Monologo Maschile - Marco Giallini in \"ACAB\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Mazinga è uno dei momenti più intensi del personaggio interpretato da Marco Giallini in ACAB. Questo breve, ma incisivo discorso, getta luce sulla mentalità e sulle motivazioni che spingono Mazinga a vivere e accettare un mondo fatto di conflitti e brutalità. Ambientato probabilmente durante un confronto con il procuratore Levi, il monologo utilizza un linguaggio diretto, crudo e privo di filtri per descrivere la realtà di chi opera in contesti estremi, come gli scontri in Val di Susa.

La guerra in piazza

MINUTAGGIO: 42:44-43:31

RUOLO: Mazinga
ATTORE:
Marco Giallini
DOVE:
Netflix

ITALIANO


Lei c’è mai stato in Val Di Susa, dottore? E’ come la guerra, stai dieci ore a prendere sassate, bottigliate. Quando sono entrato in polizia, mio padre fu contento perché credeva che io potessi fare una vita diversa dalla sua. Invece è stato tutto il contrario. La guerra è iniziata da tanto tempo. La politica non cambia mai un cazzo, i ragazzi stanno per strada, e i genitori non riescono a guardarli negli occhi, perché sanno che i loro figli faranno la stessa vita di merda che fanno loro.

ACAB

La serie ACAB su Netflix è un’espansione dell’universo narrativo già esplorato dal film di Stefano Sollima e dall’omonimo libro di Carlo Bonini. È un prodotto che affronta in sei episodi i dilemmi morali, le fratture interiori e le contraddizioni di una squadra del Reparto Mobile di Roma, chiamata a operare in una costante tensione tra ordine e caos.


La storia inizia in Val di Susa, durante uno scontro tra il Reparto Mobile e i manifestanti No Tav. È una sequenza intensa, che pone subito al centro il tema principale della serie: il fragile equilibrio tra il compito istituzionale di mantenere l’ordine e le ripercussioni personali di chi è coinvolto in questo ruolo. L’incidente del comandante Pietro Fura (Fabrizio Nardi), gravemente ferito negli scontri, lascia un vuoto che viene riempito dal nuovo comandante Michele Nobili (Adriano Giannini), un poliziotto con una visione più progressista e meno incline all’uso della forza. Questo cambio di leadership scatena attriti interni, in particolare con Ivano Valenti, detto Mazinga (Marco Giallini), un veterano legato ai “vecchi metodi”.


I PERSONAGGI


Mazinga (Marco Giallini): È un uomo che incarna l’archetipo del poliziotto vecchio stampo, abituato a risolvere tutto con la forza. Eppure, al di fuori del lavoro, Mazinga rivela un lato sorprendentemente pacifico, trovando sollievo nella cura delle sue piante. È un personaggio che oscilla tra il disincanto e una forma di ribellione silenziosa contro un sistema che lo ha prosciugato.


Michele Nobili (Adriano Giannini): Un idealista che crede in un approccio riformista, ma che presto si scontra con la realtà brutale della squadra che guida. Il suo passato e i conflitti privati, soprattutto con la moglie e la figlia lasciate a Senigallia, lo rendono un personaggio profondamente umano, incapace di mantenere la distanza tra il lavoro e la vita personale.


Marta Sarri (Valentina Bellè): Madre single e unica donna del gruppo, Marta lotta per bilanciare il suo ruolo di poliziotta e madre con le pressioni di un ex marito violento. Bellè porta una vulnerabilità palpabile al personaggio, che riesce a mantenere un’integrità emotiva anche di fronte alla brutalità del lavoro.


Salvatore Lovato (Pierluigi Gigante): Il personaggio più enigmatico del gruppo, un veterano con un passato militare in Kurdistan, che vive in caserma e coltiva una relazione a distanza mai concretizzata. La sua ossessione per la disciplina lo rende rigido e incapace di stabilire vere connessioni umane.


Un altro elemento significativo è la scelta di concentrarsi sulle conseguenze emotive e psicologiche del lavoro, piuttosto che sui soli eventi esterni. Questo approccio umanizza i personaggi e offre una prospettiva più profonda sul peso che la violenza esercita su chi la vive quotidianamente. Pur mantenendo alcuni elementi del film del 2012, come il personaggio di Mazinga, la serie si distingue per un tono più riflessivo e meno aggressivo. Dove il film era un’esplorazione cruda e diretta della violenza, la serie adotta un ritmo più lento e stratificato, che permette di approfondire i personaggi e le loro storie.

