Monologo Maschile - \"Napad - la Rapina\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

INTRODUZIONE AL MONOLOGO

Interpretare questo monologo da “Napad - La rapina” significa dare vita a un uomo segnato da anni di compromessi, fallimenti personali e amarezza. Il personaggio, un ex-detective caduto in disgrazia, ci guida attraverso una riflessione intima e brutale sul suo passato, facendo emergere il peso di scelte sbagliate e di rapporti distrutti..

COSA MI RIMANE?

MINUTAGGIO: 1:46:30-1:48:30
RUOLO: Detective

ATTORE: Olaf Lubaszenko
DOVE: Netflix


ITALIANO



Non hanno più bisogno di me. Tu hai delle nuove mostrine, e io? Torno a essere un civile con un discutibile passato, e un paio di denunce. Non lo so, questo è il solo lavoro che so fare bene... Sono stato un pessimo marito, e anche un pessimo padre. Sono riuscito a deludere anche mia madre. Sarebbe bastato che avessi fatto una sola cosa, e sarebbe stata orgogliosa di me. Stava morendo a venti Kilometri di distanza, mentre io stavo dando la caccia a qualche esponente minore di Solidarsnosc. Non mi importava delle promozioni, o delle Mercedes che mi regalavano, ero solo bravo a fare una cosa. E sai cosa? Vedere attraverso le maschere della gente. Potevo sentire l'odore del marcio nascosto in chiunque. Perché sapevo che tutti, in fondo, erano bugiardi quanto me.

NAPAD - LA RAPINA

"Napad - La Rapina" è un crime drama polacco che immerge lo spettatore in un mondo di tensioni e sottili giochi di potere, mettendo al centro un ex-detective caduto in disgrazia negli anni '90. Diretto da Michal Gazda, il film si apre in un periodo di trasformazione per la Polonia, un contesto socio-politico che fa da sfondo perfetto per il thriller. La trama segue il percorso di redenzione del detective, interpretato da Olaf Lubaszenko, che, appena licenziato con disonore, riceve un’offerta che può riabilitarlo.


Quando un gruppo di rapinatori sfida l'autorità locale con un attacco ad una banca, il detective vede in questa operazione la sua unica occasione per dimostrare il proprio valore. Il compito non è dei più semplici: la squadra dei rapinatori è ben organizzata e agisce in modo quasi chirurgico. Ogni errore, ogni imprecisione, potrebbe rivelarsi fatale, soprattutto con la pressione della stampa pronta a mettere in discussione l’intera operazione.


L'arrivo di una giovane poliziotta assegnata al caso aggiunge un ulteriore strato. La sua inesperienza, affiancata però da uno sguardo nuovo e motivato, rappresenta per il detective sia un potenziale alleato sia una fonte di ulteriore pressione. C'è una delicatezza nel loro rapporto, segnato dalla differenza generazionale e di approccio alla giustizia: lei intravede in lui uno strumento per imparare i trucchi del mestiere, mentre lui deve decidere se fare affidamento su di lei o seguire l’istinto del lupo solitario.

ANALISI MONOLOGO

In questo monologo di Olaf Lubaszenko, il protagonista si svela in una confessione brutale e malinconica che arriva come uno sfogo, ma anche come un momento di riflessione sul proprio fallimento personale e professionale. La forza del discorso è tutta nell'ammissione cruda e senza fronzoli dei propri errori e della consapevolezza di un percorso di vita che sembra non avere un ritorno.


La frase d’apertura, “Non hanno più bisogno di me,” ci aiuta perché segna il distacco tra il protagonista e la sua identità professionale. Qui l’ex-detective esprime l’amarezza di essere stato messo da parte in un mondo che si trasforma velocemente, dove i "vecchi lupi" della polizia non sono più considerati necessari. La sua delusione è palpabile, e lascia intendere quanto il protagonista percepisca il lavoro come una parte inscindibile di sé stesso, qualcosa che ha definito la sua esistenza, al punto che senza di esso si sente perso.


