Monologo di Kali\/Otto in Stranger Things 5: il programma di riproduzione

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~ LA REDAZIONE DI RC

Monologo di Kali/Otto a Undi: il progetto segreto in Stranger Things 5

Il monologo di Otto/Kali in Stranger Things 5 è uno dei momenti più duri e rivelatori dell’intera stagione. Attraverso una confessione lucida e dolorosa, Otto racconta a Undi la verità sul programma segreto, sul sangue, su Henry e sull’assenza di un lieto fine. Non è un monologo di rabbia, ma di consapevolezza: una scena che lavora sulla sottrazione emotiva e sulla maturità del trauma. 

  • Scheda del monologo

  • Contesto del film

  • Testo del monologo (estratto+note)

  • Analisi: temi, sottotesto e funzione narrativa

  • Finale del film (con spoiler)

  • Credits e dove trovarlo

Scheda del monologo

Serie: Stranger Things 5 episodio 5 - (2025)
Personaggio: Kali/Otto
Attrice: Linnea Berthelsen

Durata: 28:40-31:00 / 43:14-47:10

Minutaggio: 5 minuti

Difficoltà 8,5 / 10 Trauma narrato, frammentazione del pensiero , verità devastante detta a una persona amata
Emozioni chiave Rassegnazione, colpa, lucidità traumatica, tenerezza trattenuta, condanna

Contesto ideale per un'attrice monologhi su trauma, memoria e sottrazione

Dove vederlo: Netflix

Contesto della serie "Stranger Things 5" - primi 4 episodi

La storia si apre con un flashback del 1983, in cui Will viene catturato dal Demogorgone e consegnato a Vecna, che sembra avviare un piano a lungo termine. Nel 1987, Hawkins è ormai una città in quarantena dopo l’invasione del Sottosopra. I ragazzi, Mike, Dustin, Lucas e Will cercano di mantenere viva la memoria di Eddie e continuano la loro battaglia contro Vecna, mentre la città è presidiata dall’esercito. Undi (Eleven) si allena duramente con Hopper e Joyce, mentre varie squadre dei protagonisti tentano di coordinarsi tramite radio per localizzare Vecna, ormai introvabile da tempo. Durante una ricognizione militare nel Sottosopra, Hopper rimane isolato e Will percepisce attraverso una visione, come se fosse dentro la mente del Demogorgone, che una minaccia sta raggiungendo la casa di Mike e Nancy.

In quel preciso momento, infatti, Holly, la sorellina, viene attaccata dal Demogorgone nella sua stanza Holly riesce a fuggire inizialmente, ma viene comunque rapita e trascinata nel Sottosopra. Nancy e Mike scoprono che la bambina parlava di un misterioso “Signor Cosè”. Indagando e interrogando la loro madre Karen ferita, scoprono che il vero nome dell’entità è Henry. I pezzi si incastrano: Cosè è Vecna, che ha manipolato Holly prima del rapimento. Undi e Hopper si inoltrano nel Sottosopra per cercare la bambina. Nel frattempo, Will capisce che Vecna sta usando un legame mentale con lui e riesce a percepire ciò che Holly vede e sente, come se Vecna stesse sfruttando la sua connessione per comunicare o spiare attraverso i bambini presi di mira. Infine una visione rivela che Holly è nella “casa” di Henry, una versione illusoria e idilliaca creata da Vecna: non è l’unica, perché lui vuole radunare tutti i bambini che ha scelto come vittime...

Vecna prende di mira un altro bambino: Derek. Il piano dei ragazzi è attirare il Demogorgone a casa sua e inserirgli una ricetrasmittente, così da seguire il mostro fino al nascondiglio di Vecna. Intanto Holly, nella falsa realtà costruita da Henry, scopre messaggi misteriosi e si addentra nel bosco, spiata da una creatura. Undi e Hopper combattono contro una squadra dell’esercito nel Sottosopra e distruggono un’arma sonica che stava bloccando i poteri della ragazza, riuscendo poi a riprendere la ricerca della bambina. Will conferma che Vecna sta “raccogliendo” bambini e che il suo legame mentale con la mente alveare non si è mai del tutto spezzato . L’episodio si apre con Derek, ancora sotto shock, che si sveglia nel fienile dove Joyce e gli altri stanno cercando di proteggerlo. La donna tenta di farlo ragionare, ma Derek vuole scappare: Vecna gli ha detto tutt’altro. Proprio allora il Demogorgone irrompe nel fienile. Will, che continua ad avere visioni dal punto di vista della creatura, “vede” tutta la scena attraverso i suoi occhi. Joyce prova a difendere il bambino con un’accetta, ma la svolta arriva quando Steve piomba dentro guidando un’auto e investe il Demogorgone.