Analisi Monologo

"Lei c’è mai stato in Val di Susa, dottore?" La frase di apertura è una domanda retorica che contiene già una sfida implicita. Mazinga mette subito in chiaro che l’esperienza della Val di Susa – e, per estensione, quella di chi opera nelle forze dell’ordine – non può essere compresa da chi non l’ha vissuta in prima persona. Il tono è accusatorio, ma non apertamente ostile: Mazinga vuole sottolineare il divario tra chi vive la realtà degli scontri e chi, come Levi, la osserva da una posizione distante e razionale. La Val di Susa diventa il simbolo della brutalità e del caos, un luogo in cui il confine tra giusto e sbagliato si dissolve. "È come la guerra, stai dieci ore a prendere sassate, bottigliate." Con questa frase, Mazinga riduce la sua esperienza a una dimensione quasi primitiva: una lotta di resistenza fisica, senza spazio per riflessioni o analisi morali. Paragonare gli scontri in Val di Susa a una "guerra" evidenzia quanto siano alienanti e disumanizzanti quelle situazioni. L’immagine delle "sassate" e delle "bottigliate" è potente nella sua semplicità: non c’è retorica, solo un’istantanea cruda della violenza subita. Questo passaggio rivela anche il senso di impotenza di chi, come Mazinga, si trova costantemente sotto attacco, fisicamente e psicologicamente. "Quando sono entrato in polizia, mio padre fu contento perché credeva che io potessi fare una vita diversa dalla sua."


Qui Mazinga si sposta sul personale, portando alla luce una dimensione intima del suo personaggio. Il riferimento al padre introduce un contrasto tra le aspettative iniziali e la realtà che Mazinga ha vissuto. La frase suggerisce che, inizialmente, l’ingresso in polizia rappresentava una possibilità di riscatto sociale, una via d’uscita da una condizione familiare difficile. L’uso del verbo "credeva" al passato segnala che questa speranza è stata disillusa. Mazinga, lontano dal migliorare la sua condizione, si è ritrovato intrappolato in una vita altrettanto dura e alienante. "Invece è stato tutto il contrario." Questa frase è una sentenza lapidaria, il culmine della disillusione di Mazinga. Non solo non è riuscito a fare una "vita diversa", ma si è ritrovato in una condizione che percepisce come peggiore. Il tono diretto e privo di orpelli riflette il carattere pragmatico del personaggio, che non cerca di abbellire la realtà, ma la affronta con una brutalità che è sia un’arma di difesa sia una condanna. "La guerra è iniziata da tanto tempo." Qui Mazinga amplia il discorso, collegando la sua esperienza personale a un contesto più grande. La "guerra" di cui parla non è solo quella fisica degli scontri, ma anche una guerra sociale e generazionale. È una condizione che esiste da anni, forse da sempre, e che sembra destinata a perpetuarsi.


Questo passaggio introduce uno dei temi principali di ACAB: l’idea che la violenza non sia solo una reazione momentanea, ma un ciclo sistemico che coinvolge tutti, poliziotti e manifestanti, senza offrire vie di uscita. "La politica non cambia mai un cazzo, i ragazzi stanno per strada, e i genitori non riescono a guardarli negli occhi." Con questa frase, Mazinga fa un’accusa esplicita al sistema politico e sociale. La sua critica non è ideologica, ma pragmatica: la politica, per lui, è inutile, incapace di risolvere i problemi reali. I "ragazzi per strada" rappresentano una generazione abbandonata a sé stessa, mentre i genitori che "non riescono a guardarli negli occhi" sono il simbolo di un fallimento generazionale. Mazinga dipinge un quadro spietato di una società spezzata, dove la violenza e la disillusione si tramandano di padre in figlio. "Perché sanno che i loro figli faranno la stessa vita di merda che fanno loro."

Conclusione

Il monologo si conclude con una frase che sintetizza perfettamente il senso di ciclicità e disperazione. Per Mazinga, il destino è già scritto: non c’è possibilità di riscatto, né per i genitori né per i figli. Questa conclusione è il riflesso della sua visione profondamente pessimista della vita, dove il futuro non è altro che una ripetizione del passato. È un messaggio che lascia poco spazio alla speranza e che mostra quanto Mazinga sia ormai intrappolato in una spirale di disillusione.

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