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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Noah in Nobody Wants This 2, episodio 5, è un perfetto esempio di come spiritualità e ironia possano coesistere in un discorso denso di significato. Adam Brody interpreta con misura e autenticità un rabbino che, durante un rito di benvenuto, riflette sulla gioia come scelta consapevole. Questo monologo, semplice ma toccante, è perfetto per audizioni di attori tra i 30 e i 45 anni, soprattutto per ruoli empatici, maturi e profondamente umani.
Scheda del monologo
Contesto del film
Testo del monologo (estratto+note)
Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa
Come prepararlo per un'audizione
Finale del film (con spoiler)
FAQ
Credits e dove trovarlo
Durata: 1 minuto 20 secondi
Nobody Wants This è una serie dramedy corale, brillante nei dialoghi e affilata nei conflitti, che ruota intorno a un gruppo di personaggi legati da amicizie, legami familiari e relazioni romantiche complicate. Al centro della narrazione troviamo Joanne e Noah, una coppia apparentemente molto distante per stile di vita, cultura e religione: lei è ironica, indipendente, razionale; lui è un rabbino, guidato da fede, ritualità e senso di comunità.
Attorno a loro si muovono personaggi altrettanto sfaccettati: Morgan, sorella maggiore di Joanne, protagonista di relazioni sempre al limite tra l’ego e l’instabilità; Sasha ed Esther, una coppia sposata che cerca di sopravvivere all’ordinario senza perdere la propria identità; Ashley, voce cinica e tagliente del podcast che le ragazze conducono insieme; e infine Andy, terapeuta di Morgan ma anche – paradossalmente – suo compagno, in un rapporto che sfida ogni dinamica terapeutica o sentimentale convenzionale.
La serie si muove tra episodi di vita quotidiana, feste ebraiche, cene disastrose, sedute di terapia di coppia, equivoci e piccoli drammi urbani. È una storia fatta di nevrosi moderne e desideri profondi: trovare una forma d’amore che sia autentica senza perdere sé stessi.
La seconda stagione approfondisce i nodi più difficili: il tema della conversione religiosa, le crisi di identità, il bisogno di appartenenza, la paura del fallimento, e soprattutto la domanda che accompagna ogni personaggio: Quanto posso cambiare per essere amato, senza smettere di essere me stesso?

Quest’oggi, Abby e Abe… Gabe, certo, scusate. Non mi piace fare errori da rabbino. Almeno non è una circoncisione. Ehm, Gabe… Abby e Gabe hanno scelto il nome Afternoon e Aliza, come nome ebraico per la figlia. In ebraico, il nome Aliza significa gioiosa, e questo è il mio augurio per Afternoon e per tutti noi. Cercare con coraggio la gioia anche quando è difficile, anche quando sembra non esserci nessuna soluzione. Pensate a quanti miracoli sono avvenuti perché queste due persone si trovassero e decidessero di trovare una famiglia. Chiamare questa bambina Aliza significa augurarle di godersi la vita, ed è davvero facile, perché se troviamo la gioia nel quotidiano, nell’imperfezione, facciamo una vita da persone fortunate, al di là di quali fortune ci capitino. Quindi vi chiedo di unirvi a me nell’accogliere Afternoon Aliza Bat Gavriel vi Avigayil come nuovo membro della comunità. Mazel tov!
“Quest’oggi, Abby e Abe… Gabe, certo, scusate”. : tono amichevole e autoironico; pausa imbarazzata dopo “Abe…”, sguardo che cerca complicità dal pubblico; sorriso sincero, come per rompere il ghiaccio.
“Non mi piace fare errori da rabbino. Almeno non è una circoncisione”: tono scherzoso ma contenuto; pausa dopo “rabbino” per lasciare tempo al pubblico di ridere o sorridere.
“Ehm, Gabe… Abby e Gabe hanno scelto il nome Afternoon e Aliza, come nome ebraico per la figlia.”: lieve ripresa di tono più solenne; “Ehm” pronunciato con naturale esitazione; la ripetizione di “Gabe” serve a ristabilire il ritmo del discorso e la calma dopo la battuta.
“In ebraico, il nome Aliza significa gioiosa, e questo è il mio augurio per Afternoon e per tutti noi.”: tono più profondo e sincero; micro-pausa dopo “gioiosa”; su “e questo è il mio augurio” inserire un sorriso sereno.
