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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Noah in Nobody Wants This 2 è un passaggio centrale che unisce spiritualità e vulnerabilità personale. Tratto dall’episodio 3, questo discorso di addio al Temple High racchiude i temi della fede, della trasformazione e del coraggio di lasciare andare. Con parole intime e pacate, Adam Brody interpreta un rabbino che affronta l’ignoto con onestà emotiva.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Durata: 2 minuti 30 sec
Emozioni chiave: Speranza, Nostalgia e rimpianto, Fede incerta ma viva, Coraggio
Contesto ideale per un attore: Discorso di addio (es. professore, leader spirituale, mentore), Situazioni in cui un personaggio deve chiudere un ciclo personale o professionale Momenti di trasformazione,
Dove vederlo: Netflix
Nobody Wants This è una serie dramedy corale, brillante nei dialoghi e affilata nei conflitti, che ruota intorno a un gruppo di personaggi legati da amicizie, legami familiari e relazioni romantiche complicate. Al centro della narrazione troviamo Joanne e Noah, una coppia apparentemente molto distante per stile di vita, cultura e religione: lei è ironica, indipendente, razionale; lui è un rabbino, guidato da fede, ritualità e senso di comunità.
Attorno a loro si muovono personaggi altrettanto sfaccettati: Morgan, sorella maggiore di Joanne, protagonista di relazioni sempre al limite tra l’ego e l’instabilità; Sasha ed Esther, una coppia sposata che cerca di sopravvivere all’ordinario senza perdere la propria identità; Ashley, voce cinica e tagliente del podcast che le ragazze conducono insieme; e infine Andy, terapeuta di Morgan ma anche – paradossalmente – suo compagno, in un rapporto che sfida ogni dinamica terapeutica o sentimentale convenzionale.
La serie si muove tra episodi di vita quotidiana, feste ebraiche, cene disastrose, sedute di terapia di coppia, equivoci e piccoli drammi urbani. È una storia fatta di nevrosi moderne e desideri profondi: trovare una forma d’amore che sia autentica senza perdere sé stessi.
La seconda stagione approfondisce i nodi più difficili: il tema della conversione religiosa, le crisi di identità, il bisogno di appartenenza, la paura del fallimento, e soprattutto la domanda che accompagna ogni personaggio: Quanto posso cambiare per essere amato, senza smettere di essere me stesso?

Oggi vi parlerò della Parshat Beshalach. Dunque, gli Ebrei, dopo essere fuggiti dall'Egitto erano liberi ma… non avevano cibo, non avevano riparo. Vagavano nel deserto, ignari di tutto quello che a breve li attendeva. E’ questo il senso della fede, giusto? Non esiste nei piani che facciamo. Esiste nell’ignoto. Altrimenti le scelte difficili sarebbero facili, senza rischio. Il… il momento dopo che facciamo un atto di fede, è quello più spaventoso. Perché non si torna indietro. Non sappiamo se funzionerà. Ma se non rischiamo, forse non vivremo mai davvero. Forse non sapremo mai se quella persona è giusta per noi. O se ci piace nuotare. Ecco quello che so io. In questi ultimi giorni, mi è stato ricordato che ci sono persone che hanno bisogno di quello che ho da offrire. Ora, questa congregazione ha iniziato un nuovo capitolo. E non è quello che avevo immaginato. Dunque anch’io devo trovare il mio prossimo capitolo. E’ stato un onore e un privilegio, conoscervi tutti. Vi voglio bene. E voglio vedervi tante altre volte nei prossimi anni. Per me è tempo di vagare nel deserto. Questo è il mio ultimo sermone a Temple High.
“Oggi vi parlerò della Parshat Beshalach.” : tono neutro e introduttivo; sguardo orizzontale verso la platea.
“Dunque, gli Ebrei, dopo essere fuggiti dall'Egitto erano liberi ma… non avevano cibo, non avevano riparo.”: pausa netta su “liberi ma…”, sguardo che si abbassa leggermente; “non avevano cibo, non avevano riparo”.
“Vagavano nel deserto, ignari di tutto quello che a breve li attendeva.”: rallenta su “vagavano”, tono più evocativo; sguardo che si perde, come se evocasse immagini interiori.
“È questo il senso della fede, giusto?”: alza lo sguardo, coinvolge chi ascolta; domanda detta con leggerezza, non retorica ma sincera.
“Non esiste nei piani che facciamo. Esiste nell’ignoto.”: voce più ferma, tono da constatazione lucida; pausa netta tra le due frasi; “ignoto” va marcato come parola chiave, con un mezzo sorriso amaro.
“Altrimenti le scelte difficili sarebbero facili, senza rischio.”: tono leggermente ironico su “sarebbero facili”; “senza rischio” detto con serietà, come se pesasse davvero.
“Il… il momento dopo che facciamo un atto di fede, è quello più spaventoso.”: esitazione reale su “il… il momento”; voce più bassa su “atto di fede”, quasi intima; “più spaventoso” detto con sguardo fermo, diretto.
