Monologo - Il raffreddore in \"La cantatrice Calva\"

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~ LA REDAZIONE DI RC

Introduzione al monologo

Il monologo del Pompiere ne La Cantatrice Calva è un esempio lampante della poetica dell'assurdo di Eugène Ionesco. Apparentemente un lungo aneddoto familiare, si trasforma presto in un groviglio di dettagli privi di coerenza, un gioco linguistico che sfida le convenzioni narrative e il senso stesso del discorso. Attraverso una struttura iterativa e caotica, il monologo decostruisce il linguaggio e la narrazione tradizionale, creando una sensazione di straniamento che coinvolge lo spettatore in un’esperienza teatrale unica.

Il raffreddore

Il raffreddore. Mio cognato, dal lato paterno, aveva un cugino germano, lo zio materno del quale aveva un suocero di cui il nonno paterno aveva sposato in seconde nozze una giovane indigena, il cui fratello, nei suoi viaggi, aveva incontrato una ragazza della quale si era innamorata e dalla quale aveva avuto un figlio che sposò poi intrepida farmacista, la quale altri non era che la nipote di uno sconosciuto quartierastro della Marina britannica, il di cui padre adottivo aveva una zia in grado di parlare correttamente lo spagnolo e che era, forse, una delle nipoti di un ingegnere morto in giovane età, nipoti a sua volta di un proprietario di Vigne dalle quali si ricavava un vino assai mediocre, ma che aveva un cugino, casalingo e sottotenente, il cui figlio aveva sposato una graziosissima signora, un po' divorziata, il primo marito della quale era figlio di un vero patriota che aveva saputo educare una delle proprie figlie nell’ambizione di far fortuna, la quale era riuscita a sposare un fattorino che aveva conosciuto Rothschild e il cui fratello, dopo aver cambiato parecchi mestieri, si sposò ed ebbe una figlia, il cui bisnonno, gracilino, portava gli occhiali che gli aveva regalati un suo cugino, cognato di un portoghese, figlio naturale di mugnaio, non troppo povero, il fratello di latte del cuore aveva preso in moglie la figlia di un medico di campagna, a sua volta fratello di latte di un lattaio, a sua volta figlio naturale di un altro medico di campagna, sposato tre volte di seguito e di cui la terza moglie era figlia della migliore levatrice della regione che, vedova di buon ora, si era sposata con un vetraio pieno di zero, il quale, alla figlia di un capostazione, aveva fatto un figlio destinato a fare la sua strada e aveva sposato una venditrice di spazzature, il cui padre aveva un fratello, sindaco di una piccola città, che aveva preso in moglie una maestra bionda, il cugino della quale, pescatore con la rete aveva preso in moglie un'altra maestra bionda, chiamata Maria, il cui fratello aveva sposato un'altra Maria, anche lei maestra bionda il cui padre era stato allevato nel Canada da una vecchia, che era nipote di un parroco, l'anno del quale, talvolta, d'inverno, come capita a tutti, si buscava un raffreddore.

La Cantatrice calva

"La Cantatrice Calva" (titolo originale: La Cantatrice Chauve) è un'opera teatrale del drammaturgo francese Eugène Ionesco, uno dei capisaldi del cosiddetto Teatro dell'Assurdo. Pubblicata nel 1950, la pièce rappresenta un punto di svolta nella storia del teatro, ponendo al centro dell’attenzione non tanto la trama o i personaggi, quanto il linguaggio stesso, con un intento volutamente satirico e provocatorio. Ionesco ha raccontato che l’idea di scrivere La Cantatrice Calva gli venne mentre studiava l'inglese con un manuale per principianti. Notò che le frasi di esempio del libro, pur formalmente corrette, risultavano vuote di significato e assurde se estrapolate dal contesto. Decise quindi di trasformare questo esperimento linguistico in un'opera teatrale, enfatizzando la ripetitività e il nonsense. L'opera si svolge nel salotto di una coppia borghese, i Signori Smith, che intrattengono una conversazione priva di senso. A loro si aggiungono i Signori Martin, una coppia che inizialmente non si riconosce come tale (pur essendo sposati), e altri personaggi, tra cui una cameriera e un pompiere. La "cantatrice calva" del titolo, per inciso, non appare mai sulla scena e viene menzionata solo in modo casuale e senza spiegazione, il che sottolinea ulteriormente l'assurdità generale.