“Cercare con coraggio la gioia anche quando è difficile, anche quando sembra non esserci nessuna soluzione.” : respirare bene prima di iniziare la frase; dire “coraggio” con un leggero accento emotivo, è la parola-chiave. Il tono qui si fa più intimo, come un piccolo sermone nel sermone.
“Pensate a quanti miracoli sono avvenuti perché queste due persone si trovassero e decidessero di trovare una famiglia.” : qui la voce deve crescere di calore e convinzione; non declamare, ma invitare. Piccola pausa dopo “si trovassero”, lo sguardo si apre verso il pubblico.
“Chiamare questa bambina Aliza significa augurarle di godersi la vita, ed è davvero facile, perché se troviamo la gioia nel quotidiano, nell’imperfezione, facciamo una vita da persone fortunate, al di là di quali fortune ci capitino.”: tono riflessivo e pieno; “è davvero facile” va detto quasi come un sorriso tra sé e sé, non come una lezione.
“Quindi vi chiedo di unirvi a me nell’accogliere Afternoon Aliza Bat Gavriel vi Avigayil come nuovo membro della comunità.” torna la solennità del rito, ma con affetto sincero. Pausa lunga dopo “vi chiedo di unirvi a me”.
“Mazel tov!” : chiusura gioiosa e immediata; tono luminoso, ma non teatrale. Puoi accompagnarla con un piccolo sorriso o un gesto aperto con le mani.
In Nobody Wants This 2, episodio 5, troviamo uno dei momenti più equilibrati e potenti dal punto di vista narrativo ed emozionale della serie. Noah, interpretato da Adam Brody, pronuncia un discorso durante la cerimonia del brit-bat, per accogliere nella comunità una neonata dal nome particolare: Afternoon Aliza. Il monologo nasce in una situazione pubblica e rituale: Noah, in veste di rabbino, è chiamato a celebrare un momento di passaggio. Ma come accade spesso in questa serie, il piano religioso si intreccia profondamente con il vissuto personale. Noah è nel mezzo di una crisi spirituale e identitaria: ha lasciato il suo vecchio tempio e si sta ancora adattando al nuovo, più liberale e fuori dalle righe. La sua voce, quindi, non è solo quella di un leader spirituale, ma anche quella di un uomo che cerca di trovare senso nella confusione.
“Cercare con coraggio la gioia anche quando è difficile, anche quando sembra non esserci nessuna soluzione.” Qui, Noah introduce il cuore del discorso: la gioia non come conseguenza, ma come atto di volontà. Questo è un invito alla resilienza emotiva e spirituale, ed è un messaggio che si estende oltre il rituale, toccando chiunque stia affrontando cambiamenti, insicurezze, o momenti di transizione.
“Se troviamo la gioia nel quotidiano, nell’imperfezione, facciamo una vita da persone fortunate.” La vita non è perfetta, né tantomeno ordinata. Noah celebra l’idea che una vita piena di senso non si costruisce con successi e linearità, ma con piccoli atti di riconoscimento del bello, anche quando questo bello è grezzo o fragile.
“Unirsi per accogliere un nuovo membro nella comunità.” Pur essendo un gesto rituale, qui il richiamo alla comunità è profondo. Noah non è solo un uomo che parla, ma un uomo che si rilancia nella relazione con gli altri, anche mentre dentro di sé è alla ricerca di un nuovo equilibrio.

Obiettivo del monologo: Accogliere la bambina nella comunità attraverso un discorso spirituale, ma accessibile, e trasmettere un messaggio universale: la gioia può essere una scelta consapevole anche nei momenti difficili.
Sottotesto: Noah parla al pubblico, ma si sta anche parlando da solo. Sta cercando di ritrovare il senso del suo ruolo da rabbino in un nuovo contesto e di credere, ancora una volta, in ciò che dice. Questo dà al monologo una vena malinconica e personale, anche se mai esplicita.
Azione minima: Parla a una comunità riunita per una cerimonia. L’azione fisica è contenuta: piccoli spostamenti del peso, gesti semplici (una mano sul cuore, un sorriso reale).
Dinamica vocale
Inizio leggero e ironico: tono colloquiale, naturale.
Transizione dolce verso la riflessione: rallenta leggermente, ma mantieni un tono chiaro e accessibile.
