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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo è uno dei momenti più intensi e riflessivi di Paura e delirio a Las Vegas. Dopo un viaggio fatto di allucinazioni, eccessi e caos, Raoul Duke (alter ego di Hunter S. Thompson) si ferma a riflettere su ciò che ha vissuto e su ciò che ha perso. Il delirio di Las Vegas si dissolve in un ricordo nostalgico degli anni ‘60, un’epoca che sembrava destinata a cambiare il mondo ma che si è sgretolata sotto il peso della realtà. Il tono cambia completamente rispetto al resto del film: non c’è più frenesia, ma una consapevolezza malinconica.
MINUTAGGIO: intro film
RUOLO: Raoul Duke
ATTORE: Johnny Depp
DOVE: Netflix
ITALIANO
Una delle prime cose che impari quando per anni hai a che fare con drogati, è che puoi voltare le spalle a chiunque, ma mai voltare le spalle a un drogato. Soprattutto quando ti agita davanti un coltello da caccia affilatissimo. Cosa stavo facendo lì? Che significato aveva quel viaggio? Stavo solo vagando sotto l'effetto di qualche droga? O ero davvero venuto a Las Vegas per scrivere un pezzo? Chi sono queste persone? Queste facce? Da dove vengono? Sembrano caricature di venditori di auto usate di Dallas… e Gesù benedetto, ce ne sono tantissimi alle quattro e trenta di domenica mattina, ancora ingroppando il sogno americano, quella visione del grande vincitore che emerge dall'ultimo caos pre-aurorale di un trito casinò di Las Vegas. Strani ricordi in quella nervosa notte a Las Vegas. Sono passati cinque anni? Sei? Sembra una vita... quel genere di apice che non tornerà mai più. San Francisco e la metà degli anni '60 erano un posto speciale e un momento speciale di cui fare parte. Ma nessuna spiegazione, nessuna miscela di parole, musiche, ricordi, poteva toccare la consapevolezza di essere stato là... vivo, in quell'angolo di tempo e di mondo. Qualunque cosa significasse. C'era follia in ogni direzione, a ogni ora. Potevi sprizzare scintille dovunque. C'era una fantastica, universale sensazione che qualunque cosa facessimo fosse giusta. Che stessimo vincendo. E quello, credo, era il nostro appiglio. Quel senso di inevitabile vittoria sulle forze del vecchio e del male. Non in senso violento o cattivo. Non ne avevamo bisogno. La nostra energia avrebbe semplicemente prevalso. Avevamo tutto lo slancio... cavalcavamo la cresta di un'altissima e meravigliosa onda... e ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e guardare a ovest... e con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell'acqua alta... quel punto dove l'onda alla fine si è infranta, ed è tornata indietro.
Il film di Terry Gilliam, tratto dal romanzo di Thompson, è una folle discesa nel lato più autodistruttivo del sogno americano, ma qui emerge la sua vera anima: il racconto di un’illusione perduta. Attraverso un flusso di pensieri che mescola presente e passato, Duke ripercorre l’ascesa e la caduta di un’era, concludendo con un’immagine emblematica: l’onda della controcultura, che sembrava inarrestabile, si è infranta e si è ritirata.
Paura e delirio a Las Vegas (Fear and Loathing in Las Vegas, 1998), diretto da Terry Gilliam, è un viaggio surreale e allucinato attraverso il lato più folle e autodistruttivo del sogno americano. Tratto dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Hunter S. Thompson, il film segue il giornalista Raoul Duke (Johnny Depp) e il suo avvocato, il dottor Gonzo (Benicio del Toro), in una discesa vertiginosa tra droghe, paranoia e delirio.
Siamo negli anni '70. Duke, alter ego di Hunter S. Thompson, riceve l’incarico di coprire una corsa motociclistica nel deserto del Nevada per una rivista. Con l’anticipo ricevuto, parte per Las Vegas con il suo avvocato, portando con sé un arsenale di sostanze stupefacenti: LSD, mescalina, etere, anfetamine, cocaina e altro ancora. Ma la corsa è solo un pretesto. Da subito, il viaggio si trasforma in un'odissea psichedelica: tra allucinazioni, hotel devastati e incontri assurdi, i due si muovono in una città che sembra amplificare la loro follia. Duke si trova a lottare con la paranoia e il disorientamento, mentre Gonzo lo trascina in situazioni sempre più pericolose.
Dopo aver fallito miseramente nel loro incarico, i due tornano a Las Vegas per coprire una conferenza antidroga (!). Anche qui la situazione precipita tra eccessi, fughe e un senso crescente di disperazione. Mentre la droga si dissolve e la realtà si fa più nitida, emerge un sottotesto malinconico: la fine di un’epoca, quella degli ideali degli anni ‘60, ormai inghiottiti dal cinismo degli anni ‘70.
Più che una storia lineare, il film è un flusso di coscienza visivo e narrativo, che alterna momenti grotteschi a riflessioni amare sul fallimento del sogno americano. Gilliam traduce in immagini lo stile iperbolico e caotico di Thompson, mescolando scenari distorti, colori acidi e inquadrature deformanti. Alla fine, Duke parte da solo nel deserto, lasciandosi alle spalle Las Vegas e il caos. La sua voce fuori campo, citando il romanzo, chiude il film con un ricordo di quello che era stato: un'epoca di speranza e ribellione, ora dissolta nel nulla.
Il monologo si articola in due parti ben distinte.
La paranoia e il caos di Las Vegas
La prima parte è ancora immersa nella follia del presente. Duke riflette sulle dinamiche della droga e sull'imprevedibilità di chi ne è dipendente. La città è un teatro di caricature grottesche: "venditori di auto usate di Dallas" che, all’alba, sono ancora lì a inseguire il loro sogno di grandezza. È l’immagine di un’America sfiancata, che si aggrappa a un'illusione destinata a crollare. Il sogno americano, in questa visione, è una farsa ripetuta all’infinito nei casinò, tra luci artificiali e vite consumate.
La nostalgia per un’epoca perduta
La seconda parte è un cambio di registro netto. Duke rievoca la San Francisco della metà degli anni ‘60, il periodo della Summer of Love, della rivoluzione culturale, del sogno di un mondo nuovo. Ma non lo fa con un tono celebrativo. Sa che quella sensazione di vittoria era un’illusione. "Qualunque cosa significasse." Questa frase, messa lì quasi come un ripensamento, smonta qualsiasi certezza. L’immagine dell’"onda" è il cuore del monologo. La metafora è potentissima: la controcultura era un'onda altissima, piena di energia, che sembrava destinata a travolgere tutto. Ma poi si è infranta. Non c’è stato un grande scontro, una battaglia epica. È semplicemente svanita, come un movimento che ha perso slancio, inghiottito dal tempo e dalle proprie contraddizioni.
Questo monologo è il momento più autentico di Paura e delirio a Las Vegas. Per tutto il film, Duke e Gonzo cercano di sfuggire alla realtà con un'overdose di droga e cinismo, ma qui emerge il vero sottotesto della storia: la fine di un’epoca di speranza e il disincanto che ne è seguito.
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