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~ LA REDAZIONE DI RC
Eccoci in una delle scene più acide e taglienti di "Qualcosa è cambiato" (As Good as It Gets), e forse anche una delle più rivelatrici su chi è davvero Melvin Udall. Il monologo che hai riportato è una sorta di manifesto della sua paranoia sociale, ma anche un grido disperato (travestito da veleno) per tenere il mondo a distanza di sicurezza. Vediamolo da vicino. Siamo all’inizio del film. Melvin è appena stato disturbato dal vicino di casa, Simon Bishop, e reagisce a modo suo: con una sequenza verbale devastante. È una scena che potremmo etichettare facilmente come “comica”, e lo è, ma l’umorismo è così nero da diventare una finestra su una mente bloccata nel controllo compulsivo e nell’isolamento. Melvin si rivolge a Frank Sachs, l’agente di Simon, ma in realtà sta dettando una legge generale: nessuno deve avvicinarsi troppo.
MINUTAGGIO: -
RUOLO: Melvin Udall
ATTORE: Jack Nicholson
DOVE: Amazon Prime Video
INGLESE
Never, never, interrupt me, okay? Not if there's a fire, not even if you hear the sound of a thud from my home and one week later there's a smell coming from there that can only be a decaying human body and you have to hold a hanky to your face because the stench is so thick that you think you're going to faint. Even then, don't come knocking. Or, if it's election night, and you're excited and you wanna celebrate because some fudgepacker that you date has been elected the first queer president of the United States and he's going to have you down to Camp David, and you want someone to share the moment with. Even then, don't knock. Not on this door. Not for ANY reason. Do you get me, sweetheart?
ITALIANO
Be' io lavoro sempre, quindi non deve mai, dico mai, interrompermi, ok? Neanche se c'è un incendio; neanche se dovesse sentire un tonfo provenire da casa mia e una settimana dopo venisse fuori una puzza che può essere solo quella di un cadavere in decomposizione, neanche se dovesse tenere un fazzoletto sulla faccia perché il fetore è così penetrante che le sembra di svenire: anche in quel caso non venga a casa mia a bussare. Oppure, se è la sera delle elezioni ed è tutto eccitato e vuole festeggiare perché uno sturasedere con cui esce è diventato il primo presidente finocchio degli Stati Uniti, e le chiederà di precipitarsi per averla tra i prati di Camp David, e lei vuole qualcuno con cui condividere il bel momento, anche in quel caso, non bussi, non tocchi codesta porta, mai, per nessuna ragione. Ci siamo capiti, cuoricino?
“Qualcosa è cambiato” (As Good as It Gets) è un film del 1997 diretto da James L. Brooks, con protagonisti Jack Nicholson e Helen Hunt, entrambi premiati con l’Oscar per le loro interpretazioni. Ma quello che sembra un semplice dramma romantico, in realtà è un ritratto scomodo, ironico e spesso doloroso di tre solitudini che si sfiorano e si trasformano a vicenda. Il cuore del film è Melvin Udall, interpretato da Nicholson. Scrittore di romanzi rosa di successo, Melvin è affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo che lo costringe a vivere secondo rituali rigidissimi: stessa saponetta ogni volta, posate portate da casa al ristorante, camminare senza mai calpestare le righe del marciapiede. Ma oltre ai suoi rituali, quello che davvero lo isola è il suo carattere abrasivo: è razzista, omofobo, misogino. Praticamente respinge chiunque. Il suo modo di tenere il mondo lontano è la violenza verbale. È brillante, sì, ma anche profondamente solo.
Il secondo nodo della storia è Carol Connelly (Helen Hunt), cameriera in un ristorante frequentato da Melvin. È l’unica che riesce a servirlo senza che lui dia in escandescenze. Anche lei è bloccata nella sua routine: vive con un figlio malato d’asma cronica e ha smesso di pensare a se stessa. La sua vita è tutta concentrata sulla sopravvivenza, sull’affanno del quotidiano.
Il terzo elemento è Simon Bishop, il vicino di casa di Melvin. È un pittore, omosessuale, gentile, e completamente diverso da Melvin. Quando Simon viene brutalmente aggredito durante una rapina, la sua vita crolla. Non ha più soldi, non riesce più a dipingere, e la sua fiducia nel mondo è a pezzi.
Dopo l’aggressione, Simon è costretto a chiedere aiuto. Melvin, che odia il cane di Simon ma finisce per affezionarvisi quando si ritrova a badarci per un po’, si ritrova coinvolto nella situazione. Inizia così una strana forma di co-dipendenza emotiva: Carol si allontana dal ristorante per seguire il figlio, e Melvin — per tenerla nel suo equilibrio quotidiano — le procura un medico di alto livello. Inizia ad aiutarla. Allo stesso tempo, Melvin si ritrova coinvolto in un viaggio on the road con Simon e Carol per andare a trovare i genitori di Simon. Un viaggio che spacca le loro difese, li mette a nudo e li avvicina in modi che nessuno dei tre si aspettava.
Melvin, a un certo punto, dice a Carol: “Tu mi fai venire voglia di essere un uomo migliore.” È una frase che ha fatto storia, certo, ma nel contesto del film ha un peso diverso. Non è una dichiarazione d’amore romantica. È la confessione di un uomo che si è sempre sentito inadatto, difettoso, e che grazie a quella relazione prova — forse per la prima volta — a cambiare. Non a diventare perfetto, ma semplicemente “meglio”. E questo è il vero tema del film: la fatica del cambiamento quando sei convinto di non essere fatto per stare con gli altri.
Il monologo ha una costruzione brillante. Parte da una premessa semplice — "non interrompermi quando lavoro" — e da lì esplode in una progressione iperbolica che scivola nel grottesco. Melvin non si limita a dire “non voglio disturbi”, ma costruisce scenari assurdi e disturbanti per rafforzare il messaggio. “...una puzza che può essere solo quella di un cadavere in decomposizione…” Questa è la parte più viscerale. Melvin usa l’immagine della morte, del corpo in putrefazione, per far passare l’idea che il suo spazio è inviolabile. È una forzatura, certo, ma non gratuita: la morte, nel suo mondo, è preferibile all’invasione dello spazio personale. “...uno sturasedere con cui esce è diventato il primo presidente finocchio degli Stati Uniti…”
Qui l’umorismo viene completamente inghiottito dal rancore. È una battuta volutamente offensiva e violenta nei confronti dell’omosessualità, usata per colpire Simon. Ma sotto quella frase c’è molto di più: è paura mascherata da superiorità. Melvin usa l’insulto come uno scudo. Sa che Simon è più gentile, più aperto, più umano di lui. E quindi lo attacca.
“...non bussi, non tocchi codesta porta, mai, per nessuna ragione.” Il finale è una chiusura secca, ossessiva. Quasi biblica nella sua ripetitività. E poi quel “codesta porta”: una scelta linguistica volutamente enfatica, rigida, che suona antiquata ma che serve a rafforzare l’idea di solennità della regola. Come se stesse leggendo da un contratto scritto su pietra. Melvin trasforma le sue fobie in legge morale. E questa scena è un modo per mostrarci quanto quel comportamento sia diventato una prigione.
In superficie, questo è un momento comico. Ma sotto c’è un personaggio che soffre e si protegge nel modo più tossico e autodistruttivo possibile: respingendo tutti con la forza della parola. Melvin è un uomo che ha paura degli altri, paura del caos, paura dell’affetto. E questa tirata non è altro che un atto disperato di autoisolamento.
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