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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo d’apertura di Manhattan è una delle sequenze più iconiche del cinema di Woody Allen. Con la voce fuori campo di Isaac Davis che riscrive incessantemente l’incipit del suo romanzo, il film si apre con una dichiarazione d’amore a New York, accompagnata dalle immagini in bianco e nero della città e dalle note di Rhapsody in Blue di George Gershwin.
Questa scena definisce subito il tono del film: ironico, malinconico e profondamente introspettivo. Isaac cerca di trovare il modo giusto per descrivere il rapporto con la città, ma ogni tentativo sembra fallire, rivelando tanto il suo perfezionismo quanto la sua incertezza interiore.
MINUTAGGIO: intro film
RUOLO: Isaac Davis
ATTORE: Woody Allen
DOVE: Amazon Prime video
ITALIANO
Capitolo primo. "Adorava New York. La idolatrava smisuratamente..." No, è meglio "la mitizzava smisuratamente", ecco. "Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin..." No, fammi cominciare da capo... capitolo primo. "Era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto: trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione..." Eh no, stantio, roba stantia, di gusto... insomma, dai, impegnati un po' di più... da capo. Capitolo primo. "Adorava New York. Per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea: la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in una..." Non sarà troppo predicatorio? Insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere. Capitolo primo. "Adorava New York, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com'era difficile esistere, in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia..." Troppo arrabbiato. Non devo essere arrabbiato. Capitolo primo. "Era duro e romantico come la città che amava. Dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre..." No, aspetta, ci sono: "New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata..."
Manhattan (1979) è uno dei film più rappresentativi di Woody Allen, un racconto tra romanticismo e nevrosi ambientato nella New York della fine degli anni ’70. Girato in un elegante bianco e nero con la fotografia di Gordon Willis e accompagnato dalle musiche di George Gershwin, il film è un'ode alla città e ai suoi abitanti. Isaac Davis (Woody Allen) è uno scrittore di sitcom televisive insoddisfatto, che sogna di dedicarsi alla scrittura di un libro. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill (Meryl Streep), che lo ha lasciato per un’altra donna e sta scrivendo un libro in cui racconta dettagli intimi del loro matrimonio. Nel frattempo, Isaac ha una relazione con Tracy (Mariel Hemingway), una diciassettenne intelligente e sensibile che lo ama sinceramente, nonostante la grande differenza d’età.
Le cose si complicano quando Isaac si avvicina a Mary (Diane Keaton), una giornalista nevrotica e sofisticata, amante del suo amico Yale (Michael Murphy), un professore sposato. Isaac e Mary iniziano una relazione dopo che Yale decide di troncare la loro storia per restare con la moglie.
Nel tentativo di dare un senso alla propria vita, Isaac lascia Tracy con la scusa che dovrebbe vivere esperienze più adatte alla sua età e si dedica completamente a Mary. Ma Yale, incapace di stare lontano da lei, torna sui suoi passi e riprende la relazione, lasciando Isaac solo e confuso. Quando capisce di aver commesso un errore a lasciar andare Tracy, è troppo tardi: la ragazza sta per partire per Londra.
Il monologo è un flusso di pensieri in cui Isaac cerca di sintetizzare la sua visione di New York e, indirettamente, della sua stessa esistenza. La prima versione è eccessivamente sentimentale: "La idolatrava smisuratamente". Isaac la corregge subito in "la mitizzava smisuratamente", una scelta che suggerisce un leggero distacco ironico rispetto al proprio romanticismo. Ma anche questa versione non lo convince.
Le frasi successive oscillano tra ammirazione e disillusione. La città, nelle sue varie descrizioni, è un luogo pulsante di vita e fascino, ma anche il simbolo di una cultura in decadenza. Il tentativo di renderla un simbolo della "carenza di integrità individuale" lo fa dubitare di essere troppo predicatorio, mentre la frase sulla "potenza sessuale di una tigre" è così esagerata da risultare ridicola.
Ogni versione sembra spingerlo in una direzione sbagliata, fino alla conclusione: "New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata."
Questa frase finale è una semplice affermazione, definitiva e personale. Questa scelta rappresenta il suo carattere: un uomo che analizza e rianalizza tutto, ma che alla fine trova rifugio in una certezza emotiva più che in una definizione perfetta.
Il monologo iniziale di Manhattan è un riflesso della personalità di Isaac. La sua incapacità di trovare le parole giuste rispecchia il suo continuo tentennamento nella vita: nel lavoro, nelle relazioni, nelle scelte personali. Alla fine, ciò che resta è il sentimento, espresso senza filtri. Con questa scena, Woody Allen introduce subito il cuore del film: il contrasto tra idealismo e realtà, tra il desiderio di definire la vita e l’impossibilità di farlo davvero.
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