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~ LA REDAZIONE DI RC
In un episodio centrale di Maschi Veri, Massimo – interpretato da Matteo Martari – prende la parola durante un incontro del gruppo di auto-aiuto, e lo fa con un tono che richiama esplicitamente quello di un leader motivazionale. Il suo discorso, a metà tra il comizio e il rituale pseudo-spirituale, diventa un piccolo momento cult della serie: un monologo che mescola ironia, parodia e – tra le righe – una critica feroce a certa retorica nostalgica della virilità perduta.
STAGIONE 1 EP 7
MINUTAGGIO: 22:27-27:00
RUOLO: Matteo Martari
ATTORE: Massimo
DOVE: Netflix
ITALIANO
Benvenuti, maschi. Maschi senza paura. Maschi in cerca di riscatto. Se voi siete qui è per rimpossessarvi di qualcosa che è sempre stato vostro, che vi spetta di diritto, ma che piano piano vi stanno portando via. E mi riferisco alla vostra virilità. Al vostro diritto di essere dei maschi veri. Perché, come diceva il grande maestro, tutto il resto è noia! Il mito, il maestro. Ecco, avete mai sentito lui parlare di decostruzione, o di nuova sensibilità? No, mai. Eppure sappiamo bene tutti quante donne ha avuto, quante donne ha amato. E qui la domanda sorge spontanea. Si stava sbagliando lui, o chi ci vuole decostruire? Lasciate che vi faccia una domanda. Quanti di voi parlano con il proprio pene. Dai, non siate timidi, su le mani, su. Forza. Uno, due… pochi. Molto pochi, male. Con un amico, si parla. Il pene è un vostro caro amico. E’ sempre con voi, se non parlate con il vostro pene, rinunciate al migliore amico dell’uomo, altro che il cane. Adesso vorrei fare un esperimento con voi. Dai, tutti in piedi, forza. Tutti in piedi. Dai, senza paura, forza forza, senza paura, su. Ora, chiudete gli occhi. Voglio che vi riconnettiate con i vostri testicoli. Idem. Riuscite a visualizzateli. Visualizzateli. Li riuscite a visualizzare? E ora saltate. Lo sentite il peso? Quello è il peso della vostra virilità! Sono i vostri testicoli che vi chiedono di essere considerati. Cosa siamo noi? Cosa siamo noi? Adesso possiamo cominciare, forza.
La nuova serie italiana “Maschi veri”, disponibile dal 21 maggio su Netflix, parte da una domanda che da qualche anno si fa sempre più spazio nei talk, nei podcast, sui social e persino nei bar: che fine ha fatto il maschio? La serie è il remake italiano di “Machos Alfa”, produzione spagnola ideata dai fratelli Caballero. L’adattamento tricolore – scritto da Furio Andreotti, Giulia Calenda e Ugo Ripamonti, con la regia di Matteo Oleotto e Letizia Lamartire – conserva il concept originale, ma lo reinterpreta alla luce della cultura e dei tic dell’Italia di oggi. Il risultato è una comedy che gioca con le fragilità maschili in modo diretto, pungente e spesso autoironico.
Mattia, Massimo, Riccardo e Luigi sono amici da anni. Hanno superato i 40, vivono a Roma, e ognuno di loro rappresenta un modello maschile che – più che funzionare – ormai cigola. Quando si ritrovano in terapia di gruppo per “decostruire il maschio tossico”, ci arrivano con motivazioni diverse: chi spinto dalla compagna, chi dalla disperazione professionale, chi dalla confusione esistenziale. La chat dei “maschi veri” diventa il loro rifugio, il luogo virtuale in cui si confrontano (spesso a colpi di note vocali lunghissime), confessano insicurezze, sfogano frustrazioni e, soprattutto, cominciano a mettere in discussione quell’idea di mascolinità con cui sono cresciuti.
Massimo (Matteo Martari) è il classico “maschio vincente”, un dirigente televisivo bello, sicuro, competitivo. Quando viene licenziato e sostituito da una donna, perde non solo il lavoro ma l’idea stessa che aveva di sé. Il successo della sua compagna, Daniela (Laura Adriani), lo mette davanti a un cortocircuito che non sa gestire.
Luigi (Pietro Sermonti) è il padre di famiglia con il “posto sicuro”, maniaco dell’ordine, fedele all’idea di maschio responsabile e prevedibile. Ma quando la moglie Tiziana (Thony) inizia a risvegliarsi dopo anni di routine, lui non è pronto a seguirla. Non è un tradimento a metterlo in crisi, ma la possibilità che lei voglia altro. Un “altro” tipo di uomo.
Mattia (Maurizio Lastrico) è il più riflessivo e intellettuale del gruppo, separato, padre di una figlia adolescente, Emma (Alice Lupparelli), che prova a introdurlo nel presente spiegandogli Tinder, i pronomi neutri e il ghosting. Ma anche lui, che si crede più “evoluto”, inciampa nel confronto con una femminilità che non capisce più.