In questa frase Olaf lascia trasparire un dolore che va oltre la carriera. Qui emerge un uomo che non ha saputo costruire altro oltre al lavoro: ha sacrificato gli affetti e la famiglia per un mestiere che, alla fine, non ha portato il riconoscimento che avrebbe sperato. È una sorta di condanna autoinflitta, una consapevolezza che pesa sul personaggio come una condanna perpetua. È interessante come la sua percezione del fallimento familiare sia immediatamente legata al concetto di delusione, soprattutto verso la madre. Questo ci fa intuire che il protagonista vive in modo quasi ossessivo il desiderio di approvazione, non solo dalle istituzioni per cui ha lavorato ma anche dai propri cari. “Stava morendo a venti chilometri di distanza…” Questo passaggio è uno dei più dolorosi. La scelta di ricordare la madre morente mentre lui era impegnato in una missione futile evidenzia la profonda frattura tra ciò che il protagonista ha sacrificato e ciò che ha effettivamente ottenuto. Il riferimento a Solidarnosc aggiunge un peso storico e sociale, collocando l’uomo in un contesto di repressione politica e in un ruolo che, col senno di poi, appare quasi insignificante rispetto ai valori umani.


“Ero solo bravo a fare una cosa…” La frase sottolinea il lato disumanizzante del suo ruolo. Lui non ha lavorato per i vantaggi materiali, come le Mercedes e le promozioni, ma perché aveva sviluppato una competenza unica e, allo stesso tempo, distorta: vedere oltre le facciate delle persone. Qui traspare il conflitto interiore tra un uomo che percepisce il proprio ruolo come una “maledizione” e la sua incapacità di fare altro, di costruire un’identità oltre quel talento “oscurante” che lo ha privato della possibilità di fidarsi degli altri.


“Potevo sentire l’odore del marcio… Perché sapevo che tutti… erano bugiardi quanto me”

Il climax emotivo è raggiunto qui: il protagonista svela la sua intima convinzione che la corruzione e la falsità siano universali, un riflesso di ciò che sente dentro di sé. È un momento in cui il detective si ammette bugiardo tanto quanto coloro che disprezza, una bugia che forse ha costruito prima verso sé stesso e che gli ha permesso di giustificare anni di scelte sbagliate.

SUGGERIMENTI PER L'INTERPRETAZIONE

Interpretare questo monologo richiede un approccio sfaccettato, un lavoro di costruzione che parta dall’interiorità del personaggio e si esprima attraverso sottili gesti, variazioni di tono, e un controllo profondo dell’emotività.


1. Impostazione del Ritmo e Tono Iniziale

Il tono di voce dovrebbe iniziare spento, quasi in sordina. La frase “Non hanno più bisogno di me” non dovrebbe suonare come un’ammissione di sconfitta ma come una constatazione amara, come se il personaggio stesse prendendo coscienza di una realtà scomoda. Inizia con una voce bassa, dal ritmo lento, quasi trascinato.

L’intonazione iniziale deve trasmettere rassegnazione: il personaggio sa di non essere più considerato utile e sta riflettendo su come questo colpisca la sua identità.


2. Gestione del Corpo e Linguaggio Non Verbale

Adotta una postura chiusa, magari con le spalle leggermente ricurve, le mani che si muovono poco, quasi contenute, come se il peso dei rimpianti stesse fisicamente gravando su di lui.

Usa gli occhi per esprimere il rimpianto: evita di guardare chi ascolta troppo a lungo, e alterna sguardi fugaci al pavimento, quasi a voler evitare il giudizio. Puoi anche decidere di far distogliere lo sguardo quando parla della famiglia o della madre, un segno di vergogna e dolore inespressi.