L’idea folle è seguirlo nel portale, sfruttando la scia della creatura. La macchina entra nel Sottosopra per un soffio, con a bordo Steve, Dustin, Jonathan e Nancy. Nel Sottosopra, la nebbia è così fitta che a un certo punto perdono di vista il Demogorgone e si schiantano contro un muro viscido, tipico delle superfici organiche create da Vecna. Intanto Will continua a “sentire” il Sottosopra: ha nuove visioni di bambini sedati, collegati a tentacoli come se fossero respiratori viventi. Capisce che Vecna sta seguendo uno schema: vede quattro spirali, un numero che si ripeterà fino ad arrivare a dodici bambini rapiti.

Nel frattempo, Max e Holly danno un nuovo tassello al mistero. Holly, attirata da una lettera scritta da Henry/Vecna, attraversa un passaggio nel muro e viene raggiunta da Max, viva e cosciente dopo la lunga degenza. Max la conduce in un luogo surreale: una casa immersa in una savana luminosa. Spiega alla bambina che ciò che vede non è reale, ma un ricordo composito, la prigione mentale in cui Henry intrappola le sue vittime.

Per recuperare i bambini sequestrati dai militari, Robin propone un piano in stile La Grande Fuga: entrare da un tunnel sotterraneo e liberare i piccoli prigionieri. Ma serve una talpa, qualcuno dall’interno… Derek è l’uomo giusto, ma le cose precipitano e, proprio quella notte… Arriva Vecna.

Monologo di Will: analisi verso per verso del coming out

Anch’io ce l’ho avuto, sempre. Il sogno di poter mettere fine a tutto questo. Di poter guarire le nostre ferite. E invece mi hanno trovata. Hanno trovato i miei amici, li hanno uccisi, e mi hanno catturata. Non capivo perché mi tenessero in vita. Credevo che il compito di quella dottoressa fosse solo torturarmi, ma non era per vendicarsi. La dottoressa Kay aveva bisogno di me. Le serviva… il mio sangue. Gliene serviva… in quantità infinita. Me lo prendeva… continuamente. E ho cominciato a pensare… che fosse… un vampiro. Non so per quanto sono stata lì. Mi tenevano sedata. Sapevo solo che dovevo scappare. E l’unico modo per farlo… era morire. La dottoressa Kay credeva di aver messo fine ai miei trucchi con quell’orrendo suono che usava. Ma per alcuni trucchi non serve alcun potere. Se avessi saputo che tu eri dall’altro lato di quella porta, non sarei mai andata via di lì. Non sapevo quanto io fossi vicino all’uscita. Ora grazie a te e al tuo poliziotto lo so. Nove metri. Nove… metri. Qualche metro ancora e la mia vita sarebbe stata… diversa. Mentre cercavo una via di fuga ho trovato qualcos’altro. Ho trovato… la risposta al perché ero lì. Trasfondevano a lei e al suo futuro bambino il mio sangue. Ma la stavano uccidendo. E con lei il suo bambino. Non so quante ce ne fossero, ma erano tutte malate. Morenti. Erano donne incinte. Un programma governativo segreto… questo non ti ricorda proprio niente. Non sono stati i farmaci a darci i poteri, Jane. E’ stato Henry. Ora la dottoressa kay vuole riprendere il programma di Papà, ma il mio sangue non funziona. Non come quello di Henry. La verità è che i bambini di papà sono sempre stati delle pallide imitazioni di Henry. Solo uno di noi era esattamente come lui. Perché secondo te la dottoressa Kay ti cerca disperatamente. Se ti trovano ne creeranno molti altri. Altri come te. Come Henry. Non c’è un lieto fine, Jane. non per noi. 

“Anch’io ce l’ho avuto, sempre.”: attacco morbido ma definitivo; non “drammatico”, piuttosto confidenziale; piccola pausa dopo “sempre” come se stesse scegliendo di esporsi davvero.

“Il sogno di poter mettere fine a tutto questo.”: tono più caldo, quasi infantile nel ricordo; sguardo che va via un istante (visualizza il sogno), poi torna su Undi.

