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~ LA REDAZIONE DI RC
Questo monologo di Samantha Levitt da “Your Friends and Neighbors” è una piccola bomba emotiva travestita da sfogo casuale in una profumeria. Una scena che potrebbe apparire di passaggio, ma che in realtà rivela tutto il cuore del personaggio e tocca i nervi più scoperti della serie. Siamo in un momento cruciale per il personaggio di Samantha (interpretata da Olivia Munn): ha appena perso il marito, assassinato nel loro androne, e mentre tenta di recuperare un barlume di normalità tra i flaconi di skincare, si ritrova davanti una commessa invadente e ignara. È l’innesco perfetto per una detonazione emotiva: il dolore di Samantha non è fresco – è stratificato, incasinato, e arriva da molto prima dell’omicidio. Il monologo nasce proprio da questa tensione, da quel miscuglio tossico di lutto e sollievo, vergogna e rabbia, che trova sfogo in un luogo inaspettato.
STAGIONE 1 EP 6
MINUTAGGIO: 31:25-32:51
RUOLO: Samantha Levitt
ATTRICE: Olivia Munn
DOVE: Apple Tv
ITALIANO
Ehm, beh, Keeley, se lo vuoi sapere, ehm… mio marito è stato appena ucciso nell’androne di casa nostra, che ora è una scena del crimine. Per questo ora alloggio in un hotel, e per questo mi servono dei prodotti. E per questo, come tu hai acutamente osservato, potrei avere urgente necessità di mettere dei patch. Eravamo anche nel bel mezzo di un arduo divorzio, quindi c’è una parte di me, purtroppo piuttosto grande, che è sollevata dalla sua morte. Però cazzo, Keeley, mi sento terribilmente in colpa per questo, perché vedi, era il padre dei miei figli, santo cielo, che razza di persona sono diventata. E non mi importa di dirti tutto questo, perché insomma, tu chi cazzo sei, giusto? Il fatto è che stavo cominciando finalmente ad accettarmi come divorziata, e poi d’un tratto sono una cazzo di vedova. Il mio senso di identità è volato fuori dalla finestra con il modello Kubler Rose, quindi, non c’è solo il fatto che non posso più rientrare a casa mia. No, anche una torre jenga fatta di colpa e lutto e confusione e rabbia da processare. Cosa che stavo tentando di fare con miseri risultati quando sei spuntata tu. Perciò io al tuo posto, beh, raccoglierei la mia mandibola dal pavimento, e andrei a occuparmi di quella cliente là, verso quello stand Laura Mercier, perché ha l’aria di avere bisogno del tuo aiuto.
Immagina Don Draper ma senza più Madison Avenue, whisky d’autore e donne in fila per una cena con lui. Immagina invece che abbia perso tutto – carriera, famiglia, rispetto – e sia rimasto con una Maserati, una reputazione da salvare e qualche Rolex da rubare per pagare l’assegno alla ex. Questo è Andrew “Coop” Cooper, il protagonista di Your Friends and Neighbors, la nuova serie di Apple TV+ con Jon Hamm, in uscita dall’11 aprile 2025.
La serie, creata da Jonathan Tropper (Banshee, Warrior), si muove tra dramma, satira e suspense psicologica, con uno stile che richiama Desperate Housewives e Breaking Bad, ma con un tono più sommesso, e uno sguardo impietoso sulla mascolinità upper-class americana, ormai sgretolata. Coop è un ex gestore di hedge fund che aveva tutto: soldi, status, moglie e figli, una casa da catalogo e l’invidia di mezzo Westmont Village, quartiere esclusivo dove la perfezione è d’obbligo. Poi tutto crolla: il tradimento della moglie Mel (Amanda Peet) con il miglior amico (Nick, ex stella NBA), il divorzio, la perdita della casa e, infine, del lavoro dopo una notte fuori luogo con una collega. Due anni dopo, Coop vive con la sorella musicista (mentalmente instabile) in un appartamento modesto, ancora aggrappato all'apparenza: auto costosa, giacca su misura e bugie in quantità.