3. Ritmo e Tono nella Parte Centrale

Con la frase “Sono stato un pessimo marito, e anche un pessimo padre,” inizia una pausa più lunga. Fai in modo che ogni parola pesi, come se il personaggio stesse davvero rendendosi conto delle sue mancanze solo ora. Questo è un momento in cui il ritmo diventa più lento, per dare al pubblico il tempo di “sentire” l’amarezza che si insinua nel suo tono.

Usa un tono leggermente rotto, un po' tremolante, che però cerchi di mantenere un’apparenza di fermezza. Qui non si tratta di esplodere in lacrime, ma di mostrare un tentativo di contenimento emotivo che a tratti sfugge.


4. Il Momento di Dolore Intenso: La Confessione sulla Madre

La frase sulla madre è il picco emotivo: fermati per un secondo prima di pronunciarla, quasi come se dovessi trovare il coraggio per dirla. Abbassa leggermente il tono della voce, rendilo più vulnerabile.

Qui puoi lasciare che il volto mostri dolore, quasi incrinato, come se ogni parola fosse una lama. Può essere utile un respiro più pesante, o una pausa che sottolinei il peso emotivo.

Non servono gesti eccessivi: l’impatto di questa rivelazione arriva dalla tensione interna. Mantieni lo sguardo fisso a terra o rivolto verso un punto lontano, come se il personaggio vedesse l’immagine di quel momento.


5. L’amarezza e il Disgusto Verso Sé Stesso

Quando dice “Ero solo bravo a fare una cosa” e “Vedere attraverso le maschere della gente,” il tono dovrebbe diventare leggermente più duro. Qui emerge l’amarezza, quasi il disprezzo verso sé stesso e verso quel “talento” che lo ha privato della possibilità di costruire legami veri.

Usa una voce ferma, carica di cinismo, come se fosse uno sforzo controllato per non lasciarsi andare. È il momento in cui l’autocritica diventa anche autoaccusa: non ha più niente da nascondere.


6. La Rivelazione Finale: Il Disgusto Universale

La battuta finale, “Perché sapevo che tutti, in fondo, erano bugiardi quanto me,” è il colpo di grazia, sia per il pubblico sia per il personaggio. Qui il tono si abbassa ulteriormente, quasi come un sussurro. È un momento di totale vulnerabilità.

Fai una pausa tra “in fondo” e “erano bugiardi quanto me”: quella pausa serve a lasciar affiorare il vero senso di ciò che sta dicendo, come se stesse ammettendo per la prima volta che quel disprezzo verso gli altri nasce proprio dalla propria ipocrisia.

Dopo questa frase, puoi decidere di rimanere fermo e in silenzio per qualche istante, lasciando che il pubblico assimili la confessione.


7. Uso del Respiro e della Voce

La respirazione durante il monologo è fondamentale: mantienila inizialmente controllata, quasi trattenuta, ma lasciala diventare più pesante e visibile man mano che emerge il dolore e il disincanto.

Vari il volume e il timbro: passa da una voce quasi impercettibile nelle frasi più introspettive a un tono duro e deciso nelle frasi che rivelano disprezzo o cinismo.


8. Conclusione e Abbandono della Scena

Una volta concluso il monologo, lascia che il personaggio resti un attimo sospeso, come se la confessione lo avesse svuotato di ogni energia. Evita movimenti bruschi, e non guardare chi ascolta: il personaggio è totalmente rivolto verso sé stesso.

CONCLUSIONE

Questo monologo rappresenta l'apice emotivo del personaggio, un momento di resa che porta il pubblico a confrontarsi con un uomo profondamente imperfetto, ma umano. La sua ammissione finale, dove rivela di vedere in tutti gli altri le bugie che riconosce in sé stesso, è una confessione tanto disarmante quanto tragica. Il personaggio rimane, alla fine, sospeso tra il rimorso e la consapevolezza di essere stato parte di un sistema corrotto, che lo ha segnato senza possibilità di redenzione.

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