Riccardo (Francesco Montanari) gestisce un bistrot ed è il più disinvolto, o così crede. Ha una relazione parallela e una compagna, Ilenia (Sarah Felberbaum), che gli propone di aprire la coppia in nome dell’onestà. È il maschio edonista che si crede libero, ma che in realtà è emotivamente immaturo e in costante fuga.
Quello che “Maschi veri” fa, con una scrittura agile e piena di battute (che sembrano uscite da una chat tra amici un po’ sbronzi), è prendere quattro modelli di mascolinità italiana e metterli sotto stress. Ogni personaggio diventa una lente con cui osservare: la carriera che non definisce più il valore di un uomo; la paternità che non è più (solo) autorità; il sesso che non segue più copioni prevedibili; l’amore che non è più proprietà reciproca, ma un continuo rinegoziarsi. Ma soprattutto, la serie prova a mostrare cosa succede quando l’uomo si sente osservato e per la prima volta non è lui a fissare le regole del gioco.
Chi si aspetta una sitcom leggera e fine a se stessa, resterà sorpreso: sotto l’apparenza da comedy ci sono riflessioni piuttosto chiare su come il maschile si stia frantumando in mille pezzi – e su quanto faccia paura raccoglierli. Ma c’è anche un invito implicito a farlo insieme, senza vergogna, possibilmente con un po’ di autoironia. E forse, per una volta, essere “maschi veri” significa proprio questo: smettere di doverlo dimostrare.
“Benvenuti, maschi. Maschi senza paura. Maschi in cerca di riscatto.”
Fin dalle prime frasi, Massimo adotta il tono di un arringatore di folle. Non sta parlando ad amici, ma a “maschi”. Soggetto astratto, idealizzato. Il richiamo alla paura e al riscatto costruisce una retorica da campo di battaglia: come se essere maschio nel 2025 fosse un atto di resistenza. È una messa in scena del maschio vittima, una figura che sempre più spesso viene rappresentata da chi non accetta la trasformazione dei ruoli sociali.
“Rimpossessarvi di qualcosa che è sempre stato vostro... la vostra virilità.”
Qui entra in gioco l’ossessione per la perdita: qualcosa è stato tolto, dice Massimo. Ma la virilità, come la intende lui, non è più definita in termini relazionali, culturali o affettivi. È una proprietà da riconquistare. Il suo discorso fa leva su un senso di privazione e ingiustizia simbolica che trova sponde nella manosfera online, tra influencer reazionari e predicatori del "ritorno all’uomo forte". “Come diceva il grande maestro: tutto il resto è noia!” Ecco che compare l’idolo pop: il “grande maestro”, che non viene mai nominato ma è chiaramente Franco Califano. Simbolo di una virilità anni ’70: disinvolta, promiscua, sprezzante. Massimo lo usa come controesempio ai nuovi modelli di maschio: sensibili, decostruiti, dialoganti. Il confronto è forzato, ma serve a evocare un passato semplificato e idealizzato, in cui “l’uomo era uomo” senza bisogno di interrogarsi.
“Quanti di voi parlano con il proprio pene?” La svolta farsesca arriva qui, con un cambio di tono improvviso. Il discorso vira dal nostalgico al grottesco. Massimo propone un esercizio spirituale che diventa fisico: parlare col pene, riconnettersi con i testicoli. È una parodia evidente dei seminari di consapevolezza corporea, ma declinata in chiave machista. Ridicolo? Sì. Ma dietro c’è qualcosa di più sottile: la rappresentazione di una mascolinità senza strumenti linguistici per esprimere il disagio, che quindi si affida al corpo, alla carne, al gesto.
“Saltate... lo sentite il peso? Quello è il peso della vostra virilità!” Il monologo culmina in un momento teatrale: gli uomini saltano per “sentire il peso” dei propri testicoli. Un’immagine tanto assurda quanto significativa. Massimo trasforma il corpo maschile in simbolo, quasi in feticcio. Ma non c'è intimità, non c’è reale ascolto. C’è solo un bisogno disperato di provare di esistere, anche a costo di passare dal grottesco. L’esercizio che propone è ridicolo proprio perché è tragico.
Il monologo di Massimo è una messa in scena della nostalgia, una parodia lucida di quella virilità che si rifiuta di adattarsi e si rifugia in slogan, battute da bar e idoli del passato. Ma è anche il tentativo disperato di un uomo che non sa più dove stare, e allora si reinventa guru, pur di non sentirsi inutile. Dietro l’ironia, dietro l’assurdo, Maschi Veri suggerisce una verità più profonda: non c’è niente di più fragile di un uomo che ha paura di cambiare. E spesso, invece di chiedere aiuto, si mette in piedi su un palco e comincia a saltare.
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