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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo, pronunciato dall’Intellettuale (interpretato da Jean Rougeul) in Otto e Mezzo, rappresenta uno dei momenti più critici per Guido Anselmi. Dopo aver trascorso gran parte del film immerso nel caos della sua crisi creativa, il protagonista si confronta con una visione radicale e distruttiva dell’arte e della vita. L’Intellettuale incarna il cinismo della critica e dell’autoconsapevolezza estrema, suggerendo che se un’opera non può essere perfetta, allora è meglio che non esista affatto.
MINUTAGGIO: 2:03:15-2:06:30
RUOLO: L'intelluale
ATTORE: Jean Rougeul
DOVE: Netflix
ITALIANO
Lei ha fatto benissimo, mi creda, oggi è una buona giornata per lei. Sono delle decisioni che costano, lo so, ma noi intellettuali, dico noi perché la considero tale, abbiamo il dovere di rimanere lucidi fino alla fine. Ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. In fondo perdere dei soldi fa parte del mestiere di produttore. I miei rallegramenti, non c'era altro da fare, e lui ha ciò che si merita, per essersi imbarcato con tanta leggerezza in un'avventura così poco seria. No, mi creda, non abbia né nostalgia né rimorsi, distruggere è meglio che creare quando non si creano le poche cose necessarie. E poi, c'è qualcosa di così chiaro e giusto al mondo che abbia il diritto di vivere? Un film sbagliato per lui non è che un fatto economico, ma per lei, al punto in cui è arrivato, poteva essere la fine. Meglio lasciar andare giù tutto e far spargere sale come facevano gli antichi per purificare i campi di battaglia. In fondo avremmo solo bisogno di un po' di igiene, di pulizia, di disinfettare. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un'artista, veramente degno di questo nome, non bisognerebbe chiedere che quest'atto di lealtà: educarsi al silenzio. Ricorda l'elogio di Mallarmé alla pagina bianca? e di Rimbaud? un poeta mio caro, non un regista cinematografico, lo sa di Rimbaud quando ha finito una poesia, la sua rinuncia a continuare a scrivere, la sua partenza per l'Africa? Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione. Mi perdoni quest'eccesso di citazioni, ma noi critici facciamo quello che possiamo. La nostra vera missione è spazzare via le migliaia di aborti che ogni giorno, oscenamente, tentano di venire al mondo. E lei vorrebbe addirittura lasciare dietro di sé un intero film, come lo sciancato si lascia dietro la sua impronta deforme? Che mostruosa presunzione credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo dei suoi errori. E a lei che cosa importa cucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vaghi ricordi, o i volti delle persone che non ha saputo amare mai?
"Otto e Mezzo" (1963) di Federico Fellini è un viaggio nella mente di un regista in crisi creativa ed esistenziale. La trama segue Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), un affermato cineasta che, dopo il successo dei suoi film precedenti, si trova bloccato nella realizzazione del suo nuovo progetto. Ritiratosi in una località termale per rilassarsi e trovare ispirazione, viene costantemente assediato da produttori, attori e giornalisti che lo pressano per avere risposte sul film, mentre lui stesso è paralizzato dall’incertezza.
La narrazione si sviluppa alternando presente, sogni, ricordi e fantasie, componendo un mosaico frammentato che riflette il caos interiore di Guido. Il protagonista si muove tra la moglie Luisa (Anouk Aimée), stanca delle sue bugie e infedeltà, e l’amante Carla (Sandra Milo), con cui vive un rapporto superficiale e passionale. Nel frattempo, l’ideale femminile e salvifico è incarnato da Claudia (Claudia Cardinale), un’attrice che Guido immagina come la musa perfetta per il suo film, ma che in realtà non può offrirgli nessuna risposta concreta.
Il film procede come un flusso di coscienza, in cui il protagonista si rifugia nei suoi ricordi d’infanzia, nelle visioni oniriche e nelle proprie insicurezze. Il punto di svolta arriva quando Guido, sopraffatto dalle pressioni e dalla consapevolezza della propria incapacità di dare un senso alla sua opera, decide di annullare il film. Ma proprio nel momento in cui sembra aver toccato il fondo, arriva un’epifania: accettare il caos della vita e della creatività. Il film si chiude con una scena corale in cui Guido, riconciliatosi con sé stesso, guida un enorme cerchio di personaggi in una danza che celebra l’esistenza così com’è: confusa, dolorosa, ma anche piena di bellezza e gioco. "Otto e Mezzo" è una riflessione sul processo creativo, sull’identità e sull’incapacità di separare arte e vita. Fellini costruisce un film che non segue una narrazione lineare, ma si sviluppa come un sogno, portando lo spettatore dentro la mente di un uomo che cerca disperatamente di dare ordine al proprio mondo interiore.
Il discorso dell’Intellettuale inizia con un’apparente solidarietà: “Ha fatto benissimo, mi creda, oggi è una buona giornata per lei”. Il tono è rassicurante, quasi paternalistico, ma il messaggio è spietato: la rinuncia di Guido al suo film è vista come un atto di lucidità, non di fallimento. L’idea che “distruggere è meglio che creare quando non si creano le poche cose necessarie” è il cuore della sua argomentazione.
Non c’è spazio per il tentativo, per l’imperfezione, per il dubbio: l’arte è una questione di rigore assoluto, e se non si può raggiungere la perfezione, meglio non fare nulla. Il riferimento all’“igiene” e alla “disinfezione” introduce un’immagine quasi totalitaria della critica, come se il compito dell’intellettuale fosse quello di ripulire il mondo da ciò che è superfluo. Qui Fellini fa emergere una delle questioni centrali del film: la creazione artistica è sempre un processo caotico e imperfetto, mentre la critica, nella sua rigidità, rischia di soffocarla. L’Intellettuale parla come se la sua fosse una verità assoluta, citando Mallarmé e Rimbaud per sostenere la superiorità del silenzio rispetto all’atto creativo. Ma questa visione estrema non tiene conto del fatto che l’arte nasce proprio dall’incertezza e dall’errore.
La parte finale del monologo diventa un attacco diretto a Guido: “E lei vorrebbe addirittura lasciare dietro di sé un intero film, come lo sciancato si lascia dietro la sua impronta deforme?”. Qui il giudizio si fa brutale: il film non è solo imperfetto, è un mostro, una deformità che non merita di esistere. L’Intellettuale riduce la creazione artistica a una forma di presunzione, insinuando che Guido non ha mai veramente amato nessuno e che il suo tentativo di mettere in scena la propria vita sia solo un gesto egoistico e inutile.
Questo monologo rappresenta il punto più oscuro del film, il momento in cui Guido si confronta con il pensiero che la sua arte non abbia senso e che il silenzio sia l’unica scelta possibile. L’Intellettuale è la personificazione della voce interiore che lo spinge ad arrendersi, ma la sua rigidità lo rende anche il simbolo di una visione sterile e inumana dell’arte. Fellini, attraverso questo discorso, mette in discussione il ruolo della critica e la sua tendenza a distruggere anziché comprendere. L’arte, nella visione del film, non è fatta di purezza assoluta, ma di tentativi, di errori, di frammenti che, messi insieme, possono dare forma a qualcosa di vero. E infatti, nonostante le parole dell’Intellettuale, Guido sceglierà di continuare a vivere e creare, accettando la propria confusione e il proprio caos. Questo è il vero rifiuto di Otto e Mezzo nei confronti della sterilità dell’intellettualismo: il cinema, come la vita, non ha bisogno di essere perfetto, ma di esistere.
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