“Di poter guarire le nostre ferite.”: abbassa leggermente il volume; “nostre” va sentito come inclusivo, non retorico; micro-pausa su “ferite”.

“E invece mi hanno trovata.”: cambio netto; respiro corto; non rabbia, constatazione; sguardo più fisso, come se la scena tornasse addosso.

“Hanno trovato i miei amici, li hanno uccisi, e mi hanno catturata.””: ritmo scandito a tre colpi; non accelerare troppo: ogni segmento deve “pesare”; su “uccisi” niente enfasi melodrammatica, solo un vuoto.

“Non capivo perché mi tenessero in vita.”: vulnerabilità semplice; sguardo in basso un attimo come per vergogna del non capire; voce più sottile.

“Credevo che il compito di quella dottoressa fosse solo torturarmi, ma non era per vendicarsi.”: tono analitico, quasi clinico; pausa dopo “torturarmi”; su “vendicarsi” lascia un filo di incredulità (era peggio della vendetta).

“La dottoressa Kay aveva bisogno di me.”: frase corta come una lama; sguardo diretto; non accusare Undi, accusare il fatto.

“Le serviva… il mio sangue.”: le sospensioni sono fisiche (deglutizione); “sangue” in uscita d’aria, come se desse nausea; non urlare.

“Gliene serviva… in quantità infinita.”: ironia nera appena accennata; “infinita” non grande, ma interminabile; sguardo lontano.

“Me lo prendeva… continuamente.”: più basso, più lento; qui il corpo può irrigidirsi; lascia un silenzio dopo “continuamente” per far entrare la ripetizione.

“E ho cominciato a pensare… che fosse… un vampiro.”: auto-difesa mentale; un mezzo sorriso amaro che muore subito; “vampiro” non caricaturale, è un’etichetta per rendere dicibile l’orrore.

“Non so per quanto sono stata lì.”: smarrimento temporale; occhi che cercano un appiglio; lascia che la frase resti incompleta emotivamente.

“Mi tenevano sedata.”: secca, quasi tecnica; come una cartella clinica; nessuna emozione apparente (proprio per questo fa paura).

“Sapevo solo che dovevo scappare.”: ritorno dell’istinto; piccolo aumento di energia; sguardo che si stringe, focus.

“E l’unico modo per farlo… era morire.”: non enfatizzare “morire”; è un pensiero pratico, non teatrale; pausa lunga prima di “era” come se lo dicesse per la prima volta ad alta voce.

“La dottoressa Kay credeva di aver messo fine ai miei trucchi con quell’orrendo suono che usava.”: qui entra il disgusto; “orrendo suono” può essere quasi sussurrato, come se evocarlo facesse male; spalle leggermente chiuse.

“Ma per alcuni trucchi non serve alcun potere.”: orgoglio minimo, non vanità; è sopravvivenza; un lampo di lucidità/astuzia, ritmo più pulito.

“Se avessi saputo che tu eri dall’altro lato di quella porta, non sarei mai andata via di lì.”: colpa + tenerezza; “tu” va tenuto morbido; pausa dopo “porta”; lo sguardo cerca Undi senza chiedere perdono apertamente.

“Non sapevo quanto io fossi vicino all’uscita.”: incredulità quieta; come un conto che non torna; lascia un respiro sospeso dopo “uscita”.

“Ora grazie a te e al tuo poliziotto lo so.”: gratitudine trattenuta, non celebrativa; “il tuo poliziotto” con un filo di ironia affettuosa; non distogliere troppo la scena dal dolore.

“Nove metri.” colpo a vuoto nello stomaco; fermati; lascia che il silenzio faccia la metà del lavoro.

“Nove… metri.”: ripetizione ossessiva; la seconda volta è più fragile, non più forte; gli occhi possono lucidarsi, ma senza pianto “pulito”.

“Qualche metro ancora e la mia vita sarebbe stata… diversa.”: “diversa” è una parola che pesa più di “migliore”; sospensione su “sarebbe stata…” come se vedesse un altro futuro; voce che si rompe appena e poi si ricompone.

“Mentre cercavo una via di fuga ho trovato qualcos’altro.”: cambio marcia; dal personale al rivelatorio; ritmo più narrativo, come se stesse guidando Undi verso la verità.

“Ho trovato… la risposta al perché ero lì.”: pausa prima di “la risposta” come apertura di una porta; sguardo fisso, serio.

