Monologo maschile - Jason Bateman in \"Hancock\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo di Ray Embrey, interpretato da Jason Bateman, è uno dei momenti più intimi di Hancock. In un film dove spesso dominano il rumore, l’ironia tagliente e la tensione morale, questa piccola confessione familiare arriva quasi di soppiatto. Ma è centrale per capire il cuore emotivo del personaggio e, indirettamente, per comprendere il ruolo di Mary (Charlize Theron) nella storia.

Ho incontrato un angelo

MINUTAGGIO: 49:00-50:00

RUOLO: Ray

ATTORE: Jason Bateman

DOVE: Netflix

INGLESE

I was married once before. First wife... she died giving birth to Aaron. It's another dinner. But... But... So there I am, I'm with this beautiful little baby. I don't know what the hell to do. And I was in the supermarket... and I'm in the baby aisle... and I've got a brand of diapers in each hand. I'm staring at them, but I don't know how I'm gonna get through the day. An angel... sees me. She knew. She was... She gave me this look. And even in the trance I was in, I knew that somebody somewhere... was throwing me a little rope. You know? Starting that day, you really put my life back together. Right?

ITALIANO

Sono già stato sposato. La mia prima moglie è morta mettendo al mondo Aaron. Magari ad un’altra cena… se vuoi…. Insomma, mi ritrovo con questo bellissimo bambino, e non so che fare. E… sono al supermercato, nel reparto prima infanzia. Ho dei pacchi di pannolini di marche diverse tra le mani. Li sto fissando, ma non so se sopravviverò alla giornata, e un angelo… è venuto a salvarmi. Lo sapeva, era… aveva questo sguardo. E anche nel mio stato dio trance ho capito che da qualche parte qualcuno aveva lanciato un salvagente per me. Tu… da quel giorno hai messo insieme la mia vita, giusto? 

Hancock

“Hancock” è un film del 2008 diretto da Peter Berg, con Will Smith nel ruolo del protagonista. È un film che parte come una sorta di satira sul genere supereroistico, ma poi vira verso un racconto più introspettivo, in cui i toni cambiano gradualmente. E questa evoluzione è uno degli aspetti più discussi e affascinanti del film. La trama si apre con John Hancock, un uomo con poteri da supereroe – può volare, ha una forza sovrumana, è invulnerabile – ma che vive ai margini della società di Los Angeles. È alcolizzato, apatico, scorbutico, e quando si mette in testa di “fare il bene”, finisce per causare danni collaterali enormi: trancia treni, distrugge strade, insulta la gente. Questo approccio, nei primi 30 minuti, è chiaramente in contrasto con l’iconografia classica del supereroe. Hancock è solo, detestato dalla popolazione e soprattutto non ha una vera identità eroica. La domanda implicita è: che senso ha avere dei poteri, se poi sei un disastro come persona?

L’incontro con Ray Embrey (Jason Bateman), un idealista che lavora nel campo delle pubbliche relazioni, cambia le cose. Dopo che Hancock salva Ray da un incidente ferroviario, l’uomo decide di aiutarlo a migliorare la sua immagine. Inizia così una sorta di “riabilitazione supereroica”: Hancock si consegna alla polizia, va in prigione e, gradualmente, riesce a ottenere la simpatia del pubblico. Mary (Charlize Theron), la moglie di Ray, ha da subito una reazione strana verso Hancock. Il motivo si scopre a metà film: anche lei ha poteri, simili ai suoi. Anzi, molto di più: Mary e Hancock sono legati da un passato misterioso, una mitologia che il film accenna ma non esplora fino in fondo.

Scopriamo che i due sono in realtà esseri immortali, creati “a coppie”, e che più stanno vicini, più diventano umani, vulnerabili. Sono stati amanti in passato, ma ogni volta che si riavvicinano, finiscono per indebolirsi. È un legame tragico, fatto di amore che porta distruzione. Questo è il momento in cui il film cambia completamente pelle: da commedia cinica a tragedia quasi mitologica. Hancock decide di allontanarsi da Mary per salvarla e per permetterle di vivere una vita normale con Ray. Il finale, ambientato in un ospedale durante una rapina, mette Hancock davanti alla scelta definitiva: essere un eroe, ma solo. Sopravvive, ma il prezzo è la distanza da chi ama. L’ultima scena lo mostra a New York, solitario ma con un nuovo scopo. Ha accettato il suo ruolo, anche se a costo della felicità personale.

Analisi Monologo

La forza di questo monologo sta tutta nella sua concretezza. Ray non parla in astratto, non fa discorsi sentimentali o grandiosi. Racconta un’immagine precisa, quasi banale: "Sono al supermercato, nel reparto prima infanzia. Ho dei pacchi di pannolini di marche diverse tra le mani." Eppure quella banalità è un momento di crollo totale. Un padre vedovo, disorientato, bloccato davanti a una scelta minuscola – un pacco di pannolini – perché la sua vita, in quel momento, è completamente senza coordinate. Quel reparto diventa simbolicamente il fondo, il punto più basso.

Poi arriva Mary. "Un angelo… è venuto a salvarmi." Qui Ray utilizza un linguaggio che si avvicina al sacro, ma lo fa con una sincerità che non suona mai forzata. Non dice che Mary era gentile, forte o bella. Dice che lo sapeva. Che aveva questo sguardo. È un dettaglio che ci parla di un legame che non nasce dalla logica, ma da una connessione più profonda, quasi istintiva. Ray, che è un uomo razionale, che cerca sempre soluzioni pratiche e pubbliche, riconosce un gesto privato, silenzioso e inspiegabile come il momento che ha rimesso insieme la sua vita.

E poi arriva la frase che chiude tutto: "Tu… da quel giorno hai messo insieme la mia vita, giusto?" Non è una dichiarazione d’amore in senso stretto. È una richiesta di conferma, quasi un sussurro. C’è dentro tutta la gratitudine, ma anche la fragilità di chi non vuole dare per scontato che quel legame sia ancora lì, intatto.

Conclusione

Questo monologo è breve, ma racconta una dinamica potente. In un film dove i superpoteri sembrano essere il centro, Ray ci mostra che la vera salvezza arriva dai gesti umani, quelli silenziosi e quotidiani. Mary, agli occhi di Hancock, è una figura mitologica, tragica, immortale. Ma per Ray è semplicemente – e forse molto più profondamente – la persona che lo ha tenuto a galla quando stava affondando. E in questa frase, semplice e dolente, c’è tutta la forza di Ray: "Non so se sopravviverò alla giornata." È la frase più vera che un padre solo, un uomo rotto, possa dire. Ed è lì che Mary diventa la sua supereroina.

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