Punto di massima emozione: “cercare con coraggio la gioia…” — qui serve autenticità e una piccola apertura del cuore, senza diventare solenni o drammatici.
Chiusura celebrativa: usa un tono di festa intimo ma fermo, come se la comunità intera si stringesse attorno alla nuova nata.
Chiusa: “Quindi vi chiedo di unirvi a me nell’accogliere Afternoon Aliza Bat Gavriel vi Avigayil come nuovo membro della comunità. Mazel tov!” La chiusa è rituale, emozionale e collettiva. Non va forzata né caricata.
Errori comuni
Recitarlo come se fosse un sermone solenne: il rischio è sembrare artificiosi. Questo è un momento umano e comunitario, non accademico.
Enfatizzare troppo la parte emotiva: il monologo funziona per sottrazione. La forza è nella naturalezza, non nella teatralità.
Dimenticare l’umorismo iniziale: l’errore sul nome (“Abe... Gabe”) è chiave per rendere Noah più vicino e autentico. Va fatto con autoironia, non goffaggine.
Non contestualizzare: anche se in audizione non c’è un pubblico reale, l’attore deve immaginare una comunità davanti a sé, dando al testo lo stesso spirito collettivo.
Il decimo episodio della stagione 2, “Noah, ti presento Joanne”, si apre con una rottura: Joanne e Noah hanno deciso di lasciarsi, ma per non rovinare la festa di fidanzamento di Morgan e Andy, fingono ancora di stare insieme. Ma è solo una maschera: le crepe sono profonde, e la loro relazione sembra davvero arrivata alla fine.
In parallelo, anche Morgan è in crisi. Dopo settimane di incertezze, si rende conto di non amare più Andy. Prova a lasciarlo durante la festa, ma lui la sorprende mostrandole una profonda comprensione dei suoi schemi emotivi. È un momento ambiguo, che la spiazza. Joanne, dal canto suo, continua a oscillare tra la frustrazione e la delusione: Noah le propone di aspettare ancora sei mesi prima di decidere davvero sulla convivenza, ma per lei è solo un altro modo di rimandare. E stavolta, dice no.
Le tensioni esplodono. Morgan rompe il fidanzamento. Sasha e Esther si osservano da lontano, incapaci di capire se restare insieme li stia aiutando o distruggendo. Noah e Joanne, esausti, si lasciano sul serio: non hanno più risposte, non hanno più un piano.
Eppure, proprio quando tutto sembra crollare, arriva un cambio di prospettiva inaspettato.
Esther fa notare a Joanne come, in fondo, lei sia già ebrea: non per conversione religiosa, ma per valori, per sensibilità, per modo di affrontare il dubbio. È una sorta di epifania sommessa, una rivelazione che non ha bisogno di cerimonie.
Joanne corre da Noah. E lo trova. I due si guardano come all’inizio, ma con tutta la stanchezza e la consapevolezza accumulata nel tempo. Noah le dice che la ama, a prescindere da tutto. E Joanne, finalmente libera, risponde: “Allora sei fortunato.”
Si baciano. E ci lasciano con una speranza concreta: non che sarà facile, ma che sarà reale.
Quanto dura il monologo? Il monologo dura circa 1 minuto e 15 secondi.
Che temi tratta? Tratta il tema della gioia come scelta, anche nei momenti difficili. Apre anche a riflessioni su identità, ritualità, accoglienza e il significato più profondo della comunità ebraica.
Qual è il contesto del monologo? Il monologo è pronunciato durante un rito di benvenuto ebraico (Brit-Bat) per una bambina. Noah, da rabbino, guida la comunità in un discorso che è al tempo stesso spirituale e personale.
Cosa deve trasmettere l’attore? Empatia, leggerezza iniziale, profondità non ostentata, e una dolcezza che non diventa sentimentalismo. Serve un tono autentico, come se si parlasse a un gruppo reale.
Registi: Hannah Fidell, Karen Maine, Greg Mottola, Oz Rodriguez e Lawrence Trilling
Produttori: Fatigue Sisters Productions, Double Wide Productions
Cast principale: Joanne (Kristen Bell), Noah (Adam Brody), Morgan (Justine Lupe), Sasha (Timothy Simons) Esther (Jackie Tohn),
Dove vederlo: Netflix

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