“Trasfondevano a lei e al suo futuro bambino il mio sangue.”: precisione chirurgica; evita l’indignazione immediata, è più inquietante se è raccontato “pulito”; enfatizza leggermente “futuro bambino”.

“Ma la stavano uccidendo.”: qui entra lo shock morale; non urlare: abbassa, come se fosse troppo grande; pausa dopo.

“E con lei il suo bambino.”: sussurro; sguardo che cede; lascia un silenzio più lungo del normale.

“Non so quante ce ne fossero, ma erano tutte malate.”: senso di impotenza; “tutte” va segnato con una piccola pressione; non accelerare.

“Morenti.”: parola singola come una sentenza; quasi senza voce; ferma l’aria.

“Erano donne incinte.”: ribadisce per rendere l’orrore innegabile; sguardo diretto su Undi: “capisci adesso?” senza aggressività.

“Un programma governativo segreto… questo non ti ricorda proprio niente.”: qui arriva l’amo emotivo; non sarcasmo, ma dolore che diventa lucidità; pausa dopo “segreto”; “niente” con una punta di amarezza.

“Non sono stati i farmaci a darci i poteri, Jane.”: tono fermo, quasi protettivo; “Jane” è un ancoraggio umano, non un’etichetta; lascia che suoni come “ti dico la verità”.

“E’ stato Henry.”: colpo secco; nessuna ornamentazione; guarda Undi negli occhi quando lo dici, come una rivelazione che non puoi addolcire.

“Ora la dottoressa Kay vuole riprendere il programma di Papà, ma il mio sangue non funziona”: ritmo più veloce, logico; “Papà” va detto con ambivalenza (nostalgia disgusto); “non funziona” è quasi sollievo che dura un millisecondo.

“Non come quello di Henry.”: abbassa e stringi; la frase è un uncino; pausa dopo, perché apre il punto più oscuro.

“La verità è che i bambini di papà sono sempre stati delle pallide imitazioni di Henry”: non recitare “spiegazione”; recitare ferita identitaria; “pallide imitazioni” con un filo di disprezzo verso se stessa, non verso gli altri.

“Solo uno di noi era esattamente come lui.”: scende il gelo; “uno” va isolato con una pausa; guarda Undi come se avesse paura della sua reazione.

“Perché secondo te la dottoressa Kay ti cerca disperatamente.”: non domanda retorica, è una freccia; “disperatamente” non isterico, ma inevitabile.

“Se ti trovano ne creeranno molti altri.”: minaccia reale; qui la voce si fa più bassa e urgente; sguardo che controlla l’ambiente (paranoia appresa).

“Altri come te.”: “te” è insieme amore e condanna; pausa dopo come se la parola facesse male.

“Come Henry.”: ultimo chiodo; secco, senza aria; lascia un silenzio duro.

“Non c’è un lieto fine, Jane.””: non tragico, ma definitivo; “Jane” torna come carezza che non salva; mantieni lo sguardo fermo.

“non per noi.”: chiusa in sottrazione; quasi un sussurro che cade; dopo, non muoverti subito: lascia che il silenzio diventi la risposta di Undi.

Analisi discorsiva del monologo di 8

Il monologo di Otto/Kali è costruito come una confessione tardiva, non come una denuncia. Non c’è urgenza di convincere Undi, ma bisogno di mettere finalmente ordine in ciò che è accaduto. Otto parla da qualcuno che ha già attraversato il trauma, lo ha metabolizzato e ora lo restituisce in forma di verità nuda. Questo rende il testo particolarmente insidioso per l’attore: il dolore non è esplosivo, è sedimentato, stratificato, e proprio per questo più difficile da rendere credibile. L’inizio è intimo, quasi sommesso. Otto si pone sullo stesso piano di Undi, condividendo un sogno comune: guarire, chiudere il cerchio. È un’apertura che crea immediata empatia e abbassa le difese emotive dell’interlocutore. Subito dopo, però, il racconto vira: non c’è rabbia nel ricordare la cattura e l’uccisione degli amici, ma una lucidità spietata. Otto non si concede il lusso dell’indignazione, perché il trauma è stato troppo lungo per restare “acceso”. Questo tono neutro, quasi clinico, è una scelta narrativa precisa: più il racconto è calmo, più l’orrore emerge.

