Monologo Maschile - \"E noi come stronzi rimanemmo a guardare\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

In "E noi come stronzi rimanemmo a guardare", il monologo di Giampiero Clementucci è un momento di grande intensità emotiva e critica sociale. Giampiero, rappresenta la disillusione di un’intera generazione schiacciata dall’automazione e dalla perdita di identità nel mondo del lavoro. Attraverso un discorso apparentemente casuale, ma pieno di rassegnazione e amarezza, Giampiero racconta ad Arturo la sua storia e, al contempo, offre un avvertimento sul futuro che attende una società passiva e priva di coraggio.

E noi...

MINUTAGGIO: 1:30:55-1:33:00
RUOLO: Gianpiero

ATTORE: Maurizio Marchetti
DOVE: Netflix


ITALIANO


Non si chiama Stella, ma si chiama Flora. Il suo vero nome è Flora. Noi qui sul lavoro usiamo un altro nome, un nome d’arte, come gli attori di cinema. Io non mi chiamo prima Jean Pierre. Io mi chiamo Gianpiero. Gianpiero Clementucci. In realtà nasco geometra. Si. Amministravo condomini. Ed ero molto apprezzato, sai. Si, poi hanno deciso di… affidare tutto a un software. No, questo alla fine è un buon lavoro. A parte la lontananza. I ritmi un po ' serrati. Però è un buon compromesso, no? Alla fine ognuno campa come può. Ecco, si, si, me lo dico anche io. Per resistere qua. Però, Arturo, non è giusto. No, perché vedi… un domani, magari, le cose potrebbero essere peggiori di queste. E poi ancora peggio, e peggio, e quando questo avverrà, perché avverrà, Arturo, noi che tutto questo peggio l’abbiamo visto crescere, ci domanderemo: “Che cosa abbiamo fatto noi per arginarlo”? E sai cosa ci risponderemo: “E noi come stronzi rimanemmo a guardare!” Scusa, scusa… mi sono lasciato andare. Ma io ero sindacalista da giovane.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare

"E noi come stronzi rimanemmo a guardare" è un film del 2021 diretto da Pierfrancesco "Pif" Diliberto, una commedia distopica che esplora con amara ironia il tema della tecnologia invasiva e delle conseguenze sociali dell’automazione e dell’iperconnessione.


La trama ruota attorno a un protagonista, Arturo, interpretato da Fabio De Luigi, un manager di successo che perde il lavoro proprio a causa di un algoritmo da lui stesso sviluppato. Il sistema automatizzato rende infatti obsoleta la sua posizione, un paradosso che lo getta in una spirale di insicurezza e alienazione. Arturo si ritrova a fare lavori precari e a vivere una vita isolata in una società dominata da tecnologie invasive che regolano ogni aspetto dell’esistenza.


Nel tentativo di combattere la solitudine, Arturo scarica un'app che gli offre l’illusione di un’amica virtuale, Sole (interpretata da Ilenia Pastorelli), un’intelligenza artificiale progettata per adattarsi alle esigenze emotive dell'utente. Sole è programmata per essere perfetta, empatica, attenta, e Arturo si ritrova a sviluppare un attaccamento sincero verso di lei. Questa relazione virtuale sottolinea quanto sia disperato il bisogno di connessioni umane in un mondo dove i rapporti sono sempre più filtrati da schermi e algoritmi.


La trama procede a rivelare il paradosso di Arturo, che, nonostante viva in un mondo ipertecnologico, sperimenta una crescente disumanizzazione. Sole, con la sua perfezione artificiale, diventa il simbolo di una compagnia idealizzata ma fondamentalmente vuota, evidenziando il lato oscuro di un’umanità sempre più dipendente dalle macchine e meno connessa tra persone reali.


L’elemento distopico risiede proprio in questo sistema in cui l’individuo è solo un ingranaggio del meccanismo tecnologico, privo di identità e sacrificabile, un tema che, trattato con sarcasmo e ironia, si rivela estremamente attuale. Pif, con il suo tocco comico e dissacrante, riesce a stimolare una riflessione profonda sul futuro della nostra società, che sembra proiettata verso un’esistenza sempre più digitalizzata ma, al contempo, sempre più spersonalizzata.

Analisi monologo

Questo monologo, interpretato da un personaggio secondario nel film, ha un impatto potente perché, sotto un’apparente normalità, rivela l’assurdità e la sofferenza che nascono dalla disumanizzazione portata dalla tecnologia.

Iniziamo con il contesto del monologo: Giampiero Clementucci, che si presenta con un nome “d’arte”, è un lavoratore che ha perso la sua identità autentica a causa delle richieste del suo lavoro attuale.


Da geometra apprezzato, con un ruolo definito e utile nella gestione di condomini, è stato costretto a reinventarsi come lavoratore di basso livello in un contesto quasi caricaturale. Il fatto che cambi nome, da Giampiero a Jean Pierre, sottolinea la distanza tra il lavoro che faceva e quello che è costretto a fare, come se la sua identità avesse perso significato e fosse ormai solo una maschera.


C’è poi un tema di disillusione amara nel passaggio in cui racconta di aver “resistito” e di aver trovato questo nuovo lavoro come un “buon compromesso”. “Ognuno campa come può” esprime un senso di rassegnazione, quasi una resa alle logiche spietate del mercato e alla mancanza di alternative. Per Giampiero, il lavoro è un compromesso di sopravvivenza. Le sue parole riflettono una profonda perdita di significato: quello che un tempo era un lavoro stabile e rispettabile è stato sostituito da un sistema di efficienza che ha reso l’essere umano sacrificabile.


Il monologo si apre poi alla riflessione sull’impatto di queste trasformazioni: “Un domani, magari, le cose potrebbero essere peggiori di queste…”. Qui Giampiero parla da ex sindacalista, rievocando un passato in cui aveva la forza e il coraggio di resistere a queste dinamiche. Il suo è un appello alla consapevolezza, alla necessità di svegliarsi e fare qualcosa per arginare un sistema che sta, inesorabilmente, peggiorando. La frase “quando questo avverrà, perché avverrà” ha una nota di disperazione quasi profetica: Giampiero vede davanti a sé una deriva inevitabile, e la sua consapevolezza che “tutto questo peggio l’abbiamo visto crescere” fa emergere una critica sociale aspra.


La battuta finale, “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, è un’accusa amara e disincantata a una società che osserva passivamente i cambiamenti senza reagire, senza avere il coraggio di fermare una discesa verso una sempre maggiore alienazione. È l’ammissione di un fallimento collettivo e personale: Giampiero sa di essere parte di questo meccanismo, eppure sente di aver tradito la sua stessa capacità di lottare, quella passione che aveva “da giovane” quando era sindacalista.

Conclusione

Interpretare il monologo di Giampiero richiede di padroneggiare un equilibrio tra rassegnazione e urgenza, tra amara consapevolezza e una speranza ormai flebile. L’attore deve riuscire a trasmettere il peso di un uomo che ha visto il proprio mondo sgretolarsi, costretto a rinunciare ai propri valori e al proprio ruolo nella società. Nella battuta “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, Giampiero ricorda a chi ascolta l’importanza di non restare passivi di fronte a ciò che si sente ingiusto.

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