Monologo maschile - Ryan Reynolds in \"Woman in gold\"

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Articolo a cura di...


~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Eccoci davanti a uno dei momenti più emblematici e densi del film Woman in Gold. Questo monologo viene pronunciato da Randy Schoenberg, interpretato da Ryan Reynolds, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. E vale la pena prenderlo sul serio, perché in questa manciata di frasi si condensa il vero cuore del film: una lotta per il riconoscimento di una verità storica sepolta da anni di silenzi, burocrazia e paura diplomatica. Il contesto in cui si inserisce questo monologo è quello dell'udienza decisiva alla Corte Suprema. Dopo anni di resistenze, ostacoli legali e scontri diplomatici, Randy si trova di fronte ai giudici più importanti d’America per sostenere la causa di Maria Altmann. E lo fa con un tono calmo ma fermo, mettendo al centro non solo la legge, ma anche la dimensione umana del caso.

Signori della corte...

MINUTAGGIO: 1:17:49 - 1:18:40

RUOLO: Randy Schoenberg
ATTORE:
Ryan Reynolds
DOVE: Amazon Prime Video



ITALIANO


Le preoccupazioni del governo ci stanno molto a cuore, signor Presidente della Corte. Comprendiamo le motivazioni del governo: è come scoperchiare un vaso di Pandora. Ogni paese è diverso. Ogni paese impone diverse condizioni. Ma a diƯerenza di Cuba, in Austria vige già un trattato: non ci sono dispute riguardo alla legge da applicare. Noi raccomandiamo di aprire il vaso ed estrarre solo questo piccolo caso con un paio di pinzette e poi richiuderlo immediatamente. Hanno provato a frustrare ogni nostro tentativo sollevando ogni possibile obiezione, minacciando un’ecatombe nelle relazioni internazionali. Ma guardiamola nella giusta prospettiva: questo è il caso di una donna che rivorrebbe quello che le appartiene di diritto. La signora Altmann è venuta in America quando era giovane in cerca di pace: diamole anche giustizia, signore.

Woman in gold

Woman in Gold” è un film del 2015 diretto da Simon Curtis, ispirato a una storia vera. La trama ruota attorno a Maria Altmann, (Helen Mirren), una donna ebrea austriaca sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale, che negli anni 2000 intraprende una lunga battaglia legale per reclamare un quadro molto particolare: il Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, realizzato da Gustav Klimt. Il dipinto – uno dei più celebri dell’artista – ritrae sua zia, Adele Bloch-Bauer, ed è stato confiscato dai nazisti durante l’Anschluss, quando l’Austria fu annessa alla Germania hitleriana. Dopo la guerra, il quadro è rimasto esposto in un museo di Vienna, considerato parte del patrimonio culturale nazionale. Ma per Maria, quel quadro non era un semplice capolavoro: era un pezzo della sua famiglia, della sua storia, della sua identità rubata.


Accanto a lei in questa battaglia legale c’è Randy Schoenberg, un giovane e un po’ impacciato avvocato americano, interpretato da Ryan Reynolds, che inizialmente prende il caso quasi per caso, ma poi si ritrova sempre più coinvolto, sia emotivamente che professionalmente. La trama si muove su due livelli temporali: da una parte seguiamo il percorso giudiziario, che porta i due fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti, e dall’altra ci vengono mostrati flashback della giovinezza di Maria a Vienna, dell’invasione nazista e della fuga della sua famiglia. Questo doppio binario serve per dare spessore alla questione centrale del film: non si tratta solo di arte, ma di memoria, perdita e giustizia.


La forza del film sta proprio nel mostrare come un’opera d’arte possa diventare un campo di battaglia tra memoria personale e identità collettiva, tra giustizia e burocrazia, tra ciò che è giusto e ciò che è legalmente accettabile. Anche se il titolo parla della “donna in oro”, la vera protagonista è la donna che ha perso tutto – e che decide, molto tempo dopo, di riprenderselo.

Analisi Monologo

Le preoccupazioni del governo ci stanno molto a cuore, signor Presidente della Corte.” Apre con una mossa intelligente. Non sfida apertamente il governo, non si oppone con arroganza. Mostra comprensione, empatia istituzionale. È un modo per togliere terreno al nemico senza sembrare aggressivo. Sta dicendo: Non siamo qui a minacciare l’equilibrio internazionale. ...è come scoperchiare un vaso di Pandora. Ogni paese è diverso. Ogni paese impone diverse condizioni.” Qui prende in prestito un’immagine mitologica molto forte. Scoperchiare il vaso di Pandora significa liberare tutte le sventure del mondo: e infatti la preoccupazione del governo è proprio quella, che questo caso possa diventare un precedente ingestibile. Ma è una mossa retorica sottile: Schoenberg non nega il rischio, lo riconosce. E proprio per questo propone un’altra immagine: “...raccomandiamo di aprire il vaso ed estrarre solo questo piccolo caso con un paio di pinzette e poi richiuderlo immediatamente.


Questo è il cuore strategico del monologo. L’immagine delle pinzette è chirurgica, precisa. È come dire: Non faremo esplodere nulla. Vogliamo solo tirare fuori questo caso, così chiaro e circoscritto, senza compromettere tutto il sistema. Hanno provato a frustrare ogni nostro tentativo sollevando ogni possibile obiezione, minacciando un’ecatombe nelle relazioni internazionali.” Qui cambia tono. Passa dall'empatia alla denuncia. Le autorità austriache hanno usato ogni mezzo per bloccarli. E il termine “ecatombe” dà la misura della sproporzione tra la richiesta (la restituzione di un quadro) e la reazione (un potenziale disastro diplomatico). È come se dicesse: Guardate l’assurdità di questa situazione. Ma guardiamola nella giusta prospettiva: questo è il caso di una donna che rivorrebbe quello che le appartiene di diritto.” La frase che riequilibra tutto. Dopo discussioni legali, preoccupazioni internazionali, tatticismi, si torna al punto: una donna, una vittima, una perdita. È un modo per riportare l’attenzione sulla giustizia, sul concreto, sul personale. “La signora Altmann è venuta in America quando era giovane in cerca di pace: diamole anche giustizia, signore.” La chiusa è pulita, dritta, umana. Non chiede pietà, non alza la voce. Chiede coerenza: se l’America è un paese che accoglie chi fugge dalla guerra, allora sia anche un paese che restituisce ciò che è stato tolto.

Conclusione

Questo monologo funziona per due motivi. Primo: è scritto con precisione, bilanciando logica giuridica e forza emotiva. Secondo: Reynolds riesce a renderlo credibile, restando nei limiti del personaggio, senza strafare. Siamo davanti a una scena che non punta a colpire con pathos teatrale, ma a convincere con lucidità. La vera forza qui non è l’eloquenza, ma la semplicità. Il monologo è costruito come un ponte tra passato e presente, tra la giustizia formale e quella morale.

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