Monologo Maschile - Jeremy Irons in \"M. Butterfly\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Questo monologo rappresenta il culmine emotivo di M. Butterfly, il momento in cui René Gallimard, ormai prigioniero e disilluso, espone la sua visione deformata dell’amore e dell’Oriente. È il punto di arrivo del suo autoinganno: nonostante la realtà sia ormai innegabile, lui continua a filtrarla attraverso il mito di Madama Butterfly. La scena ha una carica teatrale evidente. Gallimard sta mettendo in scena la sua versione della storia. Il modo in cui si presenta – come un uomo che ha conosciuto la "perfezione fatta donna" – è ancora intriso della narrazione romantica che si è costruito. Ma tra le righe emerge anche il fallimento: ha dato il suo amore a qualcuno che non lo meritava, è stato tradito, eppure il mito continua a dominarlo.

Faccio ridere la gente

RUOLO: René Gallimard
ATTORE:
Jeremy Irons
DOVE:
Amazon Prime Video



ITALIANO


Vedo che mi conoscete... perché? Perché sono una celebrità. Io faccio ridere la gente... ho fatto ridere la Francia intera... Ma se solo poteste capire, non ridereste affatto. Potrebbe essere il contrario: uomini come voi dovrebbero bussare alla mia cella e implorarmi di rivelare i miei segreti. Perché io, René Gallimard, ho conosciuto e sono stato amato dalla perfezione fatta donna. (Pausa) Da tanti anni ho una visione dell'Oriente: donne esili, coperte da kimono, che muoiono per amore di immeritevoli diavoli stranieri. Donne nate e allevate per diventare compagne perfette, donne che sopportano qualunque punizione da noi inflitta, amanti ideali e pronte a tornare al loro posto, sostenute da un amore incondizionato. Anime candide e rare. Questa visione è diventata per me ragione di vita. Il mio errore è stato semplice e assoluto. L'uomo che amavo non era degno, non meritava nemmeno un altro sguardo. E invece gli ho dato il mio amore, tutto il mio amore. L'amore ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto che ora, guardando nello specchio, io non mi vedo. Ho una visione dell'Oriente. Vedo che dentro i suoi occhi a mandorla ci sono ancora donne, donne disposte a sacrificare la propria vita per amore di un uomo, anche di un uomo il cui amore sia assolutamente privo di valore. Morire con onore è meglio che vivere nel disonore. Così, alla fine, in una prigione, lontano dalla Cina, io l'ho trovata. Mi chiamo René Gallimard, conosciuto anche come Madama Butterfly.

M. Butterfly

M. Butterfly, diretto da David Cronenberg e tratto dall’omonima opera teatrale di David Henry Hwang, è un film che mescola dramma, politica e identità, costruendo una storia fatta di inganni, desideri e autoillusione. Pur essendo meno noto rispetto ad altri lavori del regista, il film rappresenta un'interessante deviazione dal suo solito cinema corporeo e inquietante, pur mantenendo una forte ossessione per il tema della trasformazione.


Ambientato negli anni ‘60, il film segue René Gallimard (Jeremy Irons), un diplomatico francese di stanza a Pechino, che si innamora di Song Liling (John Lone), una cantante dell'Opera di Pechino. Gallimard vede in Song l'incarnazione della femminilità ideale, proiettando su di lei l’immagine della Madama Butterfly pucciniana: la donna sottomessa e devota, pronta a sacrificarsi per amore. Quello che non sa – o sceglie di non vedere – è che Song è in realtà una spia cinese e, soprattutto, un uomo che ha sempre recitato il ruolo di donna per manipolarlo e ottenere informazioni. La relazione tra i due si sviluppa nell’arco di vent’anni, tra incontri segreti, lettere appassionate e un progressivo abbandono della realtà da parte di Gallimard. La verità emerge in un’aula di tribunale, quando il diplomatico viene accusato di aver rivelato segreti militari alla Cina.


La sua reazione finale – un gesto teatrale e tragico – lo porta a fondersi completamente con il mito che ha sempre idolatrato. Uno degli aspetti più interessanti di M. Butterfly è il modo in cui Cronenberg tratta il concetto di inganno. Gallimard si lascia ingannare, alimentando la sua stessa fantasia. La sua ossessione per il mito di Madama Butterfly gli impedisce di vedere ciò che è evidente. Nel teatro dell’Opera di Pechino, i ruoli femminili erano tradizionalmente interpretati da uomini, una convenzione che si inserisce perfettamente nel tema del film. Gallimard, per mantenere intatta la sua visione idealizzata della donna, accetta senza porsi domande tutte le stranezze della relazione: l’assenza di intimità fisica, il comportamento riservato di Song e le numerose giustificazioni. Il punto non è tanto se Song sia credibile come donna, ma quanto Gallimard abbia bisogno che lo sia.

Analisi Monologo

Il discorso di Gallimard si articola attorno a due concetti chiave: il mito dell’Oriente e la sua personale tragedia amorosa.


Gallimard descrive la sua “visione dell’Oriente” in termini che riecheggiano gli stereotipi colonialisti: donne fragili, sottomesse, pronte a morire per amore. È l’immagine che l’Occidente ha costruito, e che lui ha interiorizzato al punto da renderla il fondamento del suo desiderio. Non è un’analisi del reale, ma una proiezione culturale. Questa fantasia gli ha permesso di amare Song senza mai porsi domande, senza mai vedere chi fosse veramente.


La sua tragedia, però, sta nel non riuscire a distaccarsene neanche ora. Nonostante la verità sia venuta a galla, lui continua a evocare questa immagine di donne sacrificali e pure, incapace di accettare che sia stata proprio questa visione a rovinarlo. Quando Gallimard dice di aver dato tutto il suo amore a qualcuno che non lo meritava, il tono è quasi accusatorio. Ma chi è davvero il colpevole? Song, che lo ha ingannato, o lui stesso, che ha scelto di vedere solo ciò che voleva?


C’è una frase chiave: “L'amore ha ottenebrato il mio giudizio, accecato i miei occhi, tanto che ora, guardando nello specchio, io non mi vedo.” Qui Gallimard ammette di aver perso completamente sé stesso nel suo sogno romantico. È un'affermazione che ribalta il mito di Madama Butterfly: nel melodramma pucciniano è la donna a sacrificarsi per l’uomo, mentre qui è lui a diventare vittima del proprio desiderio. Ma la cosa più inquietante è che sembra accettare questa fine con una sorta di compiacimento tragico. Gallimard chiude il monologo dichiarando di essere “conosciuto anche come Madama Butterfly”. È l’apice del suo delirio: non solo ha creduto nella sua visione dell’Oriente, ma ora si fonde con essa. Il suo destino diventa quello della protagonista dell’opera lirica: il sacrificio, la morte per amore.

Conclusione

Questo monologo è il manifesto della follia romantica di Gallimard. Non è solo il discorso di un uomo che ha perso tutto, ma di qualcuno che ha scelto di vedere il mondo attraverso un’illusione e ora, nel momento più disperato, abbraccia completamente quel sogno, anche a costo della propria distruzione. Cronenberg lo dirige senza mai renderlo una semplice lamentela o un grido di dolore: è una dichiarazione d’identità. Gallimard si rifiuta di accettare la realtà e si trasforma in ciò che ha sempre idealizzato. Il finale del film seguirà questa logica, portandolo a un gesto che completa questa metamorfosi.

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