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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo di Salvatore Todaro in "Comandante" è un momento chiave che condensa lo spirito del film: una riflessione sulla guerra, sull'umanità e sul coraggio. Con una dialettica schietta e brutale, il comandante si rivolge al suo equipaggio non solo per motivarlo, ma per prepararli psicologicamente a ciò che li attende. In un contesto dove la paura e l’isolamento sono inevitabili, Todaro guida i suoi uomini attraverso una visione realistica e profonda della loro missione, sfidando le convenzioni del discorso eroico tradizionale.
MINUTAGGIO: 15:35-16:56
RUOLO: Salvatore Todaro
ATTORE: Pierfrancesco Favino
DOVE: Netflix
ITALIANO
Come vedete, siamo gli ultimi a partire. I tedeschi attaccano in branco, noi no. Noi siamo italiani. E siamo soli. Il re, con tutta la sua maestà, non c'è. Non c'è il Duce a condurvi. Ci sono io. Non c'è neanche mammina. C'è Marcom. E chi si mette a piangere, lo butto in mare. Questo battello è ottimo. Guardatelo. Toccatelo, ascoltatelo. Nei momenti di sconforto sarà lui a dirvi cosa fare. La nostra trincea non si vede. E il nemico è lontano, protetto da strati di acqua e di acciaio, da migliaia e migliaia di millimetri di artiglieria. Ha una tecnologia letale che i nostri poeti possono soltanto immaginare dietro le nostre scrivanie intarsiate. Ma sta là, da qualche parte, col cuore che gli pulsa, esaltato dal coraggio della sua filosofia britannica, e pieno di paura. Proprio come noi. Non fate finta di non aver paura. Non schifate la paura. Amatela. Chiavatevela! Pronti a muovere.
"Comandante" è un film del 2023 diretto da Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino nel ruolo del comandante Salvatore Todaro. La pellicola narra un episodio della Seconda Guerra Mondiale, quando Todaro, al comando del sommergibile Cappellini, affondò il piroscafo belga Kabalo. Contravvenendo agli ordini superiori, decise di salvare i 26 naufraghi belgi, esponendo il suo equipaggio a gravi rischi per rispettare la legge del mare.
Presentato come film d'apertura all'80ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, la produzione ha beneficiato del pieno supporto della Marina Militare Italiana, che ha fornito accesso agli archivi e al diario di bordo del Cappellini, contribuendo all'accuratezza storica della narrazione.
"Comandante" di Edoardo De Angelis racconta una storia realmente accaduta durante la Seconda Guerra Mondiale, mettendo al centro il comandante Salvatore Todaro, interpretato da Pierfrancesco Favino.
Todaro, al comando del sommergibile Cappellini, si trova nel bel mezzo di una missione quando intercetta e affonda un piroscafo mercantile belga, il Kabalo, che trasporta materiale bellico per gli Alleati. La trama si sviluppa attorno alla scelta etica di Todaro: invece di lasciare i naufraghi alla deriva nell'oceano, decide di salvarli. È un gesto che va contro le regole del tempo di guerra, che prevedono di non mettere a rischio il proprio equipaggio per aiutare nemici. Todaro, però, crede fermamente nella "legge del mare", un codice morale non scritto che obbliga chiunque sia in mare ad aiutare chi è in difficoltà, indipendentemente dalla nazionalità o dalla fazione.
La decisione di Todaro crea tensione tra l’equipaggio del sommergibile, che teme di diventare un facile bersaglio per i nemici a causa del tempo necessario al salvataggio. Il film esplora questo conflitto tra il dovere militare e la responsabilità umana, mostrando Todaro come un comandante tanto abile quanto capace di seguire la sua coscienza in situazioni estreme. Gran parte del film si svolge in ambienti claustrofobici, come l’interno del sommergibile, e sull’oceano aperto.
La regia di De Angelis punta a trasmettere il senso di pressione fisica ed emotiva vissuta dai protagonisti, mentre il nemico resta sempre invisibile, una presenza costante ma lontana. Il salvataggio dei naufraghi si conclude con il trasporto su una nave neutrale, un'operazione che richiede audacia e che espone il Cappellini a potenziali attacchi. Todaro sa che la sua decisione potrebbe essere giudicata dai superiori, ma accetta il rischio con convinzione. La narrazione lascia ampio spazio alla riflessione sul significato di umanità in tempo di guerra, concludendo con un ritratto di un uomo che sceglie di anteporre i valori morali agli ordini.
Il monologo di Todaro in "Comandante" è una dichiarazione di intenti, un richiamo alla realtà brutale della guerra e alla necessità di trovare forza nel gruppo e nelle proprie paure. È un discorso che intreccia autorità, ironia, e brutalità, mostrando Todaro come una figura complessa, tanto pragmatica quanto ispirata da un senso profondo del dovere.
"Come vedete, siamo gli ultimi a partire. I tedeschi attaccano in branco, noi no. Noi siamo italiani. E siamo soli." Todaro mette subito in chiaro la disparità tra italiani e alleati (o persino i tedeschi, nominalmente "amici"). Qui emerge una sottile critica all'isolamento italiano durante la guerra, con un tocco di ironia e amarezza. Todaro sottolinea l'unicità e la solitudine degli italiani, delineando il senso di isolamento morale e strategico, ma anche di responsabilità individuale.
"Il re, con tutta la sua maestà, non c'è. Non c'è il Duce a condurvi. Ci sono io. Non c'è neanche mammina. C'è Marcom." Todaro demolisce le icone istituzionali e familiari – il re, Mussolini e persino la figura materna – per sottolineare che, in guerra, non esistono sostegni esterni. Rimangono solo il comandante e i compagni. La menzione di "Marcom" (forse un riferimento a un membro dell'equipaggio o alla nave stessa) crea un senso di intimità e di legame tra gli uomini, rendendoli l'unico vero supporto.
"E chi si mette a piangere, lo butto in mare." Questa frase serve a smorzare la tensione con un tocco di humor crudo. Todaro bilancia la severità con un tono che mira a rassicurare, anche se con un velo di durezza. "Questo battello è ottimo. Guardatelo. Toccatelo, ascoltatelo. Nei momenti di sconforto, sarà lui a dirvi cosa fare." Todaro personifica il sommergibile, rendendolo un’entità viva e affidabile. La nave diventa una guida silenziosa, un compagno su cui contare quando l’incertezza e la paura prenderanno il sopravvento. Invitare i marinai a toccare e ascoltare la nave è un modo per creare connessione fisica e simbolica con l’ambiente circostante.
"La nostra trincea non si vede. E il nemico è lontano, protetto da strati di acqua e di acciaio, da migliaia e migliaia di millimetri di artiglieria."
Qui Todaro descrive la peculiarità della guerra sottomarina. Non ci sono trincee visibili, ma solo un nemico lontano, reso quasi invincibile dalla tecnologia e dalla distanza. La descrizione evidenzia la sproporzione tra i mezzi italiani e quelli nemici, ma senza autocommiserazione.
"Ha una tecnologia letale che i nostri poeti possono soltanto immaginare dietro le nostre scrivanie intarsiate." Un riferimento pungente all’idealismo vuoto e all’inefficacia di una classe dirigente distante dalla realtà della guerra. La guerra è brutalmente reale, lontana dalla bellezza idealizzata della poesia o dalla raffinatezza simbolizzata dalle "scrivanie intarsiate".
"Ma sta là, da qualche parte, col cuore che gli pulsa, esaltato dal coraggio della sua filosofia britannica, e pieno di paura. Proprio come noi." Todaro riconosce che anche il nemico è umano, mosso dal coraggio ma altrettanto spaventato. Questo passaggio suggerisce empatia e un senso di uguaglianza, nonostante il conflitto. La paura diventa il punto di contatto tra gli uomini su entrambi i fronti.
"Non fate finta di non aver paura. Non schifate la paura. Amatela. Chiavatevela!" Questo è il cuore del discorso. Todaro non chiede di negare la paura, ma di farla propria, di usarla come forza motrice. La parola "chiavatevela" è volutamente cruda e diretta, un invito a unire la paura al proprio essere in maniera intima e profonda. Invece di esaltare il coraggio come assenza di paura, Todaro lo ridefinisce come il risultato dell'abbraccio della paura.
"Pronti a muovere." Il monologo termina con un comando breve e deciso. È il momento dell’azione, della transizione dalle parole ai fatti.
In questo monologo, Todaro emerge come un comandante e un leader che abbraccia e trasforma la paura in forza. Con un linguaggio diretto e senza fronzoli, demolisce miti e retoriche, offrendo invece una verità cruda ma necessaria: l'umanità non si esprime negando le emozioni, ma accogliendole. È un momento che incarna la filosofia del film stesso, dove l’eroismo non sta nel distruggere il nemico, ma nel mantenere intatti i propri valori morali anche nelle situazioni più estreme.
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