma ovviamente le cose si complicano. Il riscatto non arriva mai ai rapitori. E non è nemmeno chiaro se ci sia stato davvero un rapimento.

Il film comincia a intrecciare una serie di situazioni paradossali: un gruppo di nichilisti tedeschi armati di finti pipistrelli, un artista concettuale (Maude Lebowski, la figlia del Lebowski ricco), un porno-regista e un veterano del Vietnam ossessionato dalle regole del bowling (Walter, il miglior amico di Drugo). Sulla carta, “Il grande Lebowski” ha tutti gli elementi del noir classico: un protagonista riluttante, una femme fatale, un mistero, un mondo criminale, e una Los Angeles che fa da sfondo a una vicenda torbida. Ma i Coen prendono tutti questi elementi e li ribaltano. Il protagonista non ha alcuna intenzione di risolvere il caso – spesso non capisce nemmeno di cosa si tratti. La femme fatale è un’artista fredda e pragmatica, interessata alla riproduzione più che alla seduzione. Il mistero si sgonfia da solo, perché il rapimento era una messinscena. Il mondo criminale è ridicolo e surreale.

E Los Angeles diventa una città senza centro, un luogo in cui tutto accade, ma nulla ha davvero un senso. Il punto è proprio questo: la trama esiste, ma sembra quasi messa lì per forza. I personaggi agiscono, si agitano, urlano, complottano, ma tutto è destinato a finire nel nulla. Il Drugo è l’unico che riesce a sopravvivere al caos semplicemente non opponendosi. Non combatte, non si arrabbia davvero, non cerca di capire. Lascia che le cose accadano. È l’antitesi dell’eroe classico. E in questo sta gran parte del fascino del film. Il bowling, che torna continuamente come ambientazione, è un elemento chiave. È l’unico spazio stabile nella vita del Drugo e dei suoi amici. Le regole sono chiare, i turni sono definiti, e c’è sempre un punteggio che ti dice come stai andando. Nella vita reale, invece, le regole sono ambigue, le motivazioni dei personaggi sono opache, e il senso di tutto sfugge continuamente. Forse è per questo che Donny, il più silenzioso e ingenuo del gruppo, muore proprio alla fine: non riesce a reggere il peso del caos.

Analisi Monologo

Conoscevo un tipo…”La struttura è quella del racconto mitico: “Nel lontano Ovest conoscevo un tipo...”. È l’inizio di una ballata, qualcosa che potresti sentir raccontare attorno a un fuoco nel deserto. Il punto però è che non si sta parlando di un cowboy, ma di un tizio che gira in accappatoio e ciabatte, che si lamenta del suo tappeto e beve cocktail da pomeriggio. Questo contrasto è la chiave del film: l’epica nella banalità.

C’era qualcosa che non mi quadrava…”.Lo Straniero si presenta subito come un osservatore esterno, uno che guarda Drugo e Los Angeles con una certa perplessità. Dice che ci sono “parecchie cose che non gli quadrano”, ma invece di giudicarle, le racconta. È un narratore che accetta l’assurdo, che sembra stupito e divertito allo stesso tempo. C’è un’ironia sottile in questa voce: non è lì per dare risposte, ma per stare a vedere.

“Forse era proprio per questo che trovavo tanto interessante quel posto”Qui entriamo nel nucleo della visione dei Coen: l’America come un territorio narrativo strano, incoerente, ma affascinante. Non si tratta di giudicare il caos, ma di osservarlo. Lo Straniero non cerca un senso preciso, ma si lascia stupire dal fatto che una figura come Drugo possa diventare, in un certo modo, “l’uomo giusto al momento giusto nel posto giusto”.

Che cos’è un eroe?” Questa è forse la frase più importante di tutto il monologo. I Coen smontano l’idea classica di eroe e la ricostruiscono in forma assurda: non è un guerriero, non è un vincente, non ha alcuna intenzione di salvare il mondo. Drugo è un uomo comune, stanco, pigro, fuori tempo massimo – e proprio per questo è interessante. La sua forza è nell’inazione. Dove tutti si agitano, lui resta fermo. Non è un eroe nonostante la sua pigrizia: lo è per via di essa.

Ho perso il filo... bah, al diavolo!”  Ecco il colpo finale: il narratore si perde nel suo stesso discorso. E questa non è solo una battuta – è una dichiarazione di poetica. Il film, come la voce che lo racconta, si muove in modo disordinato, inciampa, si distrae. È una struttura narrativa che imita il pensiero umano, non quello cinematografico classico. Ed è qui che Il grande Lebowski si distingue: non vuole risolvere un enigma, ma mostrare quanto sia ridicolo voler mettere ordine in qualcosa che non si fa ordinare.

Conclusione

Questo monologo non è solo un’introduzione: è un manifesto. I fratelli Coen usano la voce dello Straniero per preparare lo spettatore a un’esperienza che non rispetterà le regole del genere, che giocherà con le aspettative e con la struttura narrativa stessa. Drugo, come figura centrale, è un anti-eroe che diventa paradossalmente l’uomo perfetto per un mondo sbagliato, proprio perché non tenta mai di cambiarlo.

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