“Perché non si torna indietro. Non sappiamo se funzionerà.”: taglio netto nella voce; ritmo più serrato; “non si torna indietro” va pronunciata con tono deciso; la seconda frase con vulnerabilità.
“Ma se non rischiamo, forse non vivremo mai davvero.”: tono coinvolgente, pacato; “vivremo mai davvero” con una piccola sospensione, come se la frase fosse per sé stesso.
“Forse non sapremo mai se quella persona è giusta per noi. O se ci piace nuotare.”: sorriso accennato su “ci piace nuotare”, tono autoironico; prima frase detta con delicatezza, quasi confessata.
“Ecco quello che so io.”: pausa; tono più caldo, leggermente commosso; lo dice come se arrivasse al punto, al “nocciolo”.
“In questi ultimi giorni, mi è stato ricordato che ci sono persone che hanno bisogno di quello che ho da offrire.”: tono gratificato ma sommesso; piccolo sospiro prima di “mi è stato ricordato”; “di quello che ho da offrire” detto lentamente, con senso di valore.
“Ora, questa congregazione ha iniziato un nuovo capitolo. E non è quello che avevo immaginato.”: tono dolce ma disilluso; pausa dopo “ora”; su “non è quello che avevo immaginato” va lasciato trasparire un po’ di rammarico.
“Dunque anch’io devo trovare il mio prossimo capitolo.”: sguardo aperto, respiro profondo; la voce si fa più sicura; “prossimo capitolo” detto con dignità, senza autocommiserazione.
“È stato un onore e un privilegio, conoscervi tutti.”: tono caloroso, sincero; piccola pausa tra “onore” e “privilegio”; va detto con commozione trattenuta.
“Vi voglio bene.”: breve, diretto, quasi informale; sorriso tenero, tono più personale.
“E voglio vedervi tante altre volte nei prossimi anni.”: frase distensiva, tono più leggero, speranzoso; sguardo aperto, proteso verso chi ascolta.
“Per me è tempo di vagare nel deserto.”: rallentare, abbassare leggermente la voce; tono intimo, quasi mistico; pausa finale, sguardo in avanti.
“Questo è il mio ultimo sermone a Temple High.”: detto con solennità, ma senza dramma; pausa dopo “questo è…”; chiusura pacata, definitiva, consapevole
In uno dei momenti più intensi dell’intera stagione 2 di Nobody Wants This, Noah – interpretato da Adam Brody – tiene un sermone di addio alla sua comunità di Temple High. La scena si colloca all’interno del terzo episodio, quando Noah decide di chiudere con il suo passato e abbracciare l’incertezza del futuro. Ma più che un addio, è un atto di fede, un’esposizione vulnerabile di ciò che significa davvero fare una scelta rischiosa. Il monologo è breve ma denso di contenuti teologici, esistenziali ed emotivi. Un piccolo capolavoro di scrittura – e di recitazione contenuta.
Noah introduce il sermone parlando della Parshat Beshalach, una porzione settimanale della Torah che racconta l’uscita degli Ebrei dall’Egitto. Liberti dalla schiavitù, si trovano però in un deserto sconosciuto, senza cibo, senza un piano. E proprio qui il monologo tocca il primo grande punto tematico: la fede non risiede nella certezza, ma nell’ignoto. “E’ questo il senso della fede, giusto? Non esiste nei piani che facciamo. Esiste nell’ignoto.” Adam Brody la pronuncia con voce calma, quasi come se la stesse afferrando mentre la dice. L’intenzione qui è rivelatoria: fede non significa avere una direzione, ma decidere comunque di camminare.
La svolta arriva quando Noah fa un parallelo tra la fede religiosa e le relazioni personali. Fa riferimento al “non sapere se quella persona è giusta per noi”, ma anche alla paura di non provarci mai. È un collegamento potente: la paura dell’amore viene paragonata al deserto post-Esodo.
Non ci sono garanzie, solo scelte. “Il momento dopo che facciamo un atto di fede è quello più spaventoso. Perché non si torna indietro.” Qui la voce si incrina, la recitazione si fa intima, vulnerabile, come se Noah stesse parlando più a sé stesso che ai presenti. Adam Brody riesce a trasmettere quella lucidità emotiva di chi ha appena preso una decisione difficile – e sa che sarà dolorosa. Verso la fine del monologo, Noah si rivolge direttamente alla sua comunità. Dice che è tempo per lui di trovare il suo “prossimo capitolo”. Non è arrabbiato, non è polemico: è consapevole, riconoscente, fragile. Il messaggio è chiaro: per poter continuare a servire gli altri, deve prima ascoltare sé stesso: “Per me è tempo di vagare nel deserto.” Questa frase, ripetuta dopo tutto il discorso iniziale sul deserto, chiude il cerchio emotivo. È un’uscita elegante, che riflette la coerenza interna del personaggio: Noah non ha tutte le risposte, ma ha scelto comunque di seguire la propria strada.

Obiettivo del monologo: Mostrare una transizione emotiva matura, in cui il personaggio affronta un addio difficile senza perdere la connessione col pubblico.
