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~ LA REDAZIONE DI RC
Il monologo finale di Puck smonta e ricompone tutto quello che lo spettatore ha appena visto. Shakespeare affida al suo folletto, simbolo dell’illusione e del gioco, il compito di ricordare al pubblico la natura effimera del teatro. In poche battute, Puck mette in discussione ciò che è stato rappresentato e lo ribalta, trasformando l’intera commedia in un sogno da cui gli spettatori si stanno appena risvegliando.
Se l’ombre nostre offeso v’hanno
Pensate, per rimediare al danno,
che qui vi abbia colto il sonno
durante la visione del racconto
e questa vana e sciocca trama
non sia nulla più di un sogno
Signori, non ci rimproverate,
Rimedieremo, se ci perdonate.
E, come è vero che son sincero,
Se solo avremo la fortuna di sfuggire ai vostri insulti,
a fare ammenda riusciremo.
O chiamatemi bugiardo se vi va!
Quindi buonanotte a tutti voi
Regalatemi un applauso, amici miei
E Puck a tutti i danni rimedierà.
La commedia si regge su quattro nuclei narrativi che si intrecciano continuamente:
Il mondo della corte di Atene Qui si muovono Teseo e Ippolita, figure regali che incarnano l’ordine, la legge e la stabilità. Sono il contrappunto serio e “istituzionale” al caos che si scatena nel bosco. La loro presenza dà una cornice ordinata a una vicenda che per gran parte è immersa nel disordine.
Gli amanti ateniesi (Ermia, Lisandro, Demetrio, Elena) Questo è il livello più vicino alla commedia sentimentale. Shakespeare gioca con il tema dell’amore instabile e capriccioso: i personaggi si inseguono, si respingono, si scambiano di partner. Qui emerge la dimensione più “umana” del testo, dove l’amore appare come forza irrazionale, manipolabile, esposta a inganni e fraintendimenti.
Il mondo delle fate (Oberon, Titania, Puck) È lo strato fantastico e onirico, un regno governato da leggi proprie, dove l’amore viene trattato come una magia letterale: pozioni e incantesimi che modificano desideri e attrazioni. È qui che Shakespeare lega il tema amoroso all’illusione teatrale. L’amore è rappresentato come un “sortilegio” che può cambiare da un momento all’altro.
Gli artigiani/attori dilettanti (Bottom, Quince e compagni) Questo è il livello meta-teatrale. La loro messa in scena goffa di “Piramo e Tisbe” è un gioco dentro il gioco: una parodia che mette in luce la natura artificiale del teatro e, al tempo stesso, il suo potere di emozionare. Shakespeare prende in giro il teatro popolare ma, nello stesso tempo, ne esalta la vitalità.
L’elemento drammaturgico chiave è il passaggio dalla città (ordine, regole) al bosco (caos, metamorfosi). Il bosco è un luogo liminale: qui l’identità si mescola, i ruoli si ribaltano, e i personaggi vengono messi alla prova. Alla fine, tutti ritornano “ordinati” ma trasformati dall’esperienza. Shakespeare intreccia continuamente toni diversi: il lirico degli amanti, il grottesco degli artigiani, il solenne della corte e il fiabesco delle fate. Questa polifonia drammaturgica crea un ritmo che alterna tensione e comicità, realtà e illusione. La rappresentazione finale degli artigiani non è un semplice epilogo comico: è un commento meta-teatrale che ci ricorda che tutta la vicenda vista prima non era altro che un gioco scenico, un “sogno” teatrale.
Le prime parole di Puck – “Se l’ombre nostre offeso v’hanno, pensate che qui vi abbia colto il sonno” – aprono a un paradosso: lo spettacolo potrebbe non essere mai accaduto, se lo spettatore sceglie di leggerlo come un sogno. Qui Shakespeare attua un gesto meta-teatrale: offre al pubblico una via d’uscita, un modo per perdonare eventuali imperfezioni della rappresentazione trasformandole in parte dell’illusione stessa.
Il tono è leggero, quasi giocoso, ma il contenuto è profondo: il teatro viene descritto come illusione condivisa, fragile e potente allo stesso tempo. Puck invita gli spettatori a non prendersela, a perdonare gli attori e il testo stesso, promettendo di “rimediare” con un applauso. È un patto teatrale che si rinnova: la scena vive solo se lo spettatore la accetta e la sostiene.
C’è poi il tema della sincerità e della menzogna: “O chiamatemi bugiardo se vi va!”. Puck gioca con il confine tra verità e finzione, sottolineando come il teatro abiti proprio questo spazio ambiguo. Il pubblico viene coinvolto in modo diretto, non come osservatore passivo, ma come complice.
Il monologo di Puck funziona come un sipario che si chiude ma, nello stesso tempo, come un varco che si apre: non è soltanto un congedo, è un commento sulla natura stessa del teatro. Shakespeare trasforma l’illusione scenica in un sogno collettivo, che svanisce con il buio della sala ma continua nella memoria degli spettatori. L’ultima immagine è quella di un applauso che, più che un gesto di approvazione, diventa parte dell’incantesimo teatrale: il pubblico sancisce con le mani che il sogno ha avuto senso.
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