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~ LA REDAZIONE DI RC
Nel quarto volume di Love, Death & Robots, Il grido del tirannosauro è uno degli episodi più visivamente spettacolari e moralmente disturbanti. È ambientato in un futuro in cui l’élite umana – letteralmente stanziata tra le lune di Giove – ha trasformato la conquista spaziale in una nuova Roma imperiale.
Il monologo dell’Annunciatore è il nostro primo contatto con questo mondo. La sua voce, colma di enfasi e teatralità, introduce il pubblico a un’arena sospesa nel nulla cosmico, ma carica del sangue dei gladiatori. È un inizio pomposo, solenne, volutamente ridondante: serve a stabilire subito il tono dell’Impero – un potere grottesco, decadente, compiaciuto della propria brutalità.
MINUTAGGIO: 0:02-2:15
ATTORE: Mr Beast
RUOLO: Annunciatore
DOVE: Netflix
INGLESE
Lords and Ladies of the Empire, welcome! Space, once an unreachable frontier, is now a dazzling playground for Earth's children. And so, we gather here, above the frozen skies of Jupiter... to witness the sacred union of our glorious regent, Lord Chalon of Europa, and the Duchess Saraka of Callisto. Their love must be tempered with ritual and ceremony, shaped in the crucible of chaos... and sanctified with blood, blood spilled in tribute on these sands below. Tonight, you will witness a spectacle like no other. Behold the riders. Are they not absolutely magnificent? Years of discipline and training have forged them into the perfect warriors you see before you. Champions honed to a razor's edge, each blessed with the strength and ferocity of their totem spirit. To those who are about to die, we salute you. Now let the race begin!
ITALIANO
Lord e lady dell’impero, benvenuti! Lo spazio. Un tempo una frontiera irraggiungibile, e ora uno sfavillante parco giochi per i figli della Terra! E così, ci ritroviamo qui, sopra i cieli ghiacciati di Giove, per assistere alla sacra unione del nostro glorioso reggente Lord Chalot di Europa, e della Duchessa Soraka di Callisto. Il loro amore deve essere temprato con rituali e cerimonie, forgiato nel crogiolo del caos; e consacrato con il sangue. Sangue versato in tributo su queste sabbie sottostanti. Stasera, assisterete a uno spettacolo senza eguali. Che entrino gli sfidanti. Non pensate che siano assolutamente magnifici? Anni di disciplina e addestramento li hanno forgiati nei guerrieri perfetti che vedete dinanzi a voi. Campioni temprati come lame affilate, ciascuno benedetto dalla forza e dalla ferocia del proprio spirito totemico. A voi che state per morire, va il nostro saluto. E ora, che la gara abbia inizio!
Per il quarto volume della serie antologica Love, Death & Robots, Netflix e il duo produttivo Tim Miller–David Fincher tirano fuori una selezione che mescola satira, horror, poesia, violenza e… gatti. Tanti gatti. Tanto che il titolo alternativo “Love, Death, Robots… & Cats” non è solo un vezzo: è quasi una dichiarazione d’intenti.
Vol. 4 è il capitolo più coeso e tematicamente compatto dai tempi del primo. Non tanto per coerenza stilistica (l’animazione rimane una vetrina di tecniche e stili diversi, ma meno “internazionalista” rispetto al passato), quanto per la ricorrenza di motivi e simboli: l’umano vs. il non umano, la ribellione degli oppressi, la divinità come metafora del potere e la presenza animale – qui dominante, tra felini divinizzati, dinosauri rinati e delfini messianici.
Un Gatto con gli Stivali del 21° secolo (anzi, del 31°), cinico e manipolatore, convive con una coppia white trash tanto stupida quanto avida. Quando in casa arriva un robot domestico, sarà proprio lui a sottomettere la macchina e a convincerla a ribaltare i rapporti di potere.
Qui la satira sociale – che punta il dito sull’idiozia umana e sulla fedeltà cieca alla tecnologia – si unisce a una dichiarazione d’amore ironica e spietata verso i gatti: creature che, pur non avendo il potere per conquistare il mondo, si comportano da secoli come se lo avessero già fatto. Un gatto e satana: Un racconto in costume, letteralmente: Inghilterra del ‘700, protagonista un gatto randagio, Geoffry, compagno di un poeta malinconico e depresso, che viene tentato dal Diavolo in persona (in versione Salieri mozartiano) con la promessa di successo eterno in cambio della sua anima. Geoffry non solo si rifiuta, ma raduna altri gatti per combattere Satana. Qui il micio è archetipo di magia pagana, di spiritualità ancestrale e potere indomito. Il racconto si muove come una fiaba gotica, ma il suo cuore è un’ode a quei predatori in miniatura che le culture antiche adoravano – e che qui tornano a essere forza primordiale e ribelle.
