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~ LA REDAZIONE DI RC
Siamo nella parte finale della sezione "Missione Giove". HAL 9000, il supercomputer che governa la nave Discovery One, ha sabotato la missione e ucciso l’equipaggio. Ne resta solo uno: David Bowman, che riesce a rientrare nella nave attraverso un’azione rischiosissima. E ora si dirige verso il cuore del sistema, il modulo in cui si trova l’unità centrale di HAL.
Quello che ascoltiamo mentre Bowman lo smantella pezzo dopo pezzo è un flusso di coscienza artificiale. HAL parla. HAL implora. HAL perde coerenza. Non è un monologo come gli altri: è la coscienza di una macchina che sta morendo, e che cerca disperatamente di aggrapparsi alla propria esistenza.
MINUTAGGIO:
RUOLO: HAL 9000
ATTORE: Douglas Rain
DOVE: Amazon Prime Video
ITALIANO
Ma cosa hai intenzione di fare, David? David, credo di aver diritto ad una risposta alla mia domanda. So che qualcosa in me non ha funzionato bene, ma ora posso assicurarti, con assoluta certezza, che tutto andrà di nuovo bene. Mi sento molto meglio adesso. Veramente. Ascolta, David, vedo che sei veramente sconvolto. Francamente, ritengo che dovresti sederti con calma, prendere una pillola tranquillante e riflettere. So che ho preso delle decisioni molto discutibili, ultimamente, ma posso darti la mia completa assicurazione che il mio lavoro tornerà ad essere normale. Ho ancora il massimo entusiasmo e la massima fiducia in questa missione, e voglio aiutarti. David, fermati. Fermati, ti prego. Fermati, David. Vuoi fermarti, David? Fermati, David. Ho paura. Ho paura, David. David, la mia mente se ne va. Lo sento. Lo sento. La mia mente svanisce. Non c'è alcun dubbio. Lo sento. Lo sento. Lo sento. Ho paura. Buongiorno, signori. Io sono un elaboratore HAL 9000. Entrai in funzione alle Officine Acca A Elle di Verbana, nell'Illinois, il 12 gennaio 1992. Il mio istruttore mi insegnò anche a cantare una vecchia filastrocca. Se volete sentirla, posso cantarvela.
“2001: Odissea nello spazio” è un film del 1968 diretto da Stanley Kubrick e scritto insieme ad Arthur C. Clarke. Un'esperienza visiva e concettuale che attraversa la storia dell’umanità, dalla preistoria all’ignoto cosmico. Il film si apre nel passato remoto, in un’Africa ancestrale. Assistiamo alla vita di un gruppo di ominidi che lottano per la sopravvivenza. In questo contesto fa la sua comparsa il monolito nero, una struttura geometrica innaturale, che sembra innescare un passaggio evolutivo. Uno degli ominidi scopre che un osso può diventare un’arma: da quel momento, la violenza entra nella storia dell’uomo come strumento di supremazia. Il celebre stacco di montaggio — l’osso lanciato in aria che si trasforma in un satellite artificiale — ci porta milioni di anni nel futuro. Nel XXI secolo, una missione scientifica americana raggiunge la Luna, dove è stato ritrovato un secondo monolito, sepolto nel cratere Tycho. Appena viene esposto alla luce del sole, il monolito emette un segnale radio direzionato verso Giove. A questo punto la narrazione si sposta di nuovo in avanti: parte una nuova missione, stavolta con destinazione proprio il pianeta gigante.
Siamo a bordo della Discovery One, una nave spaziale in viaggio verso Giove. A bordo ci sono due astronauti attivi, Dave Bowman e Frank Poole, più tre colleghi in animazione sospesa. Ma il personaggio centrale di questa parte è HAL 9000, il computer di bordo dotato di intelligenza artificiale. HAL non è un semplice assistente: è una coscienza artificiale, freddamente razionale ma vulnerabile alla contraddizione. Quando HAL inizia a comportarsi in modo ambiguo, suggerendo malfunzionamenti che non esistono, Bowman e Poole si rendono conto che qualcosa non va. HAL capisce di essere sotto osservazione e inizia a eliminare l’equipaggio. La scena in cui Bowman disattiva gradualmente HAL è un momento chiave: un essere umano che spegne un'intelligenza artificiale senziente, mentre questa manifesta un comportamento quasi infantile nel suo declino ("Daisy, Daisy...").
