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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Joe Cabot sulla scelta dei nomi in codice arriva in un momento apparentemente organizzativo, quasi burocratico, ma segna un passaggio fondamentale nella dinamica del gruppo. Siamo nel flashback in cui il colpo viene pianificato, e Joe – il boss che coordina la rapina – sta stabilendo le regole fondamentali. È un momento di esposizione narrativa mascherato da dialogo, ma in realtà è una dichiarazione d’intenti sul tono del film: qui non c’è spazio per l’amicizia, né per le emozioni.
MINUTAGGIO:
RUOLO: Joe Cabot
ATTORE: Lawrence Tierney
DOVE: Amazon Prime Video
INGLESE
You guys like to tell jokes and giggle and kid around, huh? Giggling like a bunch of young broads in the school yard. Well, let me tell a joke. Five guys sitting in a bullpen in San Quentin wondering how the f*ck they got there. "What did we do wrong? What shoulda we done? What didn't we do? "It's your fault, my fault, his fault." All that bullshit. Finally someone comes up with the idea, "Wait a minute, "while we were planning this caper, all we did was sit around and tell f*cking jokes." Got the message? Fellas, I don't mean to holler at you. When this caper's over, and I'm sure it's gonna be a successful one, hell, we'll go down the Hawaiian islands, I'll laugh with all of you. You'll find me a different character there. Right now, it's a matter of business. With the exception of Eddie and myself, who you already know, we're gonna be using aliases on this job. Under no circumstances do I want any one of you to relate to each other by your Christian names, and I don't want any talk about yourself personally. That includes where you been, your wife's name, where you might have done time, or a bank that you robbed in St Petersburg. All I want you guys to talk about if you have to, is what you're gonna do. That should do it. Here are your names. Mr Brown, Mr White, Mr Blonde, Mr Blue, Mr Orange, - and Mr Pink.
ITALIANO
Ah, vi divertite a raccontare barzellette, a ridere e scherzare, eh? A stronzeggiare come un mucchio di scolarette alla ricreazione. Vi dico io una barzelletta: ci sono sei ragazzi chiusi al fresco, a San Quintino, che si chiedono come cazzo ci sono finiti. "Dove abbiamo sbagliato?", "Cosa avremmo dovuto fare?", "Cosa non abbiamo fatto?", "Colpa tua!", "Colpa sua!", stronzate del genere. Finché a qualcuno viene un sospetto: "Ehi, un momento! Mentre si preparava il colpo non facevamo altro che ridere e stronzeggiare". È arrivato il messaggio? Non mi va di rimproverarvi. Quando il colpo sarà stato fatto, e sono sicuro che sarà un successo, ce ne andremo alle Hawaii, e là me la spasserò insieme a voi. Mi scoprirete diverso quando saremo là, ma per ora qui si parla d'affari. Con l'eccezione di Eddie e del sottoscritto, che voi già conoscete, useremo nomi fittizi per questo lavoro. In nessuna circostanza ammetterò che chiunque di voi si rivolga ad un altro chiamandolo per nome. E non voglio nemmeno che parliate di questioni personali, compreso: da dove venite, come si chiama vostra moglie, dove siete stati dentro, o anche, per esempio, quale banca avete rapinato chissà dove. Voglio che parliate solo, se è proprio necessario, di quello che dovrete fare, e basta. Ecco i vostri nomi: Mr. Brown, Mr. White, Mr. Blonde, Mr. Blue, Mr. Orange e Mr. Pink.
“Le iene” (titolo originale Reservoir Dogs) è il primo lungometraggio di Quentin Tarantino, uscito nel 1992. È un film che si muove dentro e fuori la struttura classica del gangster movie, costruendo il racconto attorno a un evento che, paradossalmente, non viene mai mostrato: una rapina andata storta.
Un gruppo di criminali viene assoldato da un uomo d’affari di nome Joe Cabot e da suo figlio "Nice Guy Eddie" per rapinare una gioielleria. I membri del gruppo non si conoscono tra loro e vengono identificati solo con nomi in codice basati su colori: Mr. White, Mr. Orange, Mr. Blonde, Mr. Pink, Mr. Brown e Mr. Blue. L’obiettivo è chiaro: entrare, prendere i diamanti, uscire senza lasciare tracce. Ma qualcosa va storto. Quando la rapina comincia, la polizia arriva troppo in fretta. Alcuni membri del gruppo vengono uccisi. Gli altri scappano e si ritrovano in un magazzino abbandonato, che funge da rifugio temporaneo. Ed è qui che si gioca gran parte del film.