La parte centrale del monologo lavora sulla disumanizzazione subita. Il sangue diventa oggetto, risorsa, materia da estrarre. La metafora del vampiro non è fantastica, è una strategia mentale di sopravvivenza: dare un nome mitologico all’orrore per renderlo comprensibile. Qui l’attore deve evitare qualsiasi compiacimento emotivo: Otto non sta cercando compassione, sta spiegando come ha resistito. Anche l’idea che l’unica via di fuga fosse la morte non è trattata come gesto estremo, ma come calcolo razionale. Questo passaggio è uno dei più potenti del monologo, perché normalizza l’impensabile. Il cuore emotivo arriva con la rivelazione dei “nove metri”. Non è solo una misura spaziale, ma una condanna temporale: la consapevolezza di essere stata vicinissima a una vita diversa. Qui il testo chiede una frattura interna, non un’esplosione. Il dolore non sta nel “non essere uscita”, ma nel sapere che sarebbe bastato pochissimo. Subito dopo, il monologo cambia funzione: da confessione diventa trasmissione di conoscenza. Otto ha scoperto il vero motivo della sua prigionia, e raccontarlo è un atto di responsabilità verso Undi. La rivelazione del programma sulle donne incinte sposta definitivamente il monologo dal personale al politico. Otto non parla più solo di sé, ma di un sistema che si ripete, che sfrutta, che replica gli stessi errori sotto nomi diversi. Il riferimento a “Papà” e al passato condiviso con Undi non è nostalgico: è amaro, disilluso. La verità finale è forse la più devastante: Otto accetta di essere una copia imperfetta, una versione incompleta. Questo non genera invidia, ma chiarezza. È da questa chiarezza che nasce l’avvertimento finale.

La chiusura del monologo non cerca consolazione. Quando Otto dice che non c’è un lieto fine, non lo fa per togliere speranza, ma per liberare Undi dall’illusione. È un gesto d’amore adulto: dire la verità anche quando fa male, anche quando mette in discussione il futuro. Per un attore, questo significa chiudere senza enfatizzare, lasciando che sia il silenzio a completare il senso. Il monologo funziona perché non chiede una risposta immediata: chiede ascolto, e poi spazio.

Episodi 5-7 di "Stranger Things 5" (Spoiler)

L’episodio 5 riprende subito dopo il finale del Volume 1. Will riesce a fermare temporaneamente i Demogorgoni grazie al legame diretto con la mente alveare, rivelando un potere che non è innato come quello di Undici, ma assorbito da Vecna. Vecna tiene 12 bambini prigionieri, tra cui Holly Wheeler, nella sua casa d’infanzia. O meglio, una prigione mentale della stessa. Holly si allea con Max, intrappolata nel paesaggio del villain, e insieme iniziano a esplorare i ricordi traumatici di Henry. Undici, Hopper e Kali fuggono dal laboratorio militare: Kali rivela che la dottoressa Kay ha riattivato il Progetto Indige. Nel sesto episodio abbiamo la scoperta più importante della stagione. Dustin, Nancy, Steve e Jonathan capiscono che: il Sottosopra non è una dimensione autonoma, è un wormhole, un ponte interdimensionale di materia esotica. Collega il mondo reale all’Abisso, vera dimora dei Demogorgoni e del Mind Flayer La Terra non è sotto invasione: è in fase di fusione con un altro mondo. Nel frattempo: Max e Holly trovano una porta che mostra parte del passato oscuro di Henry. Vecna tenta di recuperare il corpo fisico di Max, inviando Demogorgoni in ospedale Lucas corre a salvarla, mentre Will percepisce tutto attraverso la mente alveare. Max viene salvata all’ultimo momento da Lucas e si risveglia, Holly riesce quasi a tornare a Hawkins, ma Vecna la riporta a Camazotz- Will fa coming out con il gruppo: liberandosi della vergogna, annulla il controllo emotivo di Vecna su di lui La scena finale mostra:i tre gruppi che si riuniscono finalmente, Murray che guida il Party attraverso la frattura, l’ingresso nel Sottosopra, da cui partirà l’episodio finale. Holly resta l’unica prigioniera.

Credits e dove vederlo

Regista: Matt e Ross Duffer

Sceneggiatura: Matt e Ross Duffer

Produttore: Stephanie Slack Margret H. Huddleston

Cast: Winona Ryder (Joyce Byers) David Harbour (Jim Hopper), Finn Wolfhard( Mike Wheeler), Gaten Matarazzo (Dustin Henderson) Caleb McLaughlin (Lucas Sinclair) Noah Schnapp (Will Byers) Millie Bobby Brown (Undici / Jane Ives)

Dove vederlo: Netflix

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