Monologo femminile - Millie Bobby Brown in \"The Electric State\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo di Michelle Greene in The Electric State rappresenta il culmine del film e il suo messaggio più potente. Se il monologo di Ethan Skate era il manifesto di una visione distorta della realtà, quello di Michelle è l’antidoto: un appello alla connessione umana, alla riscoperta del mondo reale dopo un’epoca di isolamento e dipendenza dalla tecnologia.

La vera elettricità siamo noi

MINUTAGGIO: 1:51:24-1:53:31

RUOLO: Michelle Greene
ATTRICE:
Millie Bobby Brown
DOVE:
Netflix



ITALIANO


Ciao. Mi chiamo Michelle Greene. So che alcuni di voi sono spaventati da me, dai miei amici e da quello… che abbiamo fatto. Il mondo è diverso. E volevo spiegarvi perché. Quello che la Sentre ha fatto non è stato un male solo pe i robot, ma anche per tutti noi. So che c’è stata la guerra. Le cose sono precipitate e la vita è stata uno schifo. E probabilmente per un pò i neurocaster vi hanno aiutato a dimenticarlo. Ci siamo così abituati che pensavo che la vita reale fosse quella. Ma non lo è. La vita reale è contatto… siamo io e voi. Siamo carne e ossa, si. Ma siamo anche elettricità. E quando ci abbracciamo, ridiamo, ci teniamo per mano e discutiamo, le mie particelle restano con voi e le vostre con me. E magari resteremo insieme per sempre. Ma non può accadere se vi isolate. Accade solo stando fuori, nel mondo reale. Guardatevi intorno, c’è qualcuno vicino a voi, ora. E’ reale. Ed è vivo. E ha bisogno di voi tanto quanto voi avete bisogno di lui, e se non ci fosse, quando non avete nessuno, venite a cercare noi. Perché stiamo ricominciando. Stavolta faremo le cose per bene. Insieme.

The Electric State

The Electric State è un film di fantascienza diretto dai fratelli Russo e basato sull'omonima graphic novel di Simon Stålenhag. Ambientato in un 1994 alternativo, racconta di Michelle, una ragazza orfana che si avventura in un'America distopica alla ricerca del fratello Christopher, scomparso dopo un misterioso incidente. Ad accompagnarla c’è Cosmo, un robot che sembra avere un legame con lui. Se c’è una cosa che distingue l’opera di Stålenhag, e di conseguenza il film, è la sua estetica unica: un futuro che sembra il passato, in cui la tecnologia avanzata si mescola con un’America decadente fatta di centri commerciali abbandonati, automobili arrugginite e periferie polverose. I fratelli Russo, insieme al direttore della fotografia Trent Opaloch (già con loro in Avengers: Infinity War e Endgame), portano su schermo questa visione con un tocco quasi nostalgico, dove le luci al neon si riflettono su macchine fuori produzione e i vecchi schermi a tubo catodico trasmettono immagini di un mondo che non esiste più.


L’idea di una guerra tra umani e robot, risolta in pochi mesi grazie al Neurocaster, aggiunge un elemento cyberpunk alla narrazione. La tecnologia, invece di essere liberatoria, ha solo reso le persone più passive, immerse in mondi virtuali mentre la realtà si sgretola intorno a loro. Millie Bobby Brown, qui nel ruolo di Michelle, è il fulcro emotivo del film. Accanto a lei troviamo Chris Pratt nei panni di Keats, un contrabbandiere che richiama un po’ Han Solo, e Anthony Mackie nel ruolo del robot Herman.

Analisi Monologo

Il discorso si sviluppa in tre momenti fondamentali: la presa di coscienza, la definizione della realtà e l’invito a ricostruire.


"Ciao. Mi chiamo Michelle Greene. So che alcuni di voi sono spaventati da me, dai miei amici e da quello… che abbiamo fatto. Il mondo è diverso. E volevo spiegarvi perché." Michelle inizia con un tono diretto e pacato, riconoscendo subito l’elefante nella stanza: la paura. Non attacca chi la ascolta, non li accusa, ma stabilisce un ponte di empatia. Ammette che il mondo sia cambiato, ma non lo presenta come un evento traumatico o catastrofico: vuole spiegare, non imporre.


"Quello che la Sentre ha fatto non è stato un male solo per i robot, ma anche per tutti noi. So che c’è stata la guerra. Le cose sono precipitate e la vita è stata uno schifo." Qui Michelle porta la conversazione su un piano collettivo. Il problema è stato dell’umanità intera. La guerra ha segnato tutti, non solo le macchine. La frase "la vita è stata uno schifo" è volutamente semplice e cruda: non c’è retorica, solo un riconoscimento onesto della sofferenza vissuta.

"E probabilmente per un po’ i Neurocaster vi hanno aiutato a dimenticarlo. Ci siamo così abituati che pensavo che la vita reale fosse quella. Ma non lo è." Qui Michelle affronta il nodo centrale: la tecnologia come fuga dalla realtà. I Neurocaster hanno dato alle persone un’illusione di sollievo, un modo per evitare il dolore. Ma questa non è vita vera. Lei stessa ammette di esserne stata ingannata, il che rende il suo messaggio ancora più credibile. Non parla dall’alto, ma da qualcuno che ha vissuto la stessa esperienza.

"La vita reale è contatto… siamo io e voi. Siamo carne e ossa, sì. Ma siamo anche elettricità." Questa è la frase chiave del monologo. Michelle descrive la vita come un’interconnessione, un flusso di energia tra le persone. Il concetto di elettricità richiama il titolo del film e della graphic novel originale, The Electric State: non si tratta solo della tecnologia, ma di un’energia vitale, di qualcosa che esiste tra gli esseri umani quando si toccano, si parlano, si comprendono.


"E quando ci abbracciamo, ridiamo, ci teniamo per mano e discutiamo, le mie particelle restano con voi e le vostre con me. E magari resteremo insieme per sempre." Qui Michelle trasforma il concetto di connessione in qualcosa di concreto e poetico. Le particelle che si scambiano tra le persone quando interagiscono sono una metafora della memoria, dell’affetto, dell’influenza che lasciamo negli altri. Anche se la scienza non lo conferma, l’idea è emotivamente potente: le persone non esistono in isolamento, ma lasciano tracce le une nelle altre. "Ma non può accadere se vi isolate. Accade solo stando fuori, nel mondo reale." Questa è la svolta decisiva. Michelle non si limita a descrivere il problema, ma offre una soluzione chiara: per vivere davvero, bisogna uscire dalla prigione della solitudine digitale. Il contatto umano non può essere sostituito da una simulazione.


"Guardatevi intorno, c’è qualcuno vicino a voi, ora. È reale. Ed è vivo. E ha bisogno di voi tanto quanto voi avete bisogno di lui." Michelle porta il discorso sul piano personale. Non sta parlando in astratto: invita ogni individuo a guardarsi intorno, a riconoscere che non è solo, che esiste qualcuno che ha bisogno di lui. Questa frase distrugge la logica dell’isolamento e dell’individualismo imposto dalla tecnologia. Nessuno è solo se si sceglie di non esserlo.


"E se non ci fosse, quando non avete nessuno, venite a cercare noi. Perché stiamo ricominciando. Stavolta faremo le cose per bene. Insieme." Il discorso si chiude con un’offerta di speranza. Michelle offre un’alternativa: un nuovo inizio, basato sulla connessione umana e non sulla fuga dalla realtà. Il "fare le cose per bene" implica che gli errori del passato non verranno ripetuti, ma che questa volta l’umanità affronterà il futuro in modo consapevole.

Conclusione

Il monologo di Michelle Greene è l’antitesi perfetta di quello di Ethan Skate. Se Skate vedeva l’umanità come un problema da risolvere con la tecnologia e il sacrificio, Michelle la vede come qualcosa di fragile ma prezioso, che può essere salvato solo attraverso la connessione e la solidarietà.

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