Sottotesto: Noah parla alla congregazione, ma pensa a sé stesso. Ogni parola sul deserto, sulla fede, sulla paura di rischiare… è un riferimento implicito al suo rapporto con Joanne e alla decisione di lasciare Temple High.
Azione minima
Stai in piedi, fermo, come fosse un vero discorso pubblico. Piccoli passi possono essere accettabili verso la fine, ma devono sembrare organici alla vulnerabilità. Guarda negli occhi (immaginari) i membri della comunità. Non fuggire lo sguardo: sei il loro punto di riferimento, anche mentre li lasci.
Dinamica vocale: Inizia calmo, controllato, quasi come se fossi lì per tenere il solito sermone. Il tono si spegne leggermente quando parla del rischio, della paura, del non tornare indietro. Micro-pausa dopo “non sappiamo se funzionerà”, e lasciati attraversare dal dubbio. La voce sale leggermente su “forse non vivremo mai davvero”: lì c’è la fiammata vitale. Le frasi conclusive (“è stato un onore…”, “vi voglio bene…”) sono dolci e decise, come un abbraccio che si scioglie.
Chiusa: “Per me è tempo di vagare nel deserto.” Dopo questa frase: pausa lunga, silenziosa, ma non morta. Guarda davanti a te. Respira. Il silenzio è parte integrante del finale. Poi chiudi con: “Questo è il mio ultimo sermone a Temple High.”
Errori comuni:
Troppa emozione troppo presto: non devi piangere né commuoverti. La forza sta nel trattenere.
Tono predicatorio: non è un sermone tradizionale. È un saluto personale mascherato da discorso pubblico.
Gesti teatrali: basta una sola mano o uno spostamento minimo. Ogni cosa dev’essere contenuta.
Non capire a chi stai parlando: il testo è per la congregazione, ma anche per sé stesso e per Joanne. Devi sentire due livelli di pubblico.
Finale spento: il momento in cui dice “è tempo di vagare nel deserto” deve vibrare. Non darglielo piatto. È il battito che chiude tutto.
Il decimo episodio della stagione 2, “Noah, ti presento Joanne”, si apre con una rottura: Joanne e Noah hanno deciso di lasciarsi, ma per non rovinare la festa di fidanzamento di Morgan e Andy, fingono ancora di stare insieme. Ma è solo una maschera: le crepe sono profonde, e la loro relazione sembra davvero arrivata alla fine.
In parallelo, anche Morgan è in crisi. Dopo settimane di incertezze, si rende conto di non amare più Andy. Prova a lasciarlo durante la festa, ma lui la sorprende mostrandole una profonda comprensione dei suoi schemi emotivi. È un momento ambiguo, che la spiazza. Joanne, dal canto suo, continua a oscillare tra la frustrazione e la delusione: Noah le propone di aspettare ancora sei mesi prima di decidere davvero sulla convivenza, ma per lei è solo un altro modo di rimandare. E stavolta, dice no.
Le tensioni esplodono. Morgan rompe il fidanzamento. Sasha e Esther si osservano da lontano, incapaci di capire se restare insieme li stia aiutando o distruggendo. Noah e Joanne, esausti, si lasciano sul serio: non hanno più risposte, non hanno più un piano.
Eppure, proprio quando tutto sembra crollare, arriva un cambio di prospettiva inaspettato.
Esther fa notare a Joanne come, in fondo, lei sia già ebrea: non per conversione religiosa, ma per valori, per sensibilità, per modo di affrontare il dubbio. È una sorta di epifania sommessa, una rivelazione che non ha bisogno di cerimonie.
Joanne corre da Noah. E lo trova. I due si guardano come all’inizio, ma con tutta la stanchezza e la consapevolezza accumulata nel tempo. Noah le dice che la ama, a prescindere da tutto. E Joanne, finalmente libera, risponde: “Allora sei fortunato.”
Si baciano. E ci lasciano con una speranza concreta: non che sarà facile, ma che sarà reale.
Quanto dura il monologo? Il monologo dura circa 3 minuti.
Che temi tratta? Fede, incertezza, cambiamento, vulnerabilità e coraggio nel lasciare ciò che si conosce per affrontare l’ignoto. È anche un addio personale mascherato da discorso spirituale.
È meglio impararlo tutto o leggerlo in scena? E’ consigliabile impararlo a memoria, per mantenere il contatto visivo e il coinvolgimento emotivo.
Qual è il momento chiave da non sbagliare? “Perché non si torna indietro. Non sappiamo se funzionerà. Ma se non rischiamo, forse non vivremo mai davvero.”
È legato alla religione ebraica? Sì, ma in modo accessibile. Il riferimento alla Parshat Beshalach è simbolico, non serve una formazione religiosa per interpretarlo.
Registi: Hannah Fidell, Karen Maine, Greg Mottola, Oz Rodriguez e Lawrence Trilling
Produttori: Fatigue Sisters Productions, Double Wide Productions
Cast principale: Joanne (Kristen Bell), Noah (Adam Brody), Morgan (Justine Lupe), Sasha (Timothy Simons) Esther (Jackie Tohn),
Dove vederlo: Netflix

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