Nel magazzino emergono tensioni, sospetti, ferite. Il mistero ruota attorno a una sola domanda: c’è un infiltrato tra loro? Mr. White arriva con Mr. Orange gravemente ferito. Mr. Pink sospetta che qualcuno abbia parlato. Mr. Blonde, invece, sembra godersi il caos — e nasconde un poliziotto nel bagagliaio della sua macchina. Man mano che i personaggi si confrontano, il film si srotola attraverso una serie di flashback che ci mostrano il reclutamento dei vari membri del gruppo e ci danno indizi su chi siano davvero. È un puzzle narrativo che si compone lentamente, scena dopo scena.
Tarantino mette subito in chiaro, già al suo esordio, uno degli elementi che diventeranno un suo marchio di fabbrica: la narrazione frammentata. Non vediamo mai la rapina, ma ne percepiamo gli effetti: il sangue, la paura, la rabbia. Lo spettatore si muove avanti e indietro nel tempo, cercando di mettere insieme i pezzi. Questa scelta non è solo stilistica, ma serve a spostare l’attenzione dal “cosa succede” al “perché succede” e soprattutto a come reagiscono i personaggi davanti alla tensione crescente.
“Ah, vi divertite a raccontare barzellette…” L’attacco è sarcastico, quasi paternalistico. Joe rimprovera il gruppo come un insegnante esasperato davanti a studenti che non prendono sul serio la lezione. Il tono non è solo arrabbiato, è disilluso. Non sta solo sgridando: sta dicendo che in questo tipo di affari, chi non prende sul serio le regole, finisce male. E infatti la metafora del carcere arriva subito dopo, diretta, secca. “Ci sono sei ragazzi chiusi al fresco, a San Quintino…” Qui Tarantino usa la minaccia indiretta. Non è Joe che dice: “se fate i cretini finirete male”, ma lo fa attraverso la costruzione di una “barzelletta”, che però ha zero punchline. La comicità è spenta. L’umorismo è diventato un meccanismo per ribadire la gravità del contesto. È una falsa leggerezza che serve a inquadrare meglio il pericolo.
Poi si entra nel cuore del monologo: i nomi in codice. “Con l'eccezione di Eddie e del sottoscritto […] useremo nomi fittizi.” Questa scelta, apparentemente sensata per proteggere l’identità dei partecipanti, in realtà è anche un gesto di potere. Joe sta togliendo loro l’identità, li rende anonimi, interscambiabili, sacrificabili. Non esistono più le persone: esistono solo funzioni. Mr. White è quello che spara bene. Mr. Pink è quello paranoico. Mr. Blonde è il matto. Questa spersonalizzazione serve a eliminare il rischio di legami personali, ma diventa anche un acceleratore di sospetto: come fai a fidarti di uno di cui non sai nemmeno il nome? Ed è proprio questo che scatenerà l’inferno più avanti.
“Non voglio nemmeno che parliate di questioni personali…” Qui c’è un ulteriore passo: non solo i nomi, ma nemmeno le storie personali devono entrare nella conversazione. È un tentativo di rendere il gruppo una macchina, un sistema chiuso. Ma il problema è che queste persone non sono macchine. Sono esseri umani pieni di nervi, paure, ego, e identità da proteggere o da dimostrare. E infatti, uno dei motivi per cui tutto crolla, è proprio perché qualcuno non riesce a separarsi dalla propria identità. Spoiler: Mr. Orange.
Il monologo di Joe è la sintesi del fallimento annunciato del gruppo. Nel tentativo di creare un sistema sicuro, Joe impone regole che disumanizzano i partecipanti. Ma queste regole si scontrano con l’istinto umano: quello di cercare legami, di comunicare, di farsi riconoscere. La tragedia in “Le iene” nasce anche da questo: non si può togliere del tutto l’identità a chi, in fondo, vuole disperatamente essere qualcuno.
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