Monologo maschile - \"Ladyhawke\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Siamo di fronte a uno dei momenti più intensi di Ladyhawke. Questo monologo di Imperius racconta il passato che ha generato l’intera tragedia. Ma lo fa con una tonalità unica, che mescola l’ingenuità di Philippe, la sua ironia naturale, con una nuova consapevolezza. Quello che prima sembrava solo un ladro chiacchierone ora diventa, di colpo, un testimone tragico. Siamo di fronte a un momento di racconto puro.

Tragico destino, lupi, falchi, amore

MINUTAGGIO: 39:00-40:00

RUOLO: Imperius

ATTORE: Leo McKern

DOVE: Amazon Prime Video

ITALIANO

Lei si chiama Isabeau D'Anjou. Suo padre era il conte D'Anjou, un temperamento violento. Morì facendo strage di saraceni, in Antiochia. Lei venne a vivere con un cugino, credo che fosse. Ad Agijon. Non dimenticherò mai la prima volta che la vidi. Era come se avessi guardato…  Sì, eravamo tutti innamorati di lei, in qualche modo. Persino sua grazia il Vescovo non riusciva a pensare ad altro. Il vescovo l’amava,: Sì, ma come... come può esserne capace un uomo malvagio, di una passione quasi folle. Era in preda al demonio. Ma Isabeau percepì la sua malvagità, e si rifiutò a lui. Gli rimandò le lettere senza aprirle, le poesie senza leggerle. Il suo cuore era già perduto, sai, per il Capitano della guardia. Il Vescovo ignorava il loro amore, ma esso diventava ogni giorno più grande, più forte, più profondo, fino a che… I due furono traditi. Avevano lo stesso confessore, un prete sciocco e debole, che un giorno, ubriaco, confessandosi al suo superiore, commise un peccato mortale: rivelò il patto segreto degli innamorati al Vescovo. Quel vecchio stolto non capì quanto terribile sarebbe stata la vendetta del Vescovo. Sua grazia sembrava impazzito: perse la santità e la ragione. Giurò che se non l'avesse avuta lui, nessun altro l'avrebbe avuta mai. Così Navarre e Isabeau fuggirono da Agijon. Il Vescovo li inseguì, senza tregua, sempre alle costole, più ostinato di un segugio. Un uomo malvagio e potente, odiato e temuto, respinto perfino da Roma stessa. Egli evocò tutti i poteri delle tenebre, pur di riuscire a dannare gli innamorati. Nella sua furia e frustrazione stipulò un orribile patto... col diavolo stesso. Le potenze infernali profferirono una maledizione terribile, che tu hai visto realizzarsi: di giorno Isabeau è il bellissimo falco che tu hai portato qui da me, e di notte, come hai già capito, la voce del lupo che si ode è il grido di Navarre. Povere creature senza più il ricordo della loro semivita umana e che non possono mai sfiorarsi. Hanno solo il tormento di un breve istante, al sorgere e al calar del sole, quando possono quasi toccarsi... ma neanche. Finché il sole sorgerà e tramonterà, finché ci saranno il giorno e la notte. Per tutto il tempo che sarà loro concesso di vivere. Ti sei imbattuto in una tragica storia, Philippe Gaston. E ora, che tu lo voglia o no, sei perduto in essa, insieme a tutti noi.

Ladyhawke

"Ladyhawke" è un film del 1985 diretto da Richard Donner, un regista che molti conoscono per “Superman” e “I Goonies”, ma che qui si confronta con una favola medievale dai toni cupi e romantici. È una di quelle opere che stanno in equilibrio tra fantasy e realismo, con una narrazione che prende il tempo necessario per farci entrare in un mondo sospeso, dove la magia è una maledizione più che una salvezza. Ed è proprio la maledizione il cuore pulsante della storia. Siamo nella Francia medievale. Il film si apre con un giovane ladro, Philippe Gaston detto "Topino" (interpretato da Matthew Broderick), che fugge dalle prigioni della città di Aquila. È un personaggio che non smette mai di parlare, anche con Dio, ma questo suo continuo monologare serve a spezzare il tono drammatico della vicenda principale: un triangolo narrativo fatto di un amore impossibile, una maledizione e una vendetta silenziosa. Dopo la fuga, Philippe viene salvato da un misterioso cavaliere solitario, Etienne Navarre (Rutger Hauer), accompagnato da un falco. Navarre è un ex capitano della guardia, esiliato, cupo, calcolatore.