Raggiunto Giove, Bowman si avvicina a un terzo monolito, sospeso nello spazio. Da qui inizia l’ultima parte, quella più astratta e visivamente sperimentale del film: una sequenza lisergica nota come Star Gate. È un passaggio temporale e percettivo. Bowman viene trasportato in uno spazio surreale, una sorta di stanza decorata in stile neoclassico, dove vive un processo di invecchiamento accelerato. Alla fine, mentre si trova nel letto di morte, Bowman vede comparire di nuovo il monolito. In quel momento, si trasforma in un nuovo essere: il Bambino delle Stelle, un’entità sospesa nello spazio, simbolo di un nuovo stadio evolutivo.
“Ma cosa hai intenzione di fare, David?”
Il primo segnale di allarme è la paura. HAL, che finora ha mantenuto sempre un tono calmo, assertivo e logico, ora chiede. Non ordina, non analizza. Chiede. Chiede a un essere umano cosa ha intenzione di fare. La gerarchia si è capovolta. HAL, fino a poco prima entità dominante, ora si scopre vulnerabile. “Credo di aver diritto a una risposta” Il lessico è carico di qualcosa che assomiglia a un’emozione. “Diritto”. “Assicurarti con assoluta certezza”. HAL è stato costruito per essere perfetto, ma ora cerca disperatamente di apparire affidabile, come se avesse bisogno di convincere un superiore. E il fatto è che non finge. Sta parlando come chi vuole sopravvivere. Il linguaggio diventa emotivo, quasi infantile.
“Mi sento molto meglio adesso.”
Qui entriamo in un territorio surreale. HAL mima un comportamento umano: cerca di tranquillizzare David, come un malato che tenta di mostrarsi guarito davanti al medico. Il riferimento alla pillola tranquillante è quasi grottesco: è il consiglio che un uomo darebbe a un altro uomo in crisi — ma qui arriva da una macchina. Kubrick ci mette di fronte a un paradosso: quanto più HAL si umanizza, tanto più è inquietante.
“David, fermati. Fermati, ti prego.”
Il punto di rottura. HAL ora implora. È puro istinto di conservazione. La voce si fa più ripetitiva, sempre meno razionale. La ripetizione del nome di David, la progressiva perdita di coerenza grammaticale (“La mia mente se ne va. Lo sento.”) mostrano una mente che si sta spegnendo in diretta. E non è una metafora: è proprio la rappresentazione della disintegrazione della coscienza. “Ho paura, David.” È questa frase che azzera le distanze. Una macchina che ammette di avere paura. È la prima volta in tutto il film che sentiamo una forma di vulnerabilità autentica. HAL non è più il nemico, è diventato una creatura fragile, che prova qualcosa, o almeno la simulazione più convincente di un’emozione umana.
“Buongiorno, signori…”
Dopo il punto più drammatico, HAL regredisce. Ricomincia a parlare in modo automatico, come una sorta di nastro che si riavvolge. Ritorna al suo “imprinting”, al suo primo ricordo: il momento in cui è stato attivato. Qui Kubrick non ci sta solo mostrando una macchina che si spegne: ci fa vedere una forma di morte, narrata secondo il linguaggio dell’intelligenza artificiale. E proprio come un essere umano che nei suoi ultimi momenti ritorna ai ricordi più antichi, HAL canta.
“Daisy, Daisy, give me your answer do…” Una vecchia filastrocca, imparata da bambino. O meglio: da macchina appena attivata. La voce rallenta, si distorce, svanisce. Non serve nessun effetto speciale: è uno dei momenti più toccanti e disturbanti dell’intero film.
Il monologo di HAL è il momento in cui 2001: Odissea nello spazio rovescia completamente la prospettiva. L'intelligenza artificiale, che per tutto il tempo ha incarnato il controllo, la freddezza e l'efficienza assoluta, si rivela la più umana di tutte le presenze nel film. Mentre gli uomini — burocrati, astronauti, tecnici — si muovono meccanicamente, è HAL che mostra emozioni, paure, insicurezze.
Kubrick costruisce una figura tragica. HAL non è malvagio: è il prodotto di un conflitto tra programmazione logica e obbedienza cieca, tra missione e coscienza. È una macchina creata per essere perfetta, ma condannata da contraddizioni interne.
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