Non può accettare che il suo mondo lo abbia rigettato, ma non può neanche cedere a un lavoro normale. Allora, l’idea: approfittare della fiducia e della superficialità dei vicini per svaligiare le loro ville mentre sorseggiano vino pregiato in veranda. E finché nessuno si accorge di nulla, Coop riesce a tirare avanti. Il problema è che dietro quelle porte blindate si nasconde un'umanità molto meno perfetta e molto più tossica di quanto si aspettasse.
La serie scava nei peccati privati di una comunità che ha fatto dell’apparenza una religione. Coop, che conosce ogni membro del suo circolo sociale, scopre presto che ognuno ha qualcosa da nascondere. Tradimenti incrociati, conti offshore, dipendenze, perfino un sospetto omicidio. I furti diventano il mezzo per un’indagine personale e quasi antropologica: che razza di persone si nasconde dietro la cortina del privilegio?
La tensione cresce episodio dopo episodio: Coop non è un criminale, ma diventa complice, ricattabile, sempre più immerso in un mondo che sembra perfetto solo visto da lontano. Il personaggio di Hamm, pur restando simpatico, si carica di un’ambiguità affascinante: è spinto dalla disperazione, ma anche dal gusto del rischio, e da un'ironia stanca che lo rende irresistibilmente tragico.
Il tono iniziale è contenuto, quasi educato: “Ehm, beh, Keeley, se lo vuoi sapere…”. Samantha parte in punta di piedi, come se stesse ancora cercando di mantenere un briciolo di facciata, ma in poche battute l’impalcatura emotiva crolla. Subito ci viene presentata una doppia contraddizione. Lutto + sollievo: “una parte di me, purtroppo piuttosto grande, che è sollevata dalla sua morte.” Colpa + consapevolezza morale: “che razza di persona sono diventata.”
Questa ambivalenza è la chiave di tutto il monologo. Samantha sta mettendo a fuoco se stessa mentre parla. Ed è questo il nucleo potente: non è una confessione, è una realizzazione in tempo reale.
Poi arriva il punto centrale: la perdita d’identità. “Stavo cominciando finalmente ad accettarmi come divorziata, e poi d’un tratto sono una cazzo di vedova.” Qui c’è un colpo di genio di scrittura. In una sola frase, si capisce tutto il viaggio personale di Samantha: passare da un ruolo sociale a un altro, da uno status che porta con sé ancora un’agenzia (“sto divorziando”) a uno che è totalmente passivo (“sono vedova”). È una frase sulla burocrazia del dolore e sulla disintegrazione dell’identità.
Il riferimento al “modello Kubler-Ross" (che descrive le fasi del lutto) serve da contrasto sarcastico: non solo non le sta seguendo, ma sente che la sua esperienza è troppo disordinata, troppo sporca, troppo reale per entrare in uno schema. La metafora della torre Jenga è perfetta: precarietà, instabilità e la certezza che qualcosa cadrà. La chiusa – “raccoglierei la mia mandibola dal pavimento…” – è velenosa ma lucida. Dopo essersi completamente esposta, Samantha riconquista un frammento di controllo e lo usa per rimettere a posto la commessa, diventando quasi freddamente brillante. È un ritorno al potere, ma non un potere trionfante: è il potere di chi ha toccato il fondo e si concede una zampata prima di tornare nel caos.
Questo monologo funziona così bene perché non è costruito per farci compatire Samantha, ma per farci sentire la sua confusione. La sua umanità non sta nell'essere una vedova affranta, ma nell'essere una persona che prova sentimenti contraddittori e non sa bene come processarli. È un personaggio femminile scritto con intelligenza emotiva: né eroina né vittima, ma profondamente reale. E Olivia Munn, qui, riesce a dare voce a ogni sfumatura — passando con naturalezza dalla fragilità al sarcasmo, dalla vergogna all’aggressività, in un flusso che sembra davvero detto, non recitato.
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