Il falco non è lì per caso: è la sua compagna, Isabeau d'Anjou (Michelle Pfeiffer), vittima come lui di una maledizione inflitta dal Vescovo di Aquila, innamorato ossessivamente di lei. La maledizione è semplice e terribile: Navarre è uomo solo di giorno, mentre Isabeau è donna solo di notte. Durante le ore in cui uno è umano, l’altro è animale. Possono vedersi, ma mai toccarsi, mai parlarsi. Sono eternamente vicini ma separati, come ombre che si sfiorano sul limite dell'alba e del tramonto. Philippe si ritrova coinvolto in questa tragedia romantica e diventa l’ingranaggio umano – e ironico – che dà una possibilità alla speranza. Navarre vuole uccidere il Vescovo, ma il ladro e una figura saggia, il monaco Imperius (Leo McKern), cercano una strada diversa: rompere la maledizione.

Analisi Monologo

"Lei si chiama Isabeau D'Anjou. Suo padre era il conte D'Anjou, un temperamento violento. Morì facendo strage di saraceni, in Antiochia..." La prima parte è descrittiva. Imperius fornisce uno sfondo storico-geografico – Antiochia, Agijon – e introduce Isabeau come una figura quasi mitica. Il padre, un conte sanguinario, morto in crociata: qui c’è tutta la suggestione medievale, tra nobiltà, religione e guerra. Isabeau entra in scena con un’aura già tragica, figlia di un uomo distruttivo, destinata all’amore e alla perdita. "Sì, eravamo tutti innamorati di lei, in qualche modo. Persino sua grazia il Vescovo non riusciva a pensare ad altro..." In questo passaggio, il monologo si fa più emotivo. Imperius mette in scena il desiderio collettivo, quasi una malattia del cuore. Isabeau è una figura magnetica, ma non è solo bellezza: è anche rifiuto, resistenza morale. Quando dice "Il vescovo l’amava... come può esserne capace un uomo malvagio", la frase pesa tantissimo. L’amore del Vescovo non è amore, è ossessione deformata, possesso. Ed è qui che si pianta il seme della maledizione.

"Avevano lo stesso confessore, un prete sciocco e debole..." Questo è uno dei passaggi più delicati. Il prete non è un cattivo, ma un ingranaggio inconsapevole della tragedia. Si confessa, si pente, ma infrange il segreto. Il tono con cui Imperius racconta questa parte è intriso di disapprovazione malinconica. L’ingenuità ha un costo altissimo. Il racconto si avvicina sempre di più al linguaggio della fiaba oscura. "Il Vescovo evocò tutti i poteri delle tenebre... stipulò un orribile patto col diavolo stesso." Qui il tono cambia drasticamente. Non siamo più nella realtà storica, ma nel territorio del mito e del male assoluto. Il Vescovo diventa una figura quasi satanica, respinta da Roma, accecata dalla vendetta. E qui entra in gioco l’elemento fantasy: la maledizione. Il modo in cui viene descritta – “di giorno Isabeau è il falco… di notte la voce del lupo è Navarre” – è secco, evocativo, doloroso. Non c’è pietà. Non c’è possibilità di redenzione.

Solo una routine di dolore. "Hanno solo il tormento di un breve istante, al sorgere e al calar del sole, quando possono quasi toccarsi... ma neanche." Questa è la frase che chiude l’incantesimo. Quasi toccarsi. Quel “ma neanche” è un pugno. Il tormento non è l’essere trasformati in animali. È essere vicini senza potersi raggiungere. È questo che rende la maledizione insopportabile.

Conclusione

Questo monologo è fondamentale perché fa da ponte. Trasforma la storia da leggenda a missione personale. Dopo queste parole, il mondo di Ladyhawke cambia per Phillippe che ascolta, che non può più essere un semplice ladro. E per lo spettatore. È qui che tutto prende una forma più ampia, più tragica, più antica.

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