Come zeke ha scoperto la religione: Un bombardiere americano vola sopra l’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma l’obiettivo stavolta non è solo bellico: in una chiesa occupata dai nazisti, viene evocato un angelo caduto – una creatura d’orrore a metà tra Evangelion e Apocalisse di Giovanni. La guerra si mescola con il soprannaturale e, di nuovo, con l’idea di una religione distorta e strumentalizzata. La lotta tra bene e male prende qui un volto biblico, ma resta ambigua fino alla fine.
Il ruggito del tirannosauro: Futuro distopico. Un’arena. Da una parte una gladiatrice geneticamente potenziata. Dall’altra, un tirannosauro da combattimento. Entrambi schiavi di un’élite che si diverte a guardarli morire. Un episodio feroce, con un messaggio molto chiaro: chi è stato messo contro da un potere più grande, può scegliere di combattere insieme. La rivoluzione parte da un’alleanza tra “bestie” – perché lo sono solo agli occhi di chi domina.
Golgotha: Un popolo alieno sottomarino decide se annientare o meno l’umanità. La sentenza è rimandata a un delfino messia, figura poetica e disturbante. Un racconto religioso e filosofico che parla di compassione e giudizio, ma anche della nostra incapacità di ascoltare chi consideriamo “inferiore”. Qui la voce della salvezza ha la forma di una creatura che spesso l’uomo ha sfruttato e ignorato.
Incontri ravvicinati del mini-mondo: Fraintendimento cosmico: una razza aliena sbarca sulla Terra per curiosità, e finisce in guerra con gli umani per un banale malinteso. L’assurdo regna sovrano. Un episodio leggero, ma che nasconde una riflessione sul provincialismo umano e sull’istinto di attaccare ciò che non si comprende.
Can’t Stop: Un videoclip animato con i Red Hot Chili Peppers in versione marionette digitali. Più un esercizio di stile e ritmo che un vero e proprio racconto, ma perfettamente in linea con l’identità visuale della serie. Spider-Rose: Chiudiamo con il più cupo: una donna cyborg, sopravvissuta a un massacro intergalattico, vive sola in una base spaziale e coltiva vendetta. Riflessione profonda sull’identità, sul dolore e su cosa resta dell’umanità quando ci si aggrappa solo all’odio.
“Lo spazio. Un tempo una frontiera irraggiungibile, e ora uno sfavillante parco giochi per i figli della Terra!” Qui lo spazio, solitamente associato all’ignoto e al progresso, viene ridotto a un giocattolo per privilegiati. Non è più l’ultima frontiera della scienza, ma una piattaforma di lusso per l’intrattenimento violento dell’aristocrazia galattica. È un’idea lucidamente cinica: il progresso come strumento di regressione morale. “Temprato con rituali e cerimonie, forgiato nel crogiolo del caos; e consacrato con il sangue.” L’unione tra Lord Chalot e Duchessa Soraka – che potrebbe sembrare una celebrazione privata – diventa un evento pubblico, rituale, quasi religioso. Il linguaggio dell’Annunciatore trasforma una carneficina in un sacramento. C’è un chiaro parallelo con la Roma dei giochi gladiatori, ma anche con l’ossessione contemporanea per lo “spettacolo sacro” della violenza: reality show estremi, eventi sportivi disumanizzati, spettacolarizzazione della sofferenza.
“Non pensate che siano assolutamente magnifici?” Questa domanda rivolta al pubblico è performativa: non richiede risposta. È l’invito implicito ad ammirare l’estetica della violenza. I gladiatori vengono descritti non come persone, ma come oggetti perfetti, lucidati dalla sofferenza e dall’addestramento. La loro umanità è cancellata, la loro morte è coreografia. “Campioni temprati come lame affilate, ciascuno benedetto dalla forza e dalla ferocia del proprio spirito totemico.” Qui entra l’elemento pseudo-mistico: ogni combattente ha uno spirito totemico, un’icona tribale che giustifica la loro appartenenza al rituale. È un modo per dare una falsa profondità spirituale a una pratica sadica. Nella narrazione imperiale, la violenza è sempre “nobile”, “necessaria”, “simbolica”.
“A voi che state per morire, va il nostro saluto.” Citazione diretta (e distorta) del celebre saluto dei gladiatori romani: Ave Caesar, morituri te salutant. Qui però, il tono è beffardo, quasi sarcastico. L’Annunciatore non esprime rispetto, ma complicità con l’atto stesso della morte trasformata in intrattenimento. “E ora, che la gara abbia inizio!”
Chiusura secca, spettacolare, che richiama il mondo dell’intrattenimento televisivo tanto quanto quello del Colosseo. È una battuta da presentatore, da maestro di cerimonie, che traghetta lo spettatore – e noi con lui – nell’abisso della violenza istituzionalizzata.
Questo discorso è l’equivalente verbale delle architetture titaniche e delle sabbie rosso sangue dell’arena: ci racconta un potere che si nutre del corpo degli altri, e che chiama “ordine” la brutalità, “gloria” la morte, “amore” il possesso. Un monologo che sembra uscito da un’opera barocca o da un musical distopico – perfettamente a fuoco con il tono dell’episodio, dove l’unico gesto di reale umanità sarà la ribellione finale dei due combattenti.
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