Il dialogo tra i personaggi è caratterizzato da frasi banali, ripetizioni e contraddizioni. L'azione si conclude con una sorta di ripresa circolare: i Signori Martin si ritrovano a ripetere le stesse battute con cui l’opera era iniziata, come se il tutto fosse un loop infinito. La Cantatrice Calva demolisce l’idea che il linguaggio possa trasmettere significati profondi. Ionesco evidenzia come le convenzioni linguistiche siano spesso vuote e prive di connessione con la realtà, una critica che può essere vista come una riflessione sulla comunicazione moderna. Attraverso i dialoghi assurdi e le azioni insignificanti dei personaggi, Ionesco deride la routine e le convenzioni sociali della classe media, mostrandone l'inconsistenza e la mancanza di significato. Sebbene non esplicitamente filosofica come le opere di Beckett, la pièce condivide con il Teatro dell'Assurdo un interesse per il vuoto e l'angoscia dell’esistenza. Il nonsense dei dialoghi riflette un mondo in cui l’umanità sembra essere alienata non solo dalla società, ma anche da sé stessa.


La Cantatrice Calva è uno dei testi fondamentali di questa corrente teatrale, che include autori come Samuel Beckett (Aspettando Godot), Jean Genet e Harold Pinter. Il Teatro dell'Assurdo nasce in un’epoca segnata dalla disillusione post-bellica, mettendo in scena la frammentazione e il caos dell’esperienza umana.

Analisi Monologo

Questo monologo del Pompiere ne La Cantatrice Calva è emblematico dello stile di Eugène Ionesco: apparentemente un lungo e complesso aneddoto familiare, si rivela una spirale assurda che sfida la coerenza e il senso comune. Il monologo è un'esemplificazione perfetta del linguaggio ridotto a puro suono e ritmo, svuotato di significato. La struttura ripetitiva e cumulativa di legami familiari sempre più improbabili crea un senso di vertigine: ogni relazione sembra costruire un mondo a sé, ma tutte si dissolvono in una conclusione banale – il raffreddore, un fenomeno quotidiano e insignificante. L'elenco incessante di dettagli apparentemente rilevanti ma in realtà inutili (e spesso incoerenti) rappresenta una parodia della tendenza umana a complicare il discorso senza arrivare a una conclusione significativa.


Il monologo richiama le genealogie epiche o i racconti dettagliati che danno valore a eventi o personaggi, ma lo fa svuotandoli di senso. Anziché raccontare una storia epica o una vicenda degna di nota, il Pompiere inanella connessioni sempre più lontane e assurde, fino a culminare in un evento insignificante: "si può scamor raffreddore". La frase finale rompe anche le regole sintattiche con "scamor," un termine inventato, accentuando il carattere antinarrativo del monologo.


Il Pompiere, nella logica della pièce, è un elemento che dovrebbe portare azione e risoluzione – il classico "intervento esterno" che cambia la dinamica della scena. Invece, si inserisce con questo monologo che è l’antitesi di un’azione significativa. Il suo lungo racconto non solo non risolve nulla, ma mette in pausa il ritmo della pièce, aumentando il senso di straniamento dello spettatore. L’intero monologo è una riflessione sull’assurdità dell’ordine e della logica. Se ogni elemento del mondo deve avere un senso e una causa (come ci insegnano le convenzioni narrative e il pensiero razionale), qui tutto si sgretola in una catena di eventi che, lungi dal dare senso, diventa solo una giostra caotica di parole. Sul piano teatrale, il monologo gioca anche con le aspettative del pubblico. Lo spettatore, abituato a cercare senso e sviluppo nei dialoghi teatrali, si trova disorientato. È un gioco sottile che destabilizza e, allo stesso tempo, diverte.

Conclusione

Con il monologo del Pompiere, Ionesco sintetizza la filosofia alla base del teatro dell’assurdo: l’inutile tentativo di dare ordine a una realtà intrinsecamente caotica e priva di significato. Attraverso l’ironia e il nonsense, il monologo non solo intrattiene ma obbliga lo spettatore a confrontarsi con l’assurdità del linguaggio e